Del: 2 Aprile 2022 Di: Arianna Locatelli Commenti: 0
Margaret Moth, la fotoreporter senza paura

La chiamavano la signora in nero per via del suo look eccentrico con outfit scuri, capelli corvini ribelli e spesso eyeliner attorno agli occhi. Margaret Moth, nata Margaret Wilson a Gisborn, Nuova Zelanda, nel 1951, è stata una delle più grandi fotoreporter della storia che, in quanto donna, ha sfidato pregiudizi e ostacoli in un ambiente fino ad allora prevalentemente maschile.

Definita come ironica e anticonformista, è stata protagonista della documentazione di alcuni dei più importanti conflitti della seconda metà del Novecento.

Margaret ricevette la sua prima macchina fotografica all’età di 8 anni, già consapevole che avrebbe seguito le sue idee senza farsi intimorire dalle difficoltà. Appena adolescente, sentendosi stretta nel cognome familiare, cambiò il suo nome in Margaret Gipsy Moth percependolo come più adatto alla sua personalità. Appena ventenne, terminati gli studi in cinema e fotografia presso l’università di Canterbury a Christchurch, divenne la prima camerawoman della Nuova Zelanda lavorando per le televisioni nazionali.

Divenuta famosa nell’ambiente, nel 1983 si trasferì negli Stati Uniti per lavorare presso Khou a Houston, Texas, prima di entrare, sette anni più tardi, alla CNN. Da questo momento Margaret Moth non si fermò più, girando il mondo a caccia della verità armata della sua videocamera. L’anno successivo fu infatti la principale fotoreporter a documentare le rivolte indiane in seguito all’assassinio del primo ministro Indira Gandhi, mentre negli anni Novanta fu inviata nel Golfo Persico per seguire gli svolgimenti della guerra del Golfo nata dal tentativo di liberazione del Kuwait da Saddam Hussein; si recò più volte nel decennio successivo anche a Baghdad per coprire il rovesciamento di Saddam.

Margaret Moth aveva dichiarato di non aver mai programmato di diventare una fotogiornalista: il suo percorso è stato guidato negli anni dall’amore per la storia e dal desiderio di vederla svolgersi in prima persona.

Osservazione metaforica dato che Margaret divenne famosa proprio per il suo estremo coraggio e l’apparente noncuranza del pericolo che, in prima linea, le hanno permesso di non distogliere mai l’obbiettivo della sua fotocamera dal soggetto che stava riprendendo, anche fosse un soldato in procinto di spararle.

Sono numerosi gli esempi emblematici di questa disarmante intraprendenza. Uno dei principali servizi della carriera di Moth fu quello sulla guerra civile in Georgia, conflitto scoppiato in seguito al colpo di stato che rovesciò il neoeletto presidente georgiano Zviad Gamsakhurdia. La fotoreporter della CNN seguì in particolare tra il ‘91 e il ‘92 la Guerra di Tiblisi, capitale dello stato e centro nevralgico del conflitto. Come riportato su sito della CNN, mentre gli altri fotoreporter cercavano riparo dietro le auto, per proteggendosi dal fuoco che i miliziani avevano aperto sui manifestanti, Margaret Moth rimase ferma in mezzo ai rivoltosi tenendo la sua fotocamera accesa.

Durante l’incursione israeliana nel 2002 in Cisgiordania, Moth si nascose tra un gruppo di medici palestinesi in marcia contro i veicoli blindati delle truppe israeliane, riprendendo tutti gli avvenimenti e cercando di ottenere un’intervista esclusiva con Yasser Arafat, leader palestinese.

Ma forse l’impegno che ha influito maggiormente sulla sua carriera, come sulla sua vita personale, è stato quello che l’ha vista protagonista in primissima linea nel drammatico assedio serbo di Sarajevo, capitale bosniaca.

Anche qui, ancora una volta, Moth dimostrò la sua tenacia e la sua cieca fede nei confronti della documentazione diretta.

Al centro della città assediata si ergeva infatti un Holiday Inn esattamente sulla traiettoria dell’artiglieria serba: Margaret Moth posizionò la sua postazione di ripresa tra le macerie dell’hotel semidistrutto, chiamato ironicamente Emmental cheese. Usando un visore notturno come obbiettivo e coprendo la luce rossa della telecamera con del nastro adesivo, la Moth trascorse lunghissime giornate tra le macerie del palazzo, filmando regolarmente i bombardamenti, specialmente quelli notturni, della città bosniaca.

Il 23 luglio del 1992, la fotoreporter e due colleghi della CNN intrapresero quella che era conosciuta in tutto il mondo come la Sniper Alley, una via centrale di Sarajevo all’epoca deserta perché completamente esposta al fuoco serbo. L’obiettivo dei tre giornalisti era quello di raggiungere l’aeroporto per intervistare i piloti dei voli di soccorso. Nonostante la velocità del furgone su cui si trovavano, Margaret Moth venne colpita in pieno volto da un proiettile perfettamente mirato che le distrusse metà mascella e parte della lingua; dopo un trattamento di emergenza locale, venne trasportata dalla CNN in una clinica specializzata degli Stati Uniti.

È proprio dopo questo fatto che emerse ancora una volta la potente ed eccentrica personalità di questa camerawoman. Nei mesi successivi all’operazione durante, il lungo periodo di riabilitazione, più volte Moth scherzò con i colleghi con dicendo «Sembro sembre ubriaca quando parlo». Dopo un anno e mezzo convinse la CNN a rimandarla sul campo. Dove? A Sarajevo ovviamente, dove sentiva di non aver ancora terminato il suo lavoro.

Le gravi ferite riportate a Sarajevo e la conseguente contrazione dell’epatite C, dovuta a una trasfusione di sangue, sono stati solo alcuni degli ostacoli che Margaret Moth ha superato con il suo carattere coraggioso e intraprendente. Nel documentario della CNN Fearless to the end: Remembering Margaret Moth la fotoreporter viene ricordata come senza paura fino alla fine. All’età di 58 anni le venne diagnosticata una forma aggressiva di cancro al colon. Anche in questa occasione, ai microfoni della CNN, non perse il suo spirito ribelle e autoironico:

«Mi sarebbe piaciuto pensare che sarei uscita di scena con un po’ più di stile… l’importante però è sapere che hai vissuto la tua vita al massimo. Potresti essere un miliardario, ma non potresti pagare per fare le cose che abbiamo fatto.»

Margaret Gipsy Moth morì all’età di 59 anni in Minnesota in seguito alle complicazioni derivate dalla malattia. Dietro di sé ha lasciato l’opera di una donna impavida e gentile, pronta a battersi per la verità rimanendo con l’obbiettivo della sua videocamera fermo nell’occhio del ciclone.

Arianna Locatelli
Da piccola cercavo l’origine del mio nome perché mi affascinava la storia che c’era dietro. Ancora oggi mi piace conoscere e scoprire storie di cui poi racconto e scrivo. Intanto corro, bevo caffè e pianifico viaggi.

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