Del: 16 Giugno 2022 Di: Giulia Tribunale Commenti: 0
Nationality and Borders Bill per un’Europa sempre più xenofoba

«Vogliamo riprenderci il controllo dei nostri confini» è stato uno degli slogan più incisivi della campagna referendaria pro-Brexit, e continua a esserlo ancora oggi, a due anni dalla ratifica del divorzio tra Regno Unito ed Unione Europea. Dopo l’introduzione, a
partire dal 1° gennaio 2021, di un sistema “a punti” per regolare i flussi migratori, mirato a privilegiare il talento e le competenze al posto del paese di provenienza, il 26 aprile scorso il Parlamento ha approvato il Nationality and Borders Bill, e con esso una serie di riforme in materia di asilo e immigrazione.

Ma cosa prevede nel dettaglio questa legge e perché viene considerata crudele e disumana nei confronti dei rifugiati?

Dalle parole del Primo ministro Boris Johnson e del Segretario di Stato per gli affari interni Priti Patel, l’intento della legge sarebbe quello di scoraggiare l’immigrazione per vie illegali e proteggere coloro che si trovano in una situazione di ‘reale necessità’ attraverso un sistema a due livelli volto a distinguere i richiedenti asilo in “Gruppo 1” e “Gruppo 2” in base alla modalità del loro arrivo. Questa distinzione giustificherebbe un trattamento discriminatorio da parte delle autorità verso i rifugiati del secondo gruppo: una palese violazione dell’articolo 31 della Convenzione sui rifugiati, il quale esenta i richiedenti asilo dalla penalizzazione in caso di ingresso irregolare, riconoscendo che in molti casi non c’è altra scelta.

Tra le altre disposizioni, verrà aumentata la pena massima da sei mesi a quattro anni di detenzione per chi entrerà nel paese illegalmente e introdotto il rimpatrio per i richiedenti asilo arrivati nel Regno Unito dopo aver attraversato un “paese sicuro”. Inoltre, agli agenti di frontiera verranno conferiti maggiori poteri, tra cui quello di intercettare e bloccare le imbarcazioni su cui viaggiano i migranti e respingerle verso il porto di partenza.

La legge si propone di agire anche retroattivamente ed è quanto disposto nella clausola 9, il cui contenuto è stato dibattuto per ben nove minuti alla Camera dei Comuni: conferisce al segretario di Stato il potere di privare un individuo della cittadinanza britannica senza preavviso, per ragioni di pubblico interesse o sicurezza nazionale – motivazioni talmente vaghe da rendere virtualmente a rischio di perdere la propria cittadinanza (e i diritti e il senso di identità e appartenenza ad essa connessi) circa sei milioni di persone, molte delle quali sono nate sul suolo del Regno Unito e non sono mai state altrove. Secondo un’analisi di New Statesman, la disposizione colpirebbe 2 persone su 5 appartenenti a minoranze etniche non bianche.

Ma la novità più importante riguarda l’introduzione di centri di detenzione offshore sulla scia del modello australiano, recentemente adottato nel continente europeo anche dalla Danimarca.

Il 14 aprile scorso il governo britannico ha siglato un accordo di cooperazione con il Ruanda, in base al quale i richiedenti asilo giunti a partire dal primo gennaio 2021 in territorio inglese con mezzi ritenuti illegali verranno trasferiti – il termine utilizzato è relocated – nel paese dell’Africa Orientale; qui attenderanno l’esito della loro richiesta di asilo: se otterranno lo status di rifugiato, sarà loro permesso di vivere in Ruanda, ma nessun biglietto di ritorno per il Regno Unito. Un accordo che costerà al governo inglese almeno 120 milioni di sterline, ma necessario, secondo Johnson, poiché l’attuale sistema di asilo crea una pressione insostenibile per i contribuenti e per coloro che arrivano in Inghilterra con mezzi legali. Eppure, secondo la segretaria ombra Yvette Cooper, confrontando le spese affrontate dal sistema australiano, l’esternalizzazione delle domande di asilo risulterebbe cento volte più costosa rispetto alla stima attuale di 12 mila sterline.

La riforma ha generato un’ondata di dissenso, sia all’interno del governo stesso, da parte dell’opposizione laburista che ha accusato il Primo Ministro di voler deviare l’attenzione dal partygate che lo vede protagonista, sia a livello internazionale, da ONG e attivisti per i diritti umani. La legge, infatti, viola il principio di non-refoulement disposto dalla Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati, secondo il quale nessun rifugiato può essere respinto verso un Paese in cui la propria vita o libertà potrebbero essere seriamente minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche.

Sebbene il Primo Ministro si sia più volte espresso in merito alla sicurezza del Ruanda, «riconosciuto a livello mondiale per il suo primato nell’accoglienza e integrazione dei migranti», non poche organizzazioni hanno messo in luce l’effettiva situazione dei diritti umani in Ruanda e sollevato preoccupazioni sul trattamento dei rifugiati. Human Rights Watch scrive che tra febbraio e marzo 2018 le autorità ruandesi hanno ucciso 12 rifugiati congolesi durante una protesta contro il razionamento e arrestato molti altri con varie accuse, tra cui la diffusione di false informazioni con l’intento di creare un ambiente ostile.

Lo stesso Ministero degli Interni inglese ha sollevato preoccupazioni sul trattamento delle persone LGBTQI+, dichiarando di monitorare la situazione per ottenere maggiori evidenze: a nulla sono servite le testimonianze raccolte da HRW di ruandesi appartenenti alla comunità per compromettere il partenariato. Amnesty International ha evidenziato violazioni del diritto a un processo equo e alla libertà di espressione; le stesse preoccupazioni sollevate dal governo britannico, in una dichiarazione pubblicata il 25 gennaio 2021.

Non solo, dunque, il Regno Unito rifiuta gli obblighi internazionali di accoglienza e protezione, gestendo i richiedenti asilo non come vite umane ma come merci di scambio del libero mercato, ma, ancora una volta, i paesi ricchi ‘scaricano’ le loro responsabilità ai paesi in via di sviluppo: questi ultimi, in particolar modo l’Africa, ospitano l’85% dei rifugiati nel mondo.

Il 14 giugno sarebbe dovuto partire il primo aereo verso il Ruanda con a bordo sette passeggeri, numero ridotto rispetto a quando ne era stata data notizia a maggio. All’ultimo minuto la Corte Europea dei diritti dell’uomo, di cui il Regno Unito fa ancora parte, ha emesso una misura provvisoria urgente e giuridicamente vincolante contro l’espulsione del passeggero K.N., arrivato dall’Iraq ad aprile, che aveva fatto domanda di asilo il 27 maggio. Secondo la Corte, per K.N. esisterebbe un reale rischio di danni irreversibili, e nessuna rimozione potrà essere autorizzata prima di tre settimane dalla sentenza finale del processo di ricorso.

La decisione della Corte ha innescato ulteriori appelli che hanno bloccato l’intero aereo. Tuttavia, il piano di deportazione esiste ancora e Priti Patel ha annunciato che il prossimo volo è già in programma.

Giulia Tribunale
Femminista per necessità, polemica per natura. Scrivo di politica e temi sociali e ho un debole per le mappe geografiche e le letture in riva al mare. Il mio peggior nemico? Le fake news. Sogno un mondo che onori la diversità e abbandoni l’individualismo.

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