Del: 21 Giugno 2022 Di: Giulia Ariti Commenti: 0
La notte di Sigonella, storia di un dirottamento

Radici racconta fatti, personaggi e umori della storia della Prima Repubblica italiana, dal 1946 al 1994. A questo link è possibile trovare gli articoli precedenti della rubrica.


Per comprendere cosa accadde quella notte tra il 10 e l’11 ottobre 1985 a Sigonella, è necessario risalire ad una vicenda che l’allora Ministro degli Esteri, Giulio Andreotti, descrisse efficacemente con un certo sdegno:

Com’è possibile poi che un equipaggio composto non da ‘figli di Maria’, ma da marittimi di Torre del Greco si lasciò tenere per alcuni giorni sotto scacco da quattro persone? E che il Capitano poi, parlando con Craxi al telefono dicesse che non era successo niente, mentre invece era stata uccisa una persona?

Quando quattro terroristi palestinesi presero il controllo dell’Achille Lauro, la nave italiana stava compiendo una crociera nel mediterraneo: a bordo, tra equipaggio e passeggeri, c’erano più di 500 persone. Si trattava di quattro giovani appartenente al Fronte di Liberazione Palestinese, una corrente radicale e minoritaria dell’OLP (Organizzazione di Liberazione Palestinese).

Giovani – uno di loro persino minorenne – e disorganizzati: i quattro erano saliti a bordo della nave a Genova, con passaporti falsi, ma presto furono scoperti dall’equipaggio di bordo, che, però, il 7 ottobre alle 1985 si trovò intimidito dai kalashnikov e sotto al controllo dei terroristi. 

Il mayday raggiunse Roma appena in tempo: rapidamente Giulio Andreotti attivò un’unità di crisi per stabilire un dialogo con i terroristi.

Essi in serata dichiararono di essere parte dell’Olp e di pretendere la liberazione di 50 detenuti palestinesi in Israele in cambio della fine del dirottamento. Nel mentre la nave, che originariamente avrebbe dovuto attraccare in Egitto, aveva intrapreso il viaggio verso la Siria.

I negoziati ricevettero subito il veto degli Stati Uniti che, al grido: «Con i terroristi non si scende a patti», ricevettero in risposta continue minacce di uccidere un passeggero ogni tre minuti. Il governo Craxi, però, ignorò le pretese degli Usa, ricordando che, a bordo della nave, non erano presenti solo passeggeri americani, ma anche portoghesi, austriaci, svizzeri, tedeschi e italiani. 

Nel frattempo, Andreotti stabilì un contatto con un amico, Yasser Arafat, capo dell’Olp, che negò qualunque coinvolgimento dell’organizzazione e sottolineò il pieno supporto al governo italiano nella trattativa; anzi, Arafat, scampato ad un tentativo di eliminazione da parte israeliana solo alcuni giorni prima, condannò immediatamente l’iniziativa definendola un tentativo di sabotaggio degli sforzi di pace faticosamente perseguiti anche dal governo italiano. Due emissari di Arafat si unirono alle negoziazioni: il suo braccio destro, Hani el Hassan, e Abu Abbas, leader della FLP, di cui i terroristi facevano parte e – come si scoprì in seguito – mandante del dirottamento. 

Il 9 ottobre, proprio grazie all’intervento del mediatore Abu Abbas, i dirottatori ripresero il viaggio verso Port Said, in Egitto.

La nave sarebbe stata riconsegnata in cambio di un salvacondotto da parte dell’Italia, che avrebbe permesso la fuga dei terroristi in un Paese arabo. L’unica condizione posta dallo stesso Craxi: tutti i passeggeri avrebbero dovuto essere incolumi. 

Sull’incolumità dei passeggeri e dell’equipaggio garantì Gerardo De Rosa, comandante dell’Achille Lauro. Sembrava una storia a lieto fine quando, alle 15.30 del 10 ottobre, l’Achille Lauro fu liberata. Fu questione di tempo prima che si spargesse la voce dell’omicidio di Leon Klinghoffer, ebreo americano di 69 anni che, a causa di un ictus, si trovava sulla carrozzina a rotelle. 

«Se avessimo saputo dell’omicidio – dichiarò in seguito Giulio Andreotti – non saremmo mai scesi a patti: sarebbe stato un vero e proprio favoreggiamento a delinquere».

Venute a mancare le condizioni, fu immediata la richiesta di estradizione da parte dello stesso Craxi: i dirottatori dovevano essere processati. La reazione degli Stati Uniti alla notizia del connazionale ucciso fu immediata: richiesta l’estradizione negli Usa, il Presidente Reagan iniziò ad esercitare pressioni sul Presidente del Consiglio, che rimase irremovibile. 

Il caso di Sigonella ebbe luogo nella notte tra il 10 e il 11 ottobre.

L’aereo con a bordo i terroristi e i due mediatori di Arafat fu intercettato da quattro Boeing F-14 all’altezza dello spazio aereo maltese, dirottando la traiettoria verso la Sicilia, nell’aeroporto militare di Sigonella, che comprendeva una Naval Air Station di competenza Nato. 

