Del: 2 Maggio 2022 Di: Costanza Mazzucchelli Commenti: 0
Intervista a Format Zine

Vulcano Statale ha intervistato Filippo Bugnoli, originario di Busto Arsizio (provincia di Varese), la giovane mente che sta dietro a Format Zine e coordina il progetto, un archivio collettivo che si concretizza in una fanzine di fotografia analogica. L’intervista è nata dalla condivisione di vedute e interessi, a partire dall’importanza di far conoscere e sostenere progetti giovani e indipendenti come Format zine e Vulcano stesso.


Ciao Filippo, come presenteresti Format zine a Vulcano?

Format zine è un progetto nato l’anno scorso, durante la piena pandemia (tra febbraio e marzo 2021). Fin da subito si è rivolto alla fotografia analogica per provare a dare una possibilità alle persone che si interfacciano in modo amatoriale alla fotografia e per cercare di fornire uno spazio più sicuro per la fotografia rispetto ai social, dove spesso i tempi di fruizione sono molto rapidi e i modi poco attenti.

Fin dall’inizio si è cercato di realizzare e proporre una pagina diversa da quelle solite di content creator di fotografia analogica, che non è ciò che ci interessa. Il tipo di persone che partecipa a Format zine è molto vario: dai neodiciottenni che hanno appena iniziato a scattare, fino a persone di quarant’anni che continuano a scattare sia in modo professionale, sia amatoriale.

Come mai la scelta della fotografia analogica?

Semplicemente perché la fotografia analogica è un processo più lento, per cui è interessante anche andare fuori dagli schemi. Esistono tante pagine, magazine e pubblicazioni riguardo alla fotografia digitale, mentre la fotografia analogica è stata spesso presa sottogamba per varie ragioni.

Il progetto di base è creare una fanzine di fotografia analogica stampata, che non resti solo sui social (su cui, comunque, siamo attivi per pubblicizzare i progetto e farci conoscere). Tante volte le foto e le nostre creazioni restano tanto e troppo online, non vengono apprezzate davvero. L’obiettivo è portare tutto fuori e collaborare principalmente con fotografi amatoriali, ma non solo: anche fotografi professionisti ci hanno mandato più volte le loro foto. La fanzine funge da presentazione per fare vedere ciò che i fotografi – amatoriali o professionisti che siano – fanno e hanno intenzione di fare.

Da quest’anno, la pubblicazione della fanzine ricorre ogni tre/quattro mesi, con una distinzione tra volumi “normali” e tematici, a cui partecipano persone scelte da Format zine sulla base di un tema proposto fin da subito, e volumi creati in seguito a un’open call: l’unico requisito per questo tipo di pubblicazione è avere foto analogiche, senza seguire una linea specifica.

Dei volumi che hai prodotto quale ti ha soddisfatto di più? Qualche anticipazione su ciò che andrai a fare nei mesi successivi?

Sono molto legato al primo numero, un po’ perché è stato il primo e un po’ perché per la prima volta in assoluto mi sono trovato a impaginare un volume. È stato veramente interessante capire come far uscire le foto dallo schermo e portarle su un formato cartaceo. Il volume che, però, è al momento più completo è il Volume 3, per il quale ho compreso alcuni errori di scelta o di impaginazione commessi in precedenza. Dal Volume 2 hanno iniziato anche a esserci alcune interviste, tra cui una a Michela Grasso di Spaghettipolitics e una alla simpaticissima Tea Hacic (questa nel Volume 3). Con queste interviste e altri tipi di produzioni si vorrebbe andare, quindi, un po’ oltre la sola fanzine fotografica: le foto continueranno sicuramente ad avere un peso preponderante, ma vorremmo dare spazio anche a interviste, nuovi progetti territoriali ed extra-territoriali e musica.

Che riscontro ha avuto il progetto fino ad ora?

