Del: 18 Maggio 2022 Di: Giulia Scolari Commenti: 0
Credere ancora nei miracoli, LaChapelle al MUDEC

Dal 22 aprile all’11 settembre è in esposizione la fotografia di David LaChapelle al MUDEC di Milano, con una mostra personale di oltre 90 opere: noi di Vulcano siamo andati a vederla e ve la raccontiamo. 

David LaChapelle è nato nel Connecticut nel 1963, dove ha frequentato il liceo artistico cominciando la sua formazione come pittore. Durante gli studi si è avvicinato alla fotografia, per la quale ha sviluppato una tecnica analogica che prevedeva la pittura sui negativi per rendere i colori più “sublimi”. Crescere in un paese di pochi abitanti che non sono in grado di uscire dai propri orizzonti ed apprezzare il genio è ciò che ha portato il fotografo a trasferirsi a 17 anni a New York, dove due anni dopo è stato scoperto niente meno che da Andy Warhol. In seguito, infatti, alla sua prima mostra allo Studio 303, il celeberrimo artista ne è diventato mentore. 

La mostra non è organizzata secondo l’ordine cronologico, ma secondo “visioni”: l’artista infatti ha una straordinaria filosofia che fa da sfondo a tutte le opere.

Entrando nella sala a lui dedicata, la prima cosa di cui si fa esperienza è la musica anni ’80 che arriva dalle casse poste nel fondo, dove un filmato chiuderà la mostra. È con il ritmo potente e i sintetizzatori ben in risalto che ci si immerge nell’epoca d’oro della pop culture fatta di colori sgargianti, celebrità innalzate ad idoli, bellezza a tutti i costi e in tutti i modi. Ma le parole di LaChapelle ad aprire la mostra dipingono il quadro spesso taciuto degli anni del benessere: la pandemia di AIDS che ha colpito soprattutto gli Stati Uniti, il numero di morti che essa ha fatto all’interno di quella che era una subcultura già oppressa – gli omosessuali. “Ho conosciuto il mio primo ragazzo a New York City. Avevo 19 anni e lui 21 […], nella primavera del 1984 è morto improvvisamente a causa di una nuova misteriosa malattia. […] Sentivo la morte intorno a me ed ero convinto che io stesso non sarei vissuto oltre i 24 anni”. 

Le prime opere mostrano la vulnerabilità umana e del pianeta: le serie Deluge (2006) e After the Deluge (2006 – 2009) sono ispirate al diluvio universale della cappella Sistina e raccolgono una serie di fotografie di vero impatto. Paesaggi bellissimi sono distrutti da una natura crudele: il male è mostrato in un modo così bello, così in contrasto con il suo significato, che l’unica emozione che è lecito provare è una mesta rassegnazione, come a dire:  “Doveva andare così”. Deluge è spiegato con le parole dell’artista a fianco: “Il diluvio è una grande metafora della perdita di tutto ciò che è materiale, della salute, del corpo: è trovarsi sul letto di morte con un’ultima possibilità di illuminazione”.

David LaChapelle, After the Deluge: Statue, 2007, Los Angeles ©David LaChapelle

Si prosegue poi verso il centro della cultura pop di cui il fotografo è un’icona: pareti piene dei ritratti dei più famosi idoli di ieri e di oggi riempiono l’area successiva.

Britney Spears, Madonna, Tupac e David Bowie sono le facce più rappresentative degli anni ’90, ognuno di loro è ritratto all’interno di uno spazio che li rappresenta: nella visione di LaChapelle diventano una ragazzina al telefono immersa nella cameretta rosa, una femme fatale all’interno di una stanza dal sapore futuristico, un uomo che non ha paura di mettersi a nudo e un chirurgo dell’essere. Al centro: Andy Warhol e una serie di fotografie ispirate alle sue opere più celebri, rivisitate con simpatica ammirazione. Warhol è stata un’influenza importantissima per LaChapelle, non solo per quanto riguarda la tecnica, ma anche per avere un assaggio dell’ipocrisia insita nel mondo dell’arte americano: in più interviste il fotografo racconta di come il suo mentore sia stato criticato da molti prima della morte e che solo in seguito è riuscito ad ottenere la rassegna che ha tanto agognato in vita. 

