Del: 26 Giugno 2022 Di: SIR Commenti: 0
ELISIR. India, proteste contro la riforma militare di Modi

EliSIR è la rubrica di geopolitica e relazioni internazionali curata su Vulcano da SIR – Students for International Relations, associazione studentesca della Statale.


Sono pochi e confusi i dati sulle proteste che nell’ultima settimana hanno preso piede in India.

Un primo bilancio parla di “almeno un morto e dozzine di feriti” e fa riferimento a un episodio dello scorso venerdì avvenuto a Telengana: i manifestanti hanno preso d’assalto la stazione ferroviaria di Secunderabad, dando fuoco ai vagoni di un treno stazionato sui binari, e la polizia ha aperto il fuoco sulla folla.

Con il passare dei giorni, non è ancora chiaro se la vittima sia stata uccisa dagli spari.

Il dato certo è il peso che le proteste contro la riforma militare stanno avendo nel Paese, un problema per il presidente Modi che deve tenere conto del malumore crescente tra le reclute dell’esercito nazionale, suo bacino elettorale di riferimento, e far fronte alle conseguenze della repressione in atto che, per l’ennesima volta, mettono in luce la precarietà del sistema democratico indiano.

La riforma

Agnipath (“La Via del Fuoco”) è il nome della riforma al centro delle ultime controversie.

Nei fatti si tratta di assumere le nuove reclute dell’esercito con contratti a breve termine.

La durata indicata è di quattro anni, sostituendo così il consueto contratto a tempo indeterminato. Una manovra del genere ha ovvie ricadute su stipendi e pensioni del personale militare del Paese e su quest’ultimo punto è concentrato il fulcro dell’azione del governo dal momento che i sussidi per i soldati impegnano più della metà dei fondi stanziati per la Difesa.

Per gli uomini di Modi, la riforma serve a snellire e potenziare l’esercito, limitando l’impegno economico del governo e garantendo una maggiore professionalizzazione delle forze armate. «Un Paese giovane non può permettersi un esercito vecchio», sostiene Ajit Doyal, consigliere della Sicurezza Nazionale indiana.

Sulla base di questo assunto regge il programma dell’Agnipath: le reclute vengono selezionate tra i ragazzi di diciassette e ventuno anni – “i guerrieri del Fuoco” – e solo un quarto di loro accede a un contratto a tempo indeterminato dopo i quattro anni di servizio previsto; i restanti vengono congedati senza pensione.

A questo si affianca l’obiettivo di raggiungere la quota prefissata di cinquantamila effettivi nei prossimi anni (il numero attuale ruota attorno ai quarantamila) dopo il lungo stop ai reclutamenti a causa dell’emergenza COVID.

Le proteste

La reazione popolare è stata quasi immediata. A poche ore dall’annuncio, diversi raggruppamenti spontanei sono andati a formarsi nelle zone del Paese: Uttar Pradesh, Bihar, Rajasthan, Haryana, Uttarkhand, Jharkhand e altri Stati indiani sono stati al centro degli scontri più violenti avvenuti questa settimana tra manifestanti e forze dell’ordine.

Le proteste vanno inquadrate nel contesto più ampio della crisi delle assunzioni che affligge da anni l’India, ed è difficile parlare di un vero e proprio movimento organizzato dietro le rivolte, ma si può identificare nelle reclute ventenni il nocciolo duro dei manifestanti che vedono nella carriera militare la soluzione al problema della povertà diffusa.

«Ritirate l’Agnipath. Non vogliamo lavoro a breve termine, vogliamo lavoro stabile.»

È il grido che ha accompagnato il corteo di bandiere indiane che hanno sfilato per i distretti indiani. A loro si aggiungono civili, donne e movimenti studenteschi di sinistra che si oppongono all’ennesima manovra impopolare del presidente Modi che rischia di aggravare una situazione ormai ai limiti della precarietà.

“L’impresa hindu-fascista”, il commento di Arundhati Roy

Nel dibattito tra sostenitori della riforma e manifestanti, Arundhati Roy, scrittrice e attivista anti-Modi dalla sua elezione nel 2013, sostiene che gli scontri di piazza non avranno serie conseguenze sul sistema indiano, ma ne certificano l’impronta autoritaria che ha assunto negli ultimi anni.

In una lettera ad Al-Jazeera, Arundhati Roy bolla la faccenda come «uno scontro interno della classe egemone in India» che ha contribuito a tacere la repressione in atto verso la minoranza mussulmana del Paese.

La scrittrice fa riferimento ai recenti sgomberi avvenuti nelle zone a maggior densità islamica, interi complessi abitativi demoliti con i bulldozer perché abitati da «sospetti partecipanti alle manifestazioni anti-governative». Secondo questo parere, l’effetto sortito dalle proteste potrebbe avere l’effetto paradossale di rinforzare il presidente in carica e accelerare la transizione dell’India in quella che Roy definisce «l’impresa hindu-fascista».

Articolo di Antonio Pellegrino.

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SIR, Students for International Relations, è un'associazione studentesca attiva in Unimi. Opera nel campo della geopolitica e delle relazioni internazionali.

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