Il recente accordo al centro fra PD e Azione può aver distrutto definitivamente il campo largo e segnato un passaggio fondamentale nella corsa all’elezione del prossimo Parlamento. Se fino a prima della caduta del governo Draghi l’intento dichiarato del Partito Democratico rimaneva quello di tenere compatto un fronte di centrosinistra che fosse il più ampio possibile, da dopo la sua caduta è cambiato tutto;
il recente accordo con Azione di Carlo Calenda secondo molti osservatori non può fare altro che dare grosso vantaggio alle destre.
Una possibile diagnosi di come il campo largo anti-destra sia prima venuto a mancare e poi si sia notevolmente trasformato dovrebbe necessariamente partire dalla rottura fra le due principali forze che lo componevano, PD e M5S, avvenuta con il casus belli individuabile nella mancata fiducia da parte di quest’ultimo, insieme a Lega e FI, al governo Draghi, dopo che le risposte alle richieste poste da Conte non sono state giudicate sufficienti dal M5S.
Da quello strappo in poi il PD, tramite il suo segretario Enrico Letta, si è intestato, anche comprensibilmente, la guida della battaglia antisovranista al fine di salvare il paese da un altamente probabile governo di destra con tratti isolazionisti e antieuropeisti, escludendo però a priori e ancor prima di tentare un dialogo il M5S.
Le strade che si sono delineate a questo punto sono state due, da una parte portare a compimento un vero e proprio campo largo che andasse dalla sinistra al centro, o almeno provarci, tenendo fuori però come dichiarato il M5S e cercando di raccogliere i voti di quella galassia che generalmente si trova nella cosiddetta sinistra del PD; oppure guardare verso il centro e cercare di creare una coalizione in grado di competere con quella di destra con la consapevolezza dell’incompatibilità, pur manifestata, fra certe forze di sinistra e altrettante forze centriste.
Il risultato finale, dopo veti, controveti e giorni di trattative, è un accordo fra PD e la sola lista di Azione e Più Europa annunciato nella giornata di lunedì 1 agosto, un’alleanza secondo molti volta alla sconfitta e al favoreggiamento concreto della destra nella campagna elettorale.
In sostanza quello che è riuscito a concludere il PD è un accordo con l’unica forza che ha in maniera molto determinata posto veti nel cantiere del campo largo, ovvero Azione, concedendole il 30% dei collegi uninominali e di fatto rinunciando definitivamente a una grande fetta di voti che si collocano nell’area della sinistra del PD che, secondo i sondaggi, ammonterebbero a circa il 15% degli orientamenti elettorali.
Probabilmente secondo un’ottica di efficienza democratica può essere più giusto così, ovvero che forze troppo diverse non si uniscano solo per scongiurare l’arrivo di qualcun altro considerato molto peggio e poi fatichino a governare, ma ciò che di certo bisogna riconoscere è da una parte un netto fallimento del progetto iniziale del PD, che non è riuscito nemmeno a compattare tutte le forze centriste attorno a sé, e dall’altra il raggiungimento dell’obiettivo iniziale di Carlo Calenda, che è invece senza dubbio riuscito a portare il Pd nuovamente su posizioni più centro-riformiste aggiudicandosi inoltre una buona quota nella divisione dei collegi uninominali e quindi, potenzialmente, andando ad aumentare la propria forza parlamentare.
Sarà interessante invece vedere come potranno muoversi quelle forze a sinistra del PD, che forse potrebbero cogliere l’occasione per compattarsi e creare un terzo polo forte, ma per ora ci limitiamo a chiederci che cosa sia il PD e cosa voglia veramente, e ad osservare come questa grande frammentazione a sinistra possa sicuramente avvantaggiare la già forte e compatta coalizione di destra in vista del 25 settembre.