Ma non mancano i volti che segnano gli ultimi anni: Lizzo è una Venere di Botticelli all’entrata, mentre Doja Cat e Dua Lipa fanno le loro apparizioni, una in abito azzurro per lo shooting di Planet Her e l’altra in body per la cover di Rolling Stone. Ma la vera protagonista della mostra è Kim Kardashian: la si ami o la si odi, è il volto (e la personalità, e il corpo) più iconico della nostra epoca. Persino LaChapelle non ne offre un ritratto univoco: se fa la sua apparizione come una Maria Maddalena piangente (piangente glitter, tutto sommato), è proprio lei a chiudere la mostra con un ritratto controverso

David LaChapelle, Mary Magdalene: Abiding Lamentation, 2019, Courtesy of Reflex Amsterdam ©David LaChapelle

La fotografia che la ritrae mentre guarda in alto e piange brillantini è posta al fianco di un ritratto di Kanye West, della stessa grandezza, con la corona di spine e i colori – caldi, aranciati – opposti. L’artista ha collaborato spesso con i coniugi, a quanto sembra più per il loro indubbio peso all’interno dell’odierna cultura pop e le loro disponibilità economiche che non per una vera simpatia nei loro confronti. La mostra si chiude infatti con Showtime at the Apocalypse, una gigantografia da oltre 250.000$ che è stata commissionata dalla stessa Kim Kardashian come cartolina natalizia della famiglia. L’ambientazione e i protagonisti sono stati però scelti con fermezza da LaChapelle, che ha volutamente escluso gli uomini della famiglia e ha inserito le donne in posa all’interno di un cinema inondato da quello che sembra essere un diluvio universale. Chissà se a loro è sembrato un ritratto lusinghiero!

Un grande artista è in grado di rappresentare l’altro senza la pretesa di afferrarlo: questo è quello che fa LaChapelle, offre la visione dell’altro che è destinata a cambiare a seconda del tempo, del contesto, di chi si trova di fronte. 

Il tema della natura e dei pericoli che corre torna con la serie Land Scape (2013), in cui l’artista riflette sui rischi dell’antropocentrismo e invita ad un uso consapevole delle risorse. 

New World (2007 – 2017) è la serie che arriva subito dopo il trasferimento del fotografo alle Hawaii per una ricerca di pace e tranquillità e gli scatti ne sono profondamente influenzati. I paesaggi ricordano la flora locale, mentre i temi e i personaggi che ricorrono simboleggiano pace e serenità, con evidenti richiami a figure bibliche. La Bibbia e la cultura cristiana sono evidenti influenze della fotografia di LaChapelle, che ricorda tra i momenti più d’impatto della sua vita la sua prima visita alla Cappella Sistina 

Sono numerosi anche altri richiami all’arte italiana: Botticelli in particolare è d’ispirazione (o, per meglio dire, vera e propria citazione) in numerose opere. L’annunciazione, Venere e Marte, le tre Grazie della Primavera e la Venere si possono scorgere in numerose opere. 

Una serie di nuovi scatti in mostra per la prima volta rappresenta proprio una nuova visione del libro sacro che mira a renderne i protagonisti più realistici, risponde alla domanda dell’artista: “Chi frequenterebbe Gesù se tornasse tra noi?”. È così che diverse fotografie ritraggono il messia mentre si trova a cena con spacciatori, prostitute e gangsters. Jesus is my homeboy è forse la serie più controversa dell’artista, egli racconta di averne proposto le idee iniziali al direttore di i-D, che gli ha bruscamente riattaccato il telefono. “Nel mondo dell’arte – dice al Guardian – per scioccare le persone devi parlare di Gesù o di Dio. Le religioni dell’est […] sono cool, […] ma il Cristianesimo ha un’orribile reputazione a causa degli estremisti”.

David LaChapelle, The Holy Family with S. Francis, 2019, Hawaii ©David LaChapelle

La serie più particolare è l’ultima dell’artista in ordine cronologico, ovvero Revelations (2020). Qui l’artista riflette sulla pandemia, su cosa essa ha dato e ha tolto e su cosa in seguito ad essa abbiamo capito essere ciò che ci rende umani. Le fotografie mostrano paesaggi disabitati, atmosfere grigie che fanno disperare, ma in ognuna delle opere vi è un richiamo al bello di essere vivi, umani, alla speranza che non muore. È così che l’artista vuole dire ancora una volta di credere nei miracoli in tutte le loro forme: da quelli che la natura ha fatto per portarci alla vita a quelli narrati dalle leggende; da quelli che dobbiamo fare per evitare il disastro ecologico a quelli che facciamo ogni giorno, semplicemente esistendo.

Foto di copertina: David LaChapelle, Revelations, 2020, Los Angeles ©David LaChapelle

Giulia Scolari
Scienziata delle merendine, chi ha detto che la matematica non è un’opinione non mi ha mai conosciuta. Scrivo di quello che mi piace perché resti così e di quello che odio sperando che cambi.

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