Il 15 agosto di quest’anno ha segnato i 30 anni dalla morte di Giorgio Perlasca, Giusto tra le Nazioni e protagonista del libro La banalità del bene (1991) di Enrico Deaglio. La sua storia non inizia come quella di tanti altri eroi della Seconda guerra mondiale, tutto il contrario. Fascista convinto in gioventù, partecipa all’invasione dell’Etiopia lanciata da Mussolini e alla Guerra civile spagnola in favore di Francisco Franco. Il 1938 segna il primo cambio di rotta: Perlasca non concepisce l’alleanza con la Germania di Hitler e ancor meno l’introduzione delle leggi razziali dato che aveva diversi amici ebrei.
Allo scoppio della guerra non impugna le armi come aveva già fatto in passato, dedicandosi piuttosto al commercio di carni prima a Belgrado e poi in Ungheria.
Nel 1944 si trova in una Budapest ormai caduta nelle mani delle Croci Frecciate (il partito filonazista e antisemita del paese) che promettono lo sterminio degli 800mila ebrei ungheresi, la maggior parte dei quali già si trovava stipata nel ghetto della capitale. Molti finiscono fucilati in massa lungo le rive del Danubio: il massacro è tale che si dice il fiume fosse diventato rosso. Per i 200mila sopravvissuti l’unica possibilità di salvezza rimane quella di trovare rifugio e protezione presso le legazioni diplomatiche dei cinque paesi neutrali – Spagna, Portogallo, Svizzera, Svezia e Vaticano – mentre nella capitale, ormai assediata, i nazisti tentano di frenare l’avanzata dell’Armata Rossa.
Perlasca riesce ad ottenere un passaporto a nome “Jorge Perlasca” rilasciato dall’ambasciata spagnola, complice il fatto che ormai a Madrid si era instaurato il regime franchista per il quale aveva combattuto negli anni 30.
Ma siamo nelle ultime fasi del conflitto e le attività diplomatiche sono ormai nel completo caos.
L’ambasciatore spagnolo Sanz Briz decide di lasciare l’Ungheria per rifugiarsi in Svizzera; Perlasca, invece, rimane a Budapest per continuare ad aiutare i rifugiati presso la legazione. Il rischio è enorme, ma il suo è un colpo di genio: si inventa il ruolo di console spagnolo – «lui che non era né diplomatico né veramente spagnolo» – e sfrutta la sua posizione per continuare a salvare gli ebrei ungheresi dalle ultime epurazioni dell’inverno 1944-1945. In diverse interviste un Giorgio Perlasca ormai anziano minimizzerà il tutto dicendo che semplicemente si era trattato di «raccontare delle grandi balle».
Ogni mattina si reca alla stazione per cercare di strappare quante più persone possibile ai treni della morte, e spesso è accompagnato da Raoul Wallenberg, il delegato personale del re di Svezia. Altrettanto spesso fa visita ai più di 5000 ebrei rifugiati nelle case protette (otto in totale) per distribuire gratuitamente viveri, passaporti spagnoli falsi e lasciapassare comprati alla borsa nera. Sarà proprio durante la sua attività di console spagnolo a Budapest che avrà anche un breve incontro con Adolf Eichmann, il cui processo a Gerusalemme (1961) verrà riassunto nel famosissimo saggio di Hannah Arendt La banalità del male.
Dopo la liberazione dell’Ungheria nel 1945, Perlasca viene fermato dai sovietici e non sarà prima di cinque mesi che riuscirà a tornare in Italia. Una volta rientrato in patria, però, decide di non raccontare se non piccoli episodi di quanto successo a Budapest, non badando troppo al fatto che i suoi stessi familiari trovino il racconto davvero inverosimile.
L’incredulità di fronte ai fatti più terribili della guerra – dalle deportazioni agli orrori dei campi di concentramento – è qualcosa che si ripresenterà spesso quando i sopravvissuti tenteranno di raccontare la loro storia, e di cui anche Primo Levi sarà vittima.
In Italia l’impresa di Perlasca viene alla luce solo nel 1990 grazie al programma televisivo Mixer e, solo un anno più tardi, anche al romanzo di Enrico Deaglio. All’estero invece era diventato una figura nota per il suo eroismo sin dagli anni 80 grazie ad alcune donne ebree ungheresi che avevano riconosciuto in Giorgio Perlasca quel famoso console spagnolo che le aveva salvate più di quarant’anni prima dallo sterminio nazista. Ben presto arrivano i riconoscimenti ufficiali sia da parte dell’Ungheria che di Israele: nel giugno del 1989 il parlamento ungherese gli conferisce la Croce di Santo Stefano, mentre il 23 settembre 1989 il governo israeliano gli concede la cittadinanza onoraria e il titolo di Giusto tra le Nazioni. Tra il 1991 e il 1992 si aggiungeranno anche la Medaglia d’oro al merito civile e l’Ordine al merito della Repubblica italiana.
Se non fosse stato per l’iniziativa delle persone che lui aveva salvato, probabilmente Perlasca avrebbe portato questa storia con sé nella tomba, niente riconoscimenti e niente gloria.
Ecco la banalità – se così si può dire – di fare del bene per fare del bene, senza aspettarsi nulla in cambio.
E quando qualcuno gli chiedeva perché lo avesse fatto rispondeva: «…ma lei, avendo la possibilità di fare qualcosa, cosa avrebbe fatto vedendo uomini, donne e bambini massacrati senza un motivo se non l’odio e la violenza?».