Del: 28 Luglio 2022 Di: Luca Pacchiarini Commenti: 0
Da rivedere per la prima volta. E morì con un felafel in mano

In questo luglio dal caldo sfiancante giustamente si può non avere molta voglia di guardare un film impegnativo: sono troppo poche le forze per godersi un grande classico o simili. Ma le giornate estive sono lunghe e spesso non passano proprio, quindi un film semplice, leggero, divertente ma comunque di qualità può essere una buona soluzione per godersi del tempo. E morì con un felafel in mano è esattamente questo: una commedia semplice, scorrevole ma mai prevedibile, capace di dare momenti di grande risata e di genuina riflessione.

È un film australiano del 2001, diretto da Richard Lowenstein e ispirato all’omonimo romanzo di John Birminghan. La storia inizia con la morte di Flip, ritrovato dal suo coinquilino Danny davanti alla tv con un felafel in mano. Da qui parte un lungo flashback che ripercorre le lunghe vicende di Danny, costretto a lasciare e cambiare casa per i motivi più disparati come un rito pagano, minacce di due violenti poliziotti e creditori che inseguono Danny. Lui ad ogni casa si ritroverà circondato da bizzarri coinquilini, situazioni assurde e momenti surreali; tuttavia, i suoi amici più cari lo seguiranno ad ogni cambio casa, volenti o nolenti, ogni volta per un motivo diverso. Tra di loro vi sono: Sam (Emily Hamilton), Flip (Bret Stewart), Milo, Anya e Taylor.

La condizione precaria di Danny è il cardine di tutta la narrazione, lui è un trentenne che non ha particolari piani per il futuro, è perso in una stasi perenne, dice di essere uno scrittore ma non ha mai scritto nulla, cerca un lavoro in modo molto estemporaneo, perlopiù si lascia trasportare dagli eventi e li vive così come gli arrivano. Intrepretato magnificamente da Noah Taylor (stesso attore che fa il padre di Charlie ne La fabbrica di cioccolato di Tim Burton), con il suo viso incarna totalmente l’essenza del personaggio, in parte l’esempio di una generazione senza strade, costretta a dover ragionare in un modo che non leappartiene e forse non ancora interessata a soppesarsi le responsabilità; ma non è un debole e, sempre, con forza riesce ad andare oltre ai numerosi ostacoli che gli si palesano.

Si riesce facilmente a voler bene a questo personaggio, ci si rispecchia in molte delle sue azioni e nelle sue paure.

Se Danny è l’epicentro della pellicola, ugualmente importante è tutto ciò che gira intorno a lui, ovvero i personaggi che si incontrano. Sono dei più variegati: da un banchiere che vive in una tenda a Flip che prende il sole di notte per avere la tintarella di luna, da una donna nevrotica e perennemente sulle spine a Anya che fa riti pagani per combattere il patriarcato, e altri ancora, grotteschi o stravaganti. Così sono anche le situazioni e soprattutto i discorsi che questi avranno nelle loro case.

Proprio i dialoghi sono uno degli aspetti migliori e più riusciti dell’opera. Sono squisitamente strampalati, del tutto singolari, inverosimili, surreali ma mai irreali.

Questo stare nel mezzo tra impossibile e verosimile provoca il riso e fa funzionare benissimo la commedia. Un esempio è questa scena:

Qui i personaggi stanno discutendo di Le Iene di Tarantino: è piacevolmente comune nel film la grande quantità di citazioni e riferimenti presenti

In questa piccola sequenza si possono notare molti altri degli elementi migliori di questo eccezionale film: la messa in scena, il montaggio, la caratterizzazione dei personaggi di cui già si è detto prima.

Il secondo è semplice ma mai scontato, stupisce con trovate inaspettate e furbe che creano momenti molto divertenti. Un esempio comune nella pellicola sono i dialoghi tra più personaggi nei quali, a conversazione già partita e nel suo pieno, viene inquadrato improvvisamente un personaggio lì presente, che non si sapeva fosse lì e che spesso sta facendo qualcosa di completamente slegato dalla conversazione. Più volte si hanno trovate di questa tipologia, che funzionano benissimo risultando spontanee e leggere e si legano a una intelligente messa in scena dei personaggi.

E morì con un felafel in mano è quindi un grande film molto leggero, piacevole proprio questa sua fluidità tranquilla, una commedia che fa delle situazioni e dei personaggi improbabili la sua forza.

Nonostante non sia molto conosciuto è un cult semi indipendente che ricorda la bellezza propria che il cinema indipendente può avere, come la sua originalità continua. Uscito a inizio anni 2000, ha ancora molto dell’estetica tipica degli anni ’90, come i movimenti di macchina e le inquadrature e quel tipo di energia e spirito. Inoltre, cosa molto rara, questo film è caldamente consigliato da vedere doppiato in italiano, alcuni personaggi prendono una forma molto più divertente che nell’originale. Quest’opera andrebbe recuperata per vari motivi, dalla sua qualità al suo essere troppo poco conosciuto, sicuramente però per l’abilità che ha di raccontare dando riflessioni e risate con grande leggerezza e piacevolezza.

Luca Pacchiarini
Sono appassionato di cinema e videogiochi, sempre di più anche di teatro e letteratura. Mi piace scoprire musica nuova e in particolare adoro il post rock, ma esploro tanti generi. Cerco sempre di trovare il lato interessante in ogni cosa e bevo succo all’ace.

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