Del: 20 Maggio 2022 Di: Alice Cutsodontis Commenti: 0
Peli, una nuova battaglia femminista

Quattro servizi, segnati con bollino rosso, sulla questione dell’epilazione femminile sono andati in onda nell’ultimo mese nel noto programma delle Iene su Mediaset. Femministe di ogni età hanno esposto come la moda legata alla peluria non sia che una forma di oppressione del patriarcato e di quanto sia importante la loro lotta per l’emancipazione mostrando fieramente le proprie ascelle folte e le gambe incolte.

Il tutto è cominciato a causa di una gag di Virginia Raffaele durante l’edizione di quest’anno di LOL in cui la comica interpretava una Belen pelosa. Tale approccio ha a dir poco indignato Giulia Zollino (educatrice sessuale, autrice e attivista), secondo cui i corpi delle persone non dovrebbero essere presi come spunto per far ridere, soprattutto per qualcosa di così normale come una gamba non depilata. La questione ha certamente creato un interesse nel pubblico, aprendo un ampio dibattito e spingendo molte altre ad abbracciare questa battaglia, mentre altri hanno additato le ragazze di voler solo fare hype.

La lotta per la normalizzazione della peluria femminile non è certamente moderna come si potrebbe pensare: ha origini addirittura ai movimenti femministi del 1968 e già da diversi anni le celebrità di tutto il mondo cercano di abbattere questo dogma.

Basti pensare alla celebre foto di Emily Ratajkowski del 2019 in cui si mostra con le ascelle totalmente incolte. Moltissime altre donne famose, da Madonna a Cara Delevigne, nonché fotografi estremamente celebri hanno abbracciato questa battaglia, ma ancora oggi il pelo sul corpo femminile vive un vero e proprio stigma. Nei servizi delle Iene le attiviste hanno esposto come siano solite a ricevere insulti se non vere e proprie minacce a causa del modo in cui hanno deciso di gestire il proprio corpo, in quanto donne-oggetto il cui valore è dato solo in base alla loro capacità di avvicinarsi il più possibile a standard di bellezza impossibili, irrealistici e decisi dagli uomini.

In questi casi spesso e volentieri è proprio il pubblico femminile quello che risulta più critico o che richiede una depilazione totale, dato che fin dall’infanzia sono sottoposte allo sguardo giudicante degli uomini, al punto che alcune di loro anche da bambine abbracciano la depilazione senza nemmeno sapere bene il perché. Secondo Bell Olid (autrice di Contropelo), infatti, il concetto di un corpo glabro non è solo normalizzato ma addirittura naturalizzato, tant’è che molte donne non lo percepiscono nemmeno come una costrizione, anche se sottoposte alla ghigliottina pubblica se osano disertare da tale pratica.

La storia della depilazione moderna ha origini all’inizio del secolo scorso in America, dove fino a quel momento essere privi di peli era qualcosa di insolito.

La pratica era riservata alle attrici o a chi si doveva sottoporre a operazioni mediche, al punto che aveva fatto scalpore nel 1920 il caso di una donna in Kansas che si era tagliata cercando di radersi le gambe. Dopotutto i vestiti del tempo, così austeri e coperti, non davano motivo alle donne di svolgere una pratica del genere. Tutto cambia però già dal 1915 quando sulla rivista di moda Harper’s Bazaar inizia a comparire la pubblicità di lamette e creme epilatorie accompagnate da donne con ascelle completamente lisce. Lo spot del tempo recita “la donna di moda dice che il sottobraccio deve essere liscio come il viso”.

Nel giro di poche decine d’anni qualcosa di normale come il pelo diviene così totalmente impudico, sporco e vergognoso che chi non sottostà a tale riforma è sottoposta al biasimo non solo della società ma anche delle istituzioni del mondo della moda. Un esempio moderno di questo ci viene dato da Instagram che nel 2013 blocca il profilo della fotografa Petra Collins dopo un post che ritraeva un pube incolto.

Il livello di peluria concesso è andato via via ad assottigliarsi negli anni fino a sparire completamente con l’inizio del nuovo millennio a causa della pornografia, che per chiare ragioni preferisce attrici completamente glabre, e dei social dove donne “comuni” si mostrano sempre come perfette bambole umane. Zollino durante il primo servizio delle Iene denuncia proprio tale pratica, definendola come un processo di infantilizzazione, quale ennesima espressione del controllo del patriarcato.

