Il 15 di ogni mese, 5 album per tutti i gusti: Giradischi è la rubrica dove vi consigliamo i dischi usciti nell’ultimo mese che ci sono piaciuti.
Cartalavonu Remixes, Planet Opal (Dischi Sotterranei) – recensione di Laura Colombi
«Le rielaborazioni sonore che seguono sono il risultato di incontri di vita concreta, digitale o soprasensibile.» Questa la presentazione del primo album di remix dei Planet Opal, progetto di musica elettronica italiana formato da Giorgio Assi (produttore, sintetizzatori e voce) e Leonardo De Franceschi (batteria e percussioni) a metà tra ispirazioni rock e post-disco. Questo album di remix merita per il cumulo di spunti che sintetizza nelle nove tracce. Un album variegato su cui ci è difficile dire di più. Gli autori dicono che se con Cartalavonu si è potuto osservare il nostro pianeta nel dettaglio, Cartalavonu Remixes allarga l’obiettivo e permette di esplorare le stelle che lo circondano una ad una.
Bar Mediterraneo, Nu Genea (NG Records) – recensione di Laura Colombi
Questa volta bariamo perché il disco è uscito il 13 maggio, ma troppo bello per non meritare almeno una recensione. I Nu Genea non ne sbagliano una e tornano con un disco fresco ed equilibrato. Capace di dire ancora qualcosa su un tema ormai sdoganato come quello dell’identità mediterranea, molto apprezzabile per la spensieratezza e l’entusiasmo che trasmette. E allora chi se ne frega se c’è chi ricorda che i Nu Genea potevano fare di più: tra vecchio e nuovo – numerosi come di consueto i richiami alla disco music anni 70, per citare uno dei tanti generi – BarMediterraneo rimane uno dei lavori più interessanti dell’ultimo periodo tra quelli più ricercati, ma con l’ambizione di rivolgersi a un pubblico ampio.
Belvedere, Galeffi (Universal) – recensione di Giulia Scolari
Il terzo progetto di Galeffi, Belvedere, è uscito il 20 maggio in seguito a tre singoli. Si apre con Un sogno, dalle atmosfere oniriche e tristi, con cui comincia a illustrare temi e metafore che verranno riprese più volte nel corso dell’album. Incomunicabilità, incomprensioni, rapporti freddi che non hanno lunga vita, rimpianti e il tutto raccontato attraverso lo sguardo di chi si vede come un puntino nell’universo circondato da stelle, asteroidi e dallo sguardo che tutto vede della Luna. Dolcevita, sul primo amore con le sue gioie e dolori è uno dei pezzi più belli, seguito subito dopo da Asteroide che è un po’ più debole, ma vanta alcune tra le immagini più vivide dell’album. Leggermente è stata presentata in anteprima durante alcuni live e ricorda il Galeffi di Scudetto, una canzone più allegra del solito, ma che mantiene la stessa tenerezza tipica del cantante. Il brano più riuscito è forse In questa casa: una riflessione su una relazione finita a causa del cantante, che si è ritrovato a perdere una persona speciale. «In questa casa non c’è nessuno, porca miseria», chiude il brano lasciando l’amaro in bocca, favorendo l’empatia di coloro che sono stati sia da una parte che dall’altra di questa dinamica classica. San Francisco ha un motivetto allegro e facilmente memorabile, mentre il successivo Cinema fantasia riprende immagini malinconiche e toni tristi. Divano nostalgia è stato l’ultimo singolo della promo ed è una delle canzoni più belle. È sempre una riflessione su una relazione finita, ma lascia molto più sereni. Tua sorella è forse il brano più debole dell’album mentre Appassire, il primo singolo, è un ottimo esempio dell’evoluzione dell’artista e regala una bellissima immagine della partner vista come un fiore che si lascia appassire, forse una delle più forti presenti. Due girasoli e Malinconia Mon Amour, gli ultimi due brani, riprendono l’amato francese e le immagini parigine tipiche dell’artista, rimangono una nel cuore e l’altra in testa. Un altro bellissimo album che assicura Galeffi come uno dei più interessanti artisti italiani degli ultimi anni.
Artificial brain, Artificial brain (Profound Lore Records) – recensione di Gabriele Benizio
Questo disco ci ricorda due cose che stanno fortemente in tensione fra loro: il death metal ha ad oggi poco da dare, tuttavia, un disco death metal ben fatto è sempre piacevole da sentire. Se volete esperienze estreme gli Artificial brain hanno ciò che fa per voi. Dopo due buoni lavori si riconfermano con il loro terzo album ufficiale, una proposta che non ha davvero nulla di nuovo ma per lo meno suona come dovrebbe suonare un disco death metal nel 2022. Tra chitarre infernali e tematiche fantascientifiche, gli Artificial Brain dipingono atmosfere apocalittiche ed epiche; le scelte compositive sono sempre molto azzeccate, in pezzi come Celestial cyst sembra quasi di sentire una versione death metal degli Isis. Tuttavia è opportuno rimarcare il valore estremamente “settoriale” del disco: se non vi piacciono molto le derivazioni più estreme del metal non sappiamo quanto possiate trovarci qua dentro, ma se vi piacciono troverete sicuramente un lavoro che potrà soddisfare il vostro palato.
Pripyat, Marina Herlop (PAN) – recensione di Gabriele Benizio
Marina Herlop si è dimostrata con Pripyat un’artista estremamente eclettica e creativa. In questo disco unisce tradizione e innovazione. Da una parte abbiamo elementi folk e di musica classica, tra cui spiccano contaminazioni di musica carnatica, ovvero musica proveniente dalle regioni meridionali dell’India, e di musica corale; dall’altra il glitch pop e la deconstructed club, in una sorta di via di mezzo tra Bjork e Arca. Il risultato è un progetto che ha un’estetica futuristica e caotica ma al contempo solenne, con quella punta di esotismo che non guasta. Il disco non è ovviamente esente da difetti: l’amalgama non riesce sempre perfettamente, qualche pezzo sconclusionato c’è e le tante cose che cerca di fare a volte sono forse troppe; tuttavia, l’artista in questione osa molto, e propone quella che è una delle proposte più peculiari della musica elettronica contemporanea e di sicuro un progetto di rilievo che merita più di un ascolto.