
Accade spesso che il disprezzo o quantomeno l’indifferenza che l’Occidente dimostra nei confronti delle vite dei migranti – soprattutto quando si tratta di persone non bianche, come l’invasione russa dell’Ucraina ci ha tristemente insegnato – vengano immortalati in una o più fotografie destinate a passare alla storia. Nessuno di noi potrà mai dimenticare, ad esempio, l’immagine del piccolo Alan Kurdi, un bambino siriano di soli tre anni il cui cadavere venne rivenuto sulla spiaggia di Bodrum, in Turchia, il 2 settembre del 2015, dopo essere annegato nel tentativo di raggiungere la Grecia via mare. Fotografie che, pur rimanendo impresse nella memoria collettiva, sono in grado di generare indignazione e proteste all’interno della società civile per un brevissimo lasso di tempo, esauritosi il quale ciascuno di noi torna a disinteressarsi delle politiche vergognose con cui i nostri Paesi “gestiscono” i flussi migratori.
A questo triste repertorio si sono andate ad aggiungere, il 24 giugno appena trascorso, le immagini strazianti e disumane provenienti dall’enclave spagnola di Melilla, in Marocco, dove almeno 37 persone sono morte nel tentativo di passare all’interno della città attraversando la recinzione che la circonda, portata a dieci metri di altezza dal governo Sánchez a seguito di una decisione assunta nel 2020. Su 2000 profughi provenienti dall’Africa subsahariana, buona parte dei quali provenienti dal Sudan, 500 sono riusciti ad arrivare al valico di frontiera, dove hanno assaltato il cancello di ingresso, e soltanto 133 sono riusciti ad introdursi nell’enclave spagnola.
Secondo le testimonianze, la maggior parte delle vittime sarebbe morta per asfissia, calpestata dalla calca dopo essere caduta in un avvallamento nel tentativo di superare una recinzione.
Da ambo le parti, inoltre, gli agenti hanno risposto all’azione dei migranti con una massiccia dose di violenza, come documentato da alcuni video agghiaccianti in cui si vedono decine e decine di corpi inermi, ammassati gli uni sugli altri, che continuano a subire percosse e vessazioni da parte dei gendarmi di Rabat. Come se tutto ciò non bastasse, l’Associazione Marocchina per i Diritti Umani ha denunciato il tentativo, da parte delle autorità, di seppellire le vittime il prima possibile all’interno di fosse comuni, senza procedere ad identificazioni o autopsie.
Dinanzi ad un simile quadro, suonano ancora più terribili le dichiarazioni rilasciate dal premier Sánchez, che ha espresso la propria approvazione nei confronti dell’ “operato” della gendarmeria marocchina, descrivendo l’accaduto come ”un assalto violento e organizzato dalla mafia che traffica esseri umani in una città situata sul suolo spagnolo” e dunque come un “attacco all’integrità territoriale” della Spagna – nonostante quest’ultima abbia dimostrato di poter prontamente accogliere 100.000 rifugiati ucraini.
La strage di Melilla giunge tre mesi dopo l’appoggio, da parte della Spagna, della posizione del Marocco circa l’occupazione del Sahara occidentale. Sostanzialmente, Madrid si è impegnata, discostandosi dalla posizione delle Nazioni Unite, a non sostenere il diritto all’autodeterminazione del popolo sahrawi, mentre Rabat ha rinunciato a rivendicare i due presidi di Ceuta e Melilla, riconoscendo l’integrità territoriale della Spagna e difendendone le frontiere senza badare ai mezzi impiegati né alle vittime. Dinanzi alla conclusione di questo accordo, lo scorso marzo, la reazione da parte del Governo della Repubblica Sahrawi e del Fronte Popolare per la Liberazione di Saguia el-Hamra e Río de Oro (Fronte Polisario) è stata immediata, rilasciando una dichiarazione in cui si sottolineava la contrarietà della posizione espressa dal governo spagnolo rispetto alla legalità internazionale. Le Nazioni Unite, la Corte Internazionale di Giustizia, la Corte di Giustizia Europea, l’Unione Africana e, almeno ufficialmente, l’Unione Europea (dal momento che poi ha spesso firmato accordi commerciali con Rabat comprendenti il territorio occupato del Sahara occidentale), non riconoscono alcuna sovranità del Marocco su quest’area, così che la decisione di Madrid finisce per “legittimare la repressione, i crimini di guerra, i crimini contro l’umanità e il saccheggio di ricchezze che il Marocco persegue contro il popolo Sahrawi”, in un contesto aggravatosi con la ripresa della guerra nel novembre 2020 e con il perseguimento di politiche espansionistiche da parte del Marocco.