In Italia la moda della depilazione arrivò molto più tardi, solo alla fine degli anni ’70, anni in cui dopotutto l’ideale di bellezza erano i corpi muscolosi e scolpiti a suon di pilates di dive come Jamie Lee Curtis e Jane Fonda.

Si va a creare quindi una spaccatura che perdura tutt’oggi nel mondo femminile: da una parte chi abbraccia la moda e dall’altra chi la combatte aspramente con i movimenti femministi, rifiutandosi di sottostare a un ideale di bellezza. È da notare però che l’uomo ha un rapporto piuttosto conflittuale con il pelo sin dall’antichità: quella della depilazione, infatti, è una pratica largamente usata sia dagli antichi egizi, che dai greci o i romani, per non parlare poi del grande culto per la pelle glabra che vede protagonista tutto il mondo arabo nel quale si sviluppano tecniche ancora oggi in uso.

Alla corte di Elisabetta I, fra le varie modificazioni del corpo a cui le donne sottostanno, vi è anche quella di eliminare tutto dal viso fino addirittura a togliere le prime fila di capelli.  Vero è che la cura del pelo coinvolge in parte anche gli uomini, ai quali è richiesta una certa cura nel tenere baffi e barbe. La questione del pelo è quindi assimilabile a un concetto di appartenenza sociale, utilizzata da tempo immemore da tutta l’umanità.

Il patriarcato è il giudizio non richiesto mentre il femminismo contemporaneo è intrinsecamente legato al concetto di libertà: amare chi vogliamo, essere le persone che desideriamo, privi di formalismi imposti alla società, esprimere noi stessi attraverso l’immagine che riteniamo più giusta.

E se quindi è vero che ogni essere ha il diritto di gestire il proprio corpo come ritiene opportuno, senza doversi preoccupare del giudizio o addirittura degli aperti insulti da parte di altri, e che queste donne fanno bene a mostrarsi con naturalezza, è anche vero che non è la prima volta che le donne cercano di liberarsi dagli standard di bellezza (basti pensare al fenomeno delle minigonne degli anni ‘60).

La moda è camaleontica, cambia, si reinventa e si autocita. Nonostante la strada sia ancora lunga qualcosa si sta senz’altro muovendo, basti pensare a Paesi come la Svezia dove le donne vivono un rapporto più sereno con i propri peli o anche alle sopracciglia, che da qualche tempo vanno di moda più al “naturale”. È probabile che fra poche decine d’anni “la questione del pelo” non sia più tale grazie alla sensibilizzazione che si cerca di portare avanti oggi e, in attesa della prima Barbie dalle gambe folte, vi è la speranza che lotte di questo genere non si rivelino un fuoco di paglia liberando le donne da quel senso di dovere nell’essere sempre belle e perfette, in linea con il nuovo movimento delle body neutrality.

Si auspica poi che, sull’onda di questo interesse verso la questione della depilazione femminile, le redazioni comincino magari a mettere in luce anche altre battaglie femministe conosciute ma di cui chiaramente, date le statistiche stabili o addirittura in crescita, non si parla abbastanza, quali la questione delle violenze fisiche o sessuali di cui sono vittime in Italia ben il 31,5% delle donne fra i 16 e i 70 anni, perpetrate principalmente da amici, partner o familiari, o dell’occupazione femminile, calata al 49% dopo il Covid e ancora più tragica per le donne con figli.

Quella della depilazione è senz’altro una lotta degna di nota, ma è parte di un movimento più grande e importante che da decenni cerca di strappare le ragazze dalla condizione di meri oggetti del piacere maschile.

È da ritenersi lodevole che di questi servizi delle Iene si sia occupato un uomo (Alessandro Onnis), in quanto le battaglie femministe possono essere vinte solo nel momento in cui tutti, indipendentemente dal loro genere, si interessano alle “questioni femminili”, ma il fatto che tanta attenzione mediatica sia stata riservata proprio e solo alla peluria delle donne, alla quantità dei peli pubici che viene loro concessa, forse rappresenta un passo indietro rispetto a quelle che sono le intenzioni delle attiviste che hanno partecipato al programma.  

Alice Cutsodontis
Studentessa di marketing (perché fa figo), femminista ma soprattutto scrittrice incapace di stilare una biografia brillante.

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