«Pavia vista dall’alto, è una complessa partita a scacchi tra il Tempo e la Vita che, per confonderci, hanno deciso di giocarla con lo stesso colore. Una partita talmente in bilico da lasciarla così, a metà».
Pavia, anni Novanta. Non dimenticarlo viene inaugurato con il racconto di una storia d’amore da favola, candida e innocente, quella di Stefano e Cristina, due giovani che, a metà tra un passato fiabesco e un futuro tutto da scoprire, sono accumunati dal desiderio di catturare lo scorrere del tempo e la storia della loro città, preservandoli con impazienti e rapidi scatti di una polaroid.
Il loro legame, unico e speciale, tuttavia, sarà destinato ad essere messo alla prova dagli ingranaggi di quell’orologio, a volte crudele, chiamato Vita che finirà per strappare il respiro a Cristina e sfidare la resistenza della sua metà. Per festeggiare il loro primo anniversario, infatti, i due innamorati si recano in riva al Ticino, in prossimità del Ponte delle Chiatte, per un romantico picnic che, tuttavia, si tramuterà in tragedia. A seguito di una cruenta e improvvisa aggressione, Cristina finirà in coma e per Stefano inizierà sia una rocambolesca battaglia per cercare giustizia, sia un duello contro il Tempo, il quale continuerà a scorrere beffardo, privandolo di ricordi mai vissuti, di una favola interrotta e forse, persa per sempre, e di frammenti di un passato felice, ancora troppo vicino e dolorosamente percepibile.
Eppure, proprio quando Stefano sembra sul punto di rinunciare alla riscrittura del suo lieto fine, il Ticino, lo stesso fiume che ha funto da spettatore silenzioso al suo dramma, gli donerà una possibilità di riscatto, un nuovo finale in cui credere. Durante le indagini, aperte per scovare i responsabili della sua aggressione, su quella riva oramai sporca di sangue e di senso di colpa, il ragazzo troverà infatti una bottiglia con un messaggio scritto in fretta, dettato dalla disperazione e dal dolore, firmato da un certo Ionut.
Per il giovane diventerà quindi impellente scoprire chi si celi dietro quella lettera disperata, colma di richieste di comprensione e destinata all’oblio della corrente, trovarlo, e se possibile, aiutarlo. Perché, da quello che si percepisce fin da subito, ciò che accumuna Stefano e lo sconosciuto autore del messaggio è la necessità di costruirsi una seconda possibilità e di riappropriarsi del proprio Tempo e della propria Storia. Entrambi, di fatto, percepiscono l’urgenza di mettere fine alla loro condizione di inermi pedine di una scacchiera di cui dovrebbero essere esperti giocatori, del loro ruolo da vittime in balìa di eventi determinati dalle scelte incoscienti degli Altri.
Non dimenticarlo, del giovane Luca Contato, è un romanzo che si legge in fretta, in grado di ipnotizzare grazie ai ritratti visivi ed emozionali che regala alla mente e al cuore del lettore pagina dopo pagina.
Le descrizioni di una Pavia insolita e sconosciuta ai più, la città delle cento torri, miste ai ricordi e agli eventi di cronaca degli anni Novanta, che riaffiorano nella memoria e nei sussulti dell’animo del protagonista, non fanno che emergere un mondo sospeso tra la realtà, quella veramente vissuta, spesso con frustrazione e dispiacere, e la fantasia, quella legata alla ricostruzione immaginaria di una città maestosa, oramai resa un’Atlantide urbana, perché invisibile e celata dietro alla modernità e al progresso.
La ricerca delle torri di Pavia dei due giovani innamorati, rivissuta principalmente nei ricordi del protagonista, non può non destare curiosità e soprattutto ammirazione per l’intento di scoprire un passato che si nasconde dietro mura non ancora abbattute e soppiantante dall’acciaio, ma spesso ignorate dalla vista dei passanti, per noncuranza o, peggio, per la scarsa propensione di sapere di più riguardo la propria storia, che, sebbene resista, necessita di essere (ri)scoperta.
