«Muoio come uno stronzo e ho fatto solo due film» ha detto Claudio Caligari al suo eterno amico Valerio Mastandrea a un semaforo rosso, poco prima di finire il montaggio del suo terzo film Non essere cattivo, non molto prima di morire e lasciare il mondo con la sensazione addosso di aver fallito, di non aver fatto abbastanza.
Forse per questo Caligari si definiva uno stronzo, forse perché ha scritto e diretto solo tre film in quarant’anni, forse perché non ha mai accettato di prestarsi alle dinamiche produttive italiane e ha deciso quasi ideologicamente di portare avanti la sua idea di cinema con il suo tempo e di cercare ossessivamente la storia giusta al momento giusto.
Un inseguimento rigido e testardo verso il mondo degli ultimi, degli invisibili e della periferia, un lucido sguardo verso una realtà nascosta e lasciata indietro che Caligari mantiene e approfondisce in ogni suo progetto, dal suo primo film Amore tossico attraverso il racconto della droga e del suo oblio fino al suo seguito spirituale Non essere cattivo, passando per L’odore della notte (disponibile su Amazon Prime Video), che si colloca perfettamente al centro e si distacca dagli altri due grazie all’inserimento di una spiccata componente noir e del surreale tragicomico che sostituisce il crudo realismo.
Remo Guerra (Valerio Mastandrea), ironia di una sorte non decisa dal caso, è un infelice poliziotto che di notte diventa il capobanda di un gruppo scapestrato di uomini che ruba e saccheggia dentro le ricche case romane.
Un uomo che rappresenta la legge e fa il ladro, che toglie ai ricchi non per dare ai poveri come Robin Hood, ma che toglie ai ricchi per sentirsi vivo, per ribellarsi a un sistema dentro cui si sente schiacciato e intrappolato.
Remo, Maurizio (Marco Giallini) e Roberto (Giorgio Tirabassi) girano per le strade della capitale come tre reietti, sputati fuori e rifiutati dalla luce del giorno e che trovano solo nella notte e nell’illegalità un luogo sicuro.
Uno lo fa perché ama rubare e guidare le macchine, uno perché ne ha bisogno e l’altro perché ne sente il bisogno; tre motivi diversi che li portano però verso il medesimo punto, verso un futuro e una condizione vitale già scritta in partenza.
Ed è qui che la forte critica sociale di Caligari si inserisce ed esplode in tutte le sue sfaccettature: in un mondo costruito tra fortissime disparità sociali e distanze umane così nette è impossibile uscire dalla strada tracciata dal destino, o dal caso, o dal nulla cosmico che regola tutto questo.
Remo è un uomo della borgata romana, di estrema periferia, che vive e ha vissuto nello strato più invisibile del mondo, quello abbandonato e lasciato solo e non può fare altro che restare e cadere nell’invisibilità, in una vita fatta di droga, furti e illegalità.
Remo non è che non riesce a tirare fuori la testa dalla sabbia, a uscire da quella gabbia che non gli permette di essere ciò che vuole, il vero problema è che non vuole tirare fuori quella testa, non ha la forza di uscire da quelle sbarre che gli sono state imposte e di evadere da un contesto sociale ormai troppo radicato dentro la sua persona.
Remo potrebbe fuggire, ha un lavoro onesto, la possibilità di aprire un bar con i suoi amici, ma ciò che ha dentro lo spingerà sempre verso il mondo in cui è cresciuto e a cui appartiene, verso quell’oblio che tristemente finisce per accettare come unico luogo in cui essere vivo, verso la triste consapevolezza di aver perso una battaglia neanche iniziata.
La potente tematica Caligari però non la inscena come in Amore tossico e Non essere cattivo, la costruisce abbandonando lievemente l’estremo realismo e giocando con la tragicommedia e ribaltando alcuni suoi stilemi classici.
Inserisce scene come quella del furto in casa del cantante Little Tony dove i ladri gli fanno cantare Cuore matto così da distendere la pesante tensione che si percepisce per l’intero film e anche per far emergere in un modo diverso come l’odore della notte non riesca ad andare via, a evaporare dal corpo di quelle persone dimenticate.
Caligari con i suoi tre splendidi film ha tracciato una linea, un percorso cinematografico e ideologico preciso, tre progetti che riescono a intersecarsi e ad essere legati da un sottile filo che il regista è riuscito a non rompere.
E Valerio Mastandrea quando a quell’affermazione così dura a quel semaforo ha risposto «C’è gente che ne ha fatti trenta ed è più stronza di te» aveva ragione, perché Claudio Caligari anche se ha fatto solo tre film, anche se poteva farne altri dieci, anche se non ha mai avuto la riconoscenza che meritava, ha scritto a modo suo la storia del cinema italiano.