Sempre all’interno di questo comunicato, il Fronte Polisario sottolinea come, con la conclusione di questo accordo, Madrid non abbia tenuto conto delle proprie responsabilità nei confronti del popolo sahrawi (il cui diritto all’autodeterminazione e all’indipendenza è stato negato in primis dalle politiche coloniali messe in campo dalla Spagna) e abbia invece deciso di piegarsi al ricatto portato avanti dal Marocco, in grado di manovrare l’emigrazione che dall’Africa si dirige verso l’Europa. Pur di impedire l’ingresso, all’interno del proprio Paese, di questo flusso di persone, disposte ad affrontare qualsiasi rischio pur di fuggire da cambiamenti climatici, guerre e povertà – spesso, peraltro, causate o aggravate proprio dalle politiche portate avanti dall’Occidente –
la Spagna è pronta ad assecondare qualunque richiesta di Rabat e a chiudere un occhio sulle violazioni dei diritti umani perpetrate dai suoi gendarmi, consapevole del fatto che, se non lo facesse, il Marocco potrebbe in qualsiasi momento “aprire i rubinetti” delle migrazioni e consentire a migliaia di persone di fare il proprio ingresso nelle città di Ceuta e Melilla.
Tutto ciò è conseguenza di quella che viene definita “esternalizzazione delle frontiere”, vale a dire la decisione assunta dall’Unione Europea di affidare il controllo dei propri confini a Paesi terzi, senza badare a spese né al rispetto, da parte di questi ultimi, dei diritti umani fondamentali.
L’Europa svela così il suo volto profondamente razzista, ospitando prontamente migliaia di profughi ucraini ma spendendo cifre esorbitanti per l’erezione di muri e barriere che la trasformino in una fortezza inespugnabile da parte di quelli che sono considerati “profughi (ed esseri umani) di serie B”: muri e barriere che uccidono ogni giorno una quantità mostruosa di profughi di tutte le età, esposti, come se ciò non bastasse, alla violenza dei governi cui l’Europa, in cambio di denaro, chiede di sporcarsi le mani del sangue di persone innocenti. Il numero 1467 del settimanale Internazionale riportava un articolo pubblicato da Revista Contexto in cui, trattando proprio della strage di Melilla, si dava voce ad alcune importanti verità:
“Gli esseri umani devono assaltare le barriere perché le barriere esistono […] Fino a quando la barriera di Melilla non sarà demolita e non saranno modificate le nostre politiche di accoglienza, gli spagnoli e gli europei non saranno al sicuro da loro stessi. Fino a quando non capiremo che i migranti provenienti dall’Africa subsahariana sono come gli ucraini e non normalizzeremo la gestione delle frontiere, avremo sempre bisogno di sicari che ammazzano al posto nostro”.

Gli orrori che ogni giorno si verificano alle porte di Ceuta e Melilla, lungo la Rotta Balcanica, nel Mediterraneo Centrale e altrove, si caricano, se possibile, di una violenza ancor più marcata se confrontati con il trattamento che è stato invece riservato, nei giorni immediatamente successivi all’invasione russa dell’Ucraina, a profughi che di differente, rispetto a quelli provenienti dal continente Africano, dalla Siria, dall’Afghanistan e dall’Iraq, per fare solo alcuni esempi, hanno soltanto, nella maggior parte dei casi, la religione e il colore della pelle. Lo abbiamo visto quando, essendo cominciati i bombardamenti su Kyiv, sui treni che avrebbero potuto portare verso la salvezza sono stati fatti salire prima donne e bambini bianchi e cristiani, poi gli uomini bianchi e, infine, le persone afrodiscendenti; lo abbiamo visto quando le immagini della guerra hanno cominciato a circolare su tutti i principali canali televisivi e, in Italia come altrove, giornalisti e politici hanno cominciato a riempirsi la bocca con frasi vergognose, intrise di razzismo, in cui si distinguevano i profughi in “profughi veri” e “profughi finti” e in cui si andava a normalizzare la presenza di guerre e povertà in alcuni Paesi del Sud del mondo, considerando invece come inaccettabile la presenza di queste stesse situazioni alle porte dell’Unione Europea.
Fino a che l’Europa non abbandonerà il proprio razzismo, fino a che l’Occidente non riconoscerà le proprie responsabilità nei confronti di quelle guerre, di quelle situazioni di instabilità politica e di povertà che spingono migliaia di persone ad abbandonare il proprio Paese per cercare altrove delle condizioni di vita maggiormente dignitose, fino a che non cesseremo di erigere muri ad un prezzo sempre più alto, migliaia di persone innocenti continueranno a morire sotto i nostri occhi indifferenti e saremo sempre più esposti al ricatto di governi che – come i nostri del resto, anche se lo si nasconde affidando “il lavoro sporco” ad altri – non hanno alcuna intenzione di rispettare neppure i diritti umani più basilari.