Il riscontro è stato inaspettato, perché nessuno aveva grandi aspettative o grandi obiettivi, se non portare almeno il primo volume a stampa. Molti sono stati contenti che qualcosa venisse pubblicato e venisse fatto in maniera del tutto indipendente. Ci sono tanti altri magazine e tante fanzine che, però, richiedono un supporto economico esterno per essere realizzati, mentre per Format zine sono stati investiti i nostri soldi, che poi sono tornati sotto forma di fanzine. Essere indipendenti è la cosa più importante: le persone lo capiscono, sanno che il progetto parte dal basso e che qui le persone si spendono anche senza essere professionisti, ma con impegno. Alla base del progetto c’è una grande passione, stiamo tutti imparando molto.

Qual è il valore aggiunto dell’essere indipendenti?

Il valore aggiunto può essere il fatto di avere tanta libertà di scegliere e di fare, ma soprattutto di scegliere cosa non fare. Tante volte, altrimenti, ci si ritrova a dover seguire determinate dinamiche obbligate, rischiando di perdere la propria spontaneità. L’idea è quella di portare foto e artisti oltre i canoni, non riconosciuti sui social a livello di follower o mi piace. Nella mia ottica, questi profili sono più interessanti di altri già molto noti.

Il progetto è nato nella fredda provincia di Varese: cosa significa per te lavorare in provincia? Oltre a questo, comunque, ti apri molto a collaborazioni internazionali: come leghi territorio e mondo?

Essere legati al territorio è tanto bello quanto brutto, tanto stimolante quanto stringente. Spesso si pensa che non ci siano alternative in provincia, ma non è così: una volta capito come muoversi, si possono trovare alleati e collaboratori, molte attività ed esperienze attive in provincia, ad esempio nel mondo del second hand o di produzioni editoriali. In provincia a volte è più semplice fare rete, mentre in grandi centri urbani può essere più difficile, a causa dell’enorme mole di offerte valide e del peso della concorrenza.

Le nostre open call sono state due, molto diverse. La prima riguardava foto analogiche provenienti esclusivamente dall’Italia; il numero, uscito poco prima di Natale, ha avuto un ottimo riscontro ed è andato sold out in meno di un mese. Dopo Natale è stata indetta la seconda open call, dal titolo No borders, questa volta di stampo internazionale, per chiarire ciò che facciamo: la fotografia dev’essere politica e deve esprimere concetti politici. Proprio per il fatto che siamo indipendenti, mettere quel qualcosa in più di politico può fare la differenza rispetto ad altri progetti. È importante essere molto solidali, così come le foto che viaggiano per il mondo senza confini.

A proposito di confini – e di conflitti – come vi siete attivati per la questione ucraina?

Al Volume 3 aveva partecipato una ragazza proveniente da Kiev. Già da qualche mese in Ucraina si sentiva che, probabilmente, da lì a poco sarebbe scoppiata la guerra; io e questa ragazza abbiamo ripreso i contatti e ci siamo messi in contatto con altri ucraini, lei mi ha spiegato come fosse la situazione lì e ciò mi ha portato ad elaborare l’idea di un volume totalmente dedicato all’Ucraina, per raccontarla prima, durante e dopo il conflitto. Il Volume è ancora in corso, perché sto ancora scegliendo quante collaborazioni portare a termine, perché tutte le storie che arrivano sono veramente valide. Tanti studenti universitari hanno iniziato a scriverci le loro storie: è molto interessante, ma anche molto emotivamente pesante, per il tipo di foto – talvolta esplicite e molto forti – che riceviamo.

Un laboratorio di fotografia analogica situato a Kiev, Fotovramke, con un seguito notevole, ha iniziato a repostare quanto pubblicato da Format zine sui social. Visto che tutti i laboratori di sviluppo in Ucraina al momento sono chiusi, ci siamo resi disponibili a sviluppare a nostre spese i rullini spediti da persone ucraine, per poi rispedire le foto non appena sarà possibile.

Inoltre, abbiamo realizzato dei poster assieme a Stian Rampoldi, un ragazzo che si occupa di illustrazione: i poster riportano citazioni di Bob Dylan e John Lennon ed esaltano il valore della pace, in netto contrasto con la brutalità della guerra. Il ricavato andrà a favore di UNHCR per la raccolta fondi che si sta facendo per l’Ucraina.

Costanza Mazzucchelli
Classe 2000, studentessa di Lettere. Guardo il mondo attraverso i miei occhiali spessi, ascolto e leggo, poi scrivo di ciò che ho imparato.

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