È uscita lo scorso 6 maggio la seconda stagione di The Wilds, la serie di Amazon Prime diretta da Sarah Streicher. La prima stagione cominciava con otto ragazze su un aereo diretto ad un resort terapeutico di nome Dawn of Eve. Dopo essersi sistemate, ricevevano un pezzo di torta dallo staff e si addormentavano, risvegliandosi mentre l’aereo precipitava nei pressi di un’isola deserta. Secondo una struttura vincente che richiama volutamente Il signore delle mosche e Lost, le ragazze cominciavano a dividersi i ruoli, creare e disciogliere fazioni, sceglievano chi sarebbe stata leader e chi avrebbe eseguito gli ordini. Ma il finale della prima stagione rivelava la vera innovazione della serie: le ragazze non erano capitate per errore su un’isola, bensì erano state scelte come casi studio in una ricerca sui ruoli di genere portata avanti dalla dottoressa Klein (Rachel Griffiths).
La seconda stagione rappresenta una nuova fase della ricerca.
Vi è ora l’introduzione all’interno dello stesso contesto, con gli stessi pericoli e simili background personali, di soggetti maschili. Il continuo della storia vede infatti svolgersi in parallelo gli ultimi giorni sull’isola delle ragazze e l’intera permanenza dei ragazzi.
L’ipotesi iniziale di Gretchen Klein è che le donne, se inserite in un contesto avverso e privo di influenze della società, siano in grado di creare un ambiente pacifico e sopravvivere senza bisogno di conflitti e violenze. Nonostante i litigi che persistono, infatti, la permanenza sull’isola delle ragazze sembra portarle sempre più a collaborare tra loro, prendersi cura l’una dell’altra, concedendosi i propri spazi e i momenti di celebrazione. I rapporti non mancano di tensioni, ma si risolvono in antipatie che non limitano il reciproco bisogno l’una dell’altra e il rispetto. È impossibile fare abituare Fatin (Sophia Tali) ai modi di Leah (Sarah Pidgeon), però nel corso di questa stagione il loro distacco muta: la prima si rende conto che forse c’era qualcosa di vero nelle paranoie della compagna e questo cambia tutto.
Il gruppo dei ragazzi viene presentato più sommariamente di quello delle ragazze: non vengono forniti i background di tutti, quelli che sono mostrati sono ridotti a pochi dettagli che servono solo ad avere un quadro semplicistico del loro passato. A differenza delle ragazze, a loro è proposta un’esperienza che li avrebbe aiutati a diventare “veri uomini”: per alcuni è una punizione, per altri una sorta di premio. Le dinamiche di arrivo sono le stesse, con qualche dose di spavento in più per loro, ma le divisioni all’interno del loro gruppo saranno decisamente più marcate e l’elemento della violenza sarà presente a partire dai primi giorni.
Il finale fa intendere che la terza stagione mostrerà l’ultima parte della ricerca: la fase di sintesi, in cui tutti i soggetti sono posti nel contesto insieme e si osserva come interagiscono tra loro.
The wilds è una serie che nasce da un copioso ed evidente lavoro di ricerca svolto in prima persona da Streicher. L’idea di ipotizzare una ricerca empirica su un argomento tanto discusso è di per sé interessante. Il tutto viene perfezionato da un cast che recita così bene da far sembrare la serie un vero e proprio survival reality invece che un drama.
I personaggi sono per forza di format in continua evoluzione, ma è intrigante notare come siano difficili da collocare in schemi morali anche coloro che rimangono “nel mondo reale”. Gretchen segue il tropos dello scienziato pazzo, ma è un’idea veramente pazza la sua? Se davvero si provasse che le donne al potere sono il primo modo per evitare le guerre e che nonostante la debolezza fisica sono più tendenti a sopravvivere alle avversità degli uomini, non sarebbe un primo passo verso un mondo diverso? La sua ricerca sicuramente lascerà traumatizzati i soggetti coinvolti, ma è un sacrificio così terribile a fronte di opportunità del genere?
Nonostante la serie non sia particolarmente seguita, è considerata dai critici uno dei prodotti migliori.
Con 85% su RottenTomatoes e 4,6 su 5 dalle analisi cumulative offerte da Google, tutti sono convinti di quanto la serie sia di qualità. La scrittura è geniale: se già con le ragazze della prima stagione era stato fatto un lavoro splendido, in questa seconda si assiste ad un ottimo approccio full circle all’esperienza dell’adolescenza. Ognuna delle ragazze era oppressa dalla società patriarcale in un modo specifico. Il sistema sociale che vede l’uomo come superiore alla donna è infatti alla base della struttura sociale che esperiamo. Se nella prima stagione si assisteva alla visione di come ogni donna è vittima di questo processo, in questa seconda gli autori sono stati magistrali nel mostrare al meglio come essa opprima anche l’uomo.
