Sunday Bloody Sunday è tuttora una delle hit più famose degli U2, popolare rock band irlandese che, nel suo vasto repertorio, conta più di una canzone socialmente impegnata. Quante volte capita di canticchiare il testo di una canzone in lingua straniera senza rendersi conto del messaggio nascosto dietro quelle parole? Sunday Bloody Sunday è proprio uno di questi brani, registrato dalla band nel 1982 e uscito per la prima volta nel loro album War del 1983.
I can’t believe the news today. Oh, I can’t close my eyes and make it go away
Così si apre la canzone, ed è così che inizia anche la storia di questo testo, scritto da Bono (all’anagrafe Paul David Hewson), il cantante del gruppo.
Ancora un ragazzino di soli undici anni, Paul sente la notizia della tragedia, probabilmente alla radio: la divisione paracadutisti dell’esercito inglese ha sparato contro una folla di manifestanti disarmati nella città nordirlandese di Derry. L’episodio dura solo una decina di minuti, al termine dei quali si contano quattordici vittime e altrettanti feriti. Tra le vittime anche un uomo che non stava partecipando alle proteste, ma si trovava semplicemente sul luogo per visitare un amico.
La dinamica della strage è ben presto spiegata.
È il 30 gennaio 1972 e a Derry era stata organizzata una marcia di protesta dalla componente cattolica della città. Migliaia di persone vi prendono parte e, per mantenere la situazione sotto controllo, il governo inglese invia la divisione paracadutisti come rinforzo militare. Poco prima delle ore 16, in pieno pomeriggio, il battaglione inglese, sentitosi minacciato da una folla armata di sassi, bombe a mano e pistole, apre il fuoco sui manifestanti. Questo è quello che si legge nella relazione presentata dopo le prime indagini sui fatti.
Ma la verità su ciò che è avvenuto quella domenica pomeriggio si avrà solo a decenni di distanza, quando nel 1998 l’allora primo ministro inglese Tony Blair fa aprire una nuova inchiesta. Inutile dire che la cosiddetta Inchiesta Saville si chiude con un esito molto diverso rispetto alla prima. Nel 2010 esce un documento di oltre mille pagine che spiega cosa sia davvero successo: i manifestanti cattolici erano disarmati e molti sono stati colpiti mentre scappavano, cercavano di prestare soccorso ad altri feriti oppure mentre sventolavano un fazzoletto bianco. I paracadutisti non distinguono tra i rivoltosi più agguerriti e i manifestanti pacifisti; molte vittime non hanno neanche trent’anni, alcune nemmeno venti.
Broken bottles under children’s feet. Bodies strewn across the dead-end street
Le ragioni dietro alla strage non sono altrettanto facili da spiegare.
Esse affondano le loro radici nel secolare conflitto tra Repubblica d’Irlanda, a maggioranza cattolica, e Gran Bretagna, a maggioranza protestante, per il controllo sulle contee dell’Irlanda del Nord (tuttora parte del Regno Unito). Troubles è il termine utilizzato per delimitare quel periodo di tempo che va dagli anni ’60 e arriva alle soglie del nuovo millennio, durante il quale il conflitto intestino nordirlandese ha visto scontri durissimi tra i protestanti unionisti (fedeli alla corona inglese) e i cattolici repubblicani (favorevoli all’annessione alla repubblica dell’Eire). Un conflitto esacerbato dalla presenza di apparati paramilitari da entrambe le parti, l’UVF e l’IRA, solo per citare i più noti. Semplificando si potrebbe dire che la fetta di popolazione protestante godeva della protezione della polizia nordirlandese e inglese, aveva migliori opportunità lavorative e quindi migliori condizioni di vita rispetto ai cattolici.
Sta di fatto che quella domenica maledetta e sanguinosa (perché in inglese bloody vuol dire entrambe le cose) rimane impressa nella mente del giovane Paul — irlandese, figlio di padre cattolico e madre protestante — che, a distanza di dieci anni dalla strage, deciderà di rendere il suo omaggio con una canzone.
Sunday, Bloody SundayHow long, how long must we sing this song? How long? How long?