Solo allora iniziarono i tentativi di contatto americani con Bettino Craxi: in un primo momento irraggiungibile, rispose alla sola chiamata di Michael Landeen, conoscente di Craxi dal periodo del perfezionamento universitario e a cui, però, lo stesso Craxi si rifiutava di riconoscere il ruolo di portavoce di Reagan. 

Tuttavia, l’aereo atterrò alle 00.15 sul suolo di competenza italiana. Su richiesta di Bettino Craxi, l’aereo venne immediatamente circondato dai  Vigilanti Areonatica Militare di leva, a cui poi si aggiunse la Delta e i carabinieri, giunti da Siracusa nella mezz’ora successiva, in tre cerchi concentrici. Le insistenze americane erano di ottenere non solo i quattro terroristi, ma anche i due mediatori verso cui nutrivano sospetti che, però, non potevano essere confermati. Alle 3 del mattino, una chiamata tra il Presidente Reagan e Craxi vide nuovamente Landeen come interprete. 

«Il governo non può sottrarre con proprie decisioni – avrebbe insisito Craxi – alla competenza dei nostri tribunali, i responsabili del dirottamento dell’Achille Lauro.» Poi la promessa: «Farò accertamenti sugli accompagnatori»

Si presume che il gap linguistico fu la causa dell’incidente diplomatico a seguire.

Gli americani infatti ritengono che le parole pronunciate da Craxi, documentate dalla registrazione della telefonata, siano state «consegnerò gli accompagnatori».

Gli italiani arrestarono i quattro terroristi, ma i due accompagnatori erano ospiti del Cairo: l’aereo prestato dall’Egitto era in missione governativa e godeva del regime di extraterritorialità. I militari americani si ritirarono alcune ore dopo, sotto comando dello stesso Presidente, ma la situazione non fu risolta. 

Il velivolo lasciò l’aeroporto di Sigonella, diretto per Ciampino, dove sarebbero stati effettuati altri accertamenti; dalla pista siciliana si alzò in volo anche un aereo Usa non autorizzato, che si mise in scia al Boeing egiziano. Il pilota non rispondeva alle domande di identificazione e chiedeva ai nostri caccia di allontanarsi. All’atterraggio a Roma, il veicolo americano era a poche decine di metri di distanza: l’ambasciatore Maxwell M. Rabb dichiarò lo stato di arresto provvisorio per Abu Abbas, ai fini di estradizione, con l’accusa di pirateria, cattura di ostaggi e associazione a delinquere. La risposta italiana fu negativa e Abbas lasciò l’Italia.

Ricorda l’ammiraglio Fulvio Martini:

Quando Abu Abbas lascia l’Italia, il governo italiano non aveva alcuna prova che il palestinese fosse il capo dei terroristi e personalmente responsabile del dirottamento dell’Achille Lauro: lo sostenevano gli americani, ma le autorità italiane non erano riuscite ad avere le prove dei legami tra quel dirigente del Fronte per la Liberazione della Palestina e i quattro dirottatori. Per questo l’Italia, ligia alla parola data a Mubarak e ad Arafat, e anche secondo alcuni principi di diritto, non poteva trattenerlo.

E continua:

Soltanto alcuni giorni dopo ci fu consegnata la documentazione completa dal Mossad e quindi chiarificatrice dei colloqui tra Abbas e i quattro terroristi della Achille Lauro: le loro comunicazioni erano state intercettate dai mezzi elettronici di vari Servizi americani; forse, se ce l’avessero date un po’ prima, le cose sarebbero andate diversamente.

Con quella documentazione, la Magistratura condannò nel 1986 Abbas all’ergastolo in contumacia. 

Il 17 ottobre, Craxi riferì la vicenda in Parlamento, seguita dalle proprie dimissioni: l’immagine dell’Italia, ad opera della stampa americana e dalle dichiarazioni dello stesso ambasciatore Rabb che accusò l’Italia di favoreggiamento al terrorismo, era fortemente compromessa. Il giorno prima, inoltre, i ministri filoamericani avevano lasciato il governo.

Craxi annullò il viaggio a Washington, in cui avrebbe dovuto incontrare Reagan per confermare lo stato di alleanza tra l’Italia e gli Stati Uniti. «Mi giunse una lettera personale dal Presidente Usa – racconta il Presidente Craxi alcuni anni dopo – in cui mi chiamava per nome: il messaggio era “caro Bettino, non fare così: siamo amici”».

Il 24 ottobre Craxi incontrò Reagan a Washington. “Amici come prima”, affermò il leader socialista, cui Reagan rispose:  «L’amicizia tra Stati Uniti e Italia è salda e nulla potrà turbarla». 

Una settimana dopo, il Presidente della Repubblica Cossiga avviò la procedura di risoluzione della crisi con il rinvio del Governo alle Camere: il 6 novembre 1985, la Camera approvò le comunicazioni del governo sulla politica estera del 17 ottobre con 347 voti favorevoli e 238 contrari. 

Giulia Ariti
Studentessa di Filosofia che insegue il sogno del giornalismo. Sempre con gli occhi sulla realtà di oggi e la mente verso il domani.

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