Le storie che più mostrano questa duplice oppressione sono quelle di Martha (Jenna Clause) e Josh (Nicholas Coombe), entrambi vittime di violenza sessuale che reagiscono in modi diversi ma che ne portano il peso e ne sono profondamente traumatizzati. Entrambi mostrano come la violenza faccia sentire deboli e, se la debolezza è qualcosa con cui la donna può e deve fare i conti secondo il sistema (Martha, infatti, interiorizza la violenza pensando di averla meritata), per l’uomo essa non è contemplata, va nascosta, non va nominata, pena l’annullamento della sua natura (così Josh reagisce impedendo a tutti di compatirlo e prendendo lezioni dal macho Kirin).
Il patriarcato è sicuramente al centro della trama, ma, essendo i giovani inseriti nel contesto americano, la critica si concentra molto sulle diverse facce della nazione e sulle sue ipocrisie.
Il personaggio chiave, come lo era Leah nella prima, è Rafael (Zack Calderon): messicano di Tijuana che attraversa il confine ogni giorno per andare a scuola. La sua fidanzata è una ricca ragazza nativa che fa una vita completamente diversa dalla sua e sembra spesso vergognarsi di questo ragazzo così dolce che non è mai stato a una mostra e non ha interessi al di fuori della scuola. Le dinamiche di classe erano già presenti tra le ragazze della prima stagione, ma in questa seconda i personaggi di Bo (Tanner Ray Rook) e Scotty (Reed Shannon) mostrano il vero volto di chi è abituato a non avere nessuno su cui contare e deve diventare selvaggio per proteggersi.
Bo è il figlio di un padre autoritario che non lo considera uomo perché sovrappeso e bonario: sull’isola impara che la sua gentilezza è il collante perfetto per le situazioni di tensione e che in un mondo in cui gli errori non sono puniti con le botte, ma tollerati, anche lui è in grado di brillare. Il passato di Scotty sarà probabilmente meglio analizzato nella prossima stagione, ma da diversi discorsi si deduce che la sua famiglia ha subito il ritiro dei beni da parte della finanza e che ora si ritrova in una situazione diversa da quella in cui era durante l’infanzia.
Le contraddizioni della cosiddetta GenZ sono approfondite anche dai personaggi di Ivan (Miles Gutierrez) e Kirin per quanto riguarda i temi del cosiddetto politicamente corretto. Ivan è un ragazzo omosessuale, extra in tutti i contesti, che è abituato a pensare (come Scotty) a come mostrarsi pronto a difendersi da un mondo che non lo protegge. Questo modo di pensare però diventa un’arma a doppio taglio se non lo si dosa: sono poche le scene riservate alla vita di Kirin prima dell’isola, ma bastano per far capire che è stato un bersaglio trasversale in una guerra che non intendeva combattere.
La trama è, soprattutto in questa stagione nelle parti riservate ai personaggi già conosciuti, piena di colpi di scena al punto giusto: sono numerosi, però, i momenti in cui le giornate non hanno nuove scoperte o nuove attività, perché l’imparare a sopravvivere in un luogo fuori dal mondo è anche imparare ad annoiarsi. Questa è una delle lezioni più importanti che deve imparare Dot (Shannon Berry): arrivata sull’isola dopo aver passato gli ultimi anni a prendersi cura del padre malato, portando avanti la casa e gli studi senza mai fermarsi. Grazie a Fatin e Martha, in questa stagione il personaggio di Dot sarà l’esempio perfetto dell’evoluzione aiutata dalla sorellanza: far rilassare Dot significa più lavoro per tutte, significa maggiori turni e maggior sforzo visto che le altre ragazze non conoscono tutto ciò che lei sa, ma nessuna esita perché il bene della ragazza viene messo al primo posto.
In questa ricerca su come abbattere ciò che ci rende attori sociali per ricreare un modello diverso, sono mostrate tutte le sfaccettature del quadro in cui siamo inseriti fin dalla nascita. Ognuno di questi temi è affrontato dalla serie in modo attento, ma dosato, non vi è la pretesa di appesantire un prodotto che ha di per sé un format tanto complesso. Di certo offre sicuramente ottimi spunti per discussioni che vanno oltre e lascia in attesa di una sintesi che è difficile da prevedere. L’affetto che si va a sviluppare per i personaggi porta a desiderare che riescano nell’impresa di far finire tutto e tornare alle loro vite normali, ma sotto sotto non vorremmo tutti vedere come sarebbe la Dawn of Eve?