Di ciò ne è perfettamente cosciente Cristina, ragazza anticonvenzionale e leggera che è solita tatuarsi ogni centimetro di pelle con frasi e disegni, dai più significativi a quelli più bizzarri, per dare concretezza alla sua, di storia, e a quella di chi le sta accanto e che merita di essere cristallizzato (e quindi ricordato) dietro una dedica o una sagoma di inchiostro. Il lettore non potrà non innamorarsi di questa giovane donna, così fanciullesca e al contempo così matura, una vera e propria regina delle celebrità che non necessita di abiti succinti per attirare gli sguardi famelici dei ragazzi e per apparire sensuale, siccome riesce a esserlo con la viva spontaneità e l’inesauribile energia che la contraddistingue.
Ciò che si apprezza maggiormente di questo romanzo è la sensibilità con cui vengono trattate tematiche che, purtroppo, non hanno ancora avuto la giusta risonanza in ambito letterario e nei dibattiti pubblici: l’esodo dei migranti a seguito di conflitti militari; la necessità e le problematiche annesse all’integrazione, quasi forzata nel paese di accoglienza; il costo delle guerre in termini umani; e più nello specifico, la condizione ancora preoccupante di Rom e Sinti, spesso infangati da mille pregiudizi e da presupposti sbagliati, dettati dalla paura del Diverso e dall’ignoranza.
Non dimenticarlo si apprezza perché è attento sia alla Storia collettiva che a quella individuale.
La puntuale rievocazione di eventi, quali quelli più salienti avvenuti durante la guerra in Bosnia, ci fa intendere che gli accordi di Dayton non sono parte di un passato così lontano e che i conflitti, militari e non, ci riguardano tutti, da vicino. La Storia è infatti costituita in primis da uomini e da donne che, come Ionut e la sua famiglia, sono costretti non tanto a scriverla ma a subirla. Di uomini e donne che si trovano perennemente in viaggio, in cerca di una Patria che tuttavia non potrà mai soppiantare la propria e di una pace che prima di essere siglata con un trattato deve essere ricercata interiormente, perché si è trovato rifugio in luoghi dove lo straniero viene considerato feccia e percepito come un ladro o un parassita, relegato in discariche umane, ai limiti della decenza e del mondo civile.
Il legame che si andrà a profilare tra Stefano e Ionut quindi andrà ben oltre la semplice amicizia: tra i due si creerà infatti un rapporto di fratellanza, di parità e di rispetto. Perché in fondo la Storia è costituita da uomini e donne che nonostante si riconoscano dietro usi, costumi e bandiere dalle tonalità differenti, sono in realtà simili. D’altra parte Stefano si reca presso il campo Rom, dove risiede il misterioso autore di quel messaggio in bottiglia, proprio perché in quelle righe, scritte in un italiano sgrammaticato, rivede sé stesso e la sua condizione. E se per lui il destino sembra già essere giunto al peggiore dei finali mai vissuti, forse per Ionut e per la sua adorata Alina, così somigliante a Cristina, c’è ancora speranza.
Ed è proprio la speranza e la sete di giustizia che fanno rimanere incollati alle pagine fino alla fine.
È proprio il desiderio di scendere a compromessi con il tempo e a non farci più a pugni che induce il lettore non solo a saperne di più sulla risoluzione del caso di Stefano, ma soprattutto ad apprendere nuove lezioni di vita che permettono di capire cosa significhi, oggi, coltivare tenacemente la resilienza, la tolleranza, l’inclusione e abbattere barriere di odio immotivato e di diffidenza. Nuove lezioni che vengono apprese proprio in quel campo dove, secondo il parere dei più, tra camper rubati e trappole per topi dovrebbero dominare solo delinquenza e illegalità.
E allora è proprio vero che dal letame nascono i fiori. Non dimenticarlo ci ricorda infatti che è negli occhi di chi è stato costretto a essere testimone della distruzione della propria città, ridotta a detriti e a polvere, ma ancora incolume nei ricordi di chi sopravvive (e quindi rimane), e tra gli ultimi, i reietti, che si apprendono i più fondamentali insegnamenti di Umanità e di Solidarietà.
Basta saper ascoltare, ma prima di tutto, essere disposti ad accogliere.