Del: 24 Agosto 2022 Di: Michele Baboni Commenti: 1
La Lombardia rinuncia alla didattica mista

Le recenti dichiarazioni di Elio Franzini, rettore della Statale e presidente del Comitato di coordinamento regionale delle università, hanno chiarito definitivamente che gli atenei lombardi (ad eccezione della Bocconi) abbandoneranno la didattica mista, generando il malcontento del corpo studentesco.

Dopo mesi di incertezze, è stata finalmente resa nota la linea che gli atenei lombardi seguiranno in materia di didattica mista, abbandonandola in favore di un ritorno completo alla presenza.

Elio Franzini, in un’intervista a Il Giorno, ha infatti dichiarato: «Il sistema lombardo ha scelto la presenza piena: a settembre abbandoneremo lo streaming. […] C’è chi si era ‘abituato’ e di fatto non frequentava più. Crediamo invece sia il momento di tornare, per questo tutti abbiamo ritenuto ragionevole l’abolizione dello streaming».

Non è tuttavia escluso un ritorno, anche se parziale, alla didattica mista, qualora una nuova ondata di Covid-19 dovesse richiedere dei provvedimenti in tal senso; il rettore ha infatti aggiunto che gli atenei sono “pronti in caso di focolai, senza buttare quanto imparato in questi anni”.

La decisione ha inevitabilmente generato reazioni contrastanti, tra chi sostiene la necessità di ristabilire un modello didattico basato sulla presenza e chi invece riteneva la didattica mista un passo in avanti sul piano dell’inclusività.

Si tratta di una discussione che da mesi divide il corpo studentesco, le cui posizioni divergenti erano già state approfondite in passato da Vulcano.

In questo articolo, in cui si parlava dell’introduzione di norme per contrastare l’ondata che si è verificata a cavallo tra il 2021 ed il 2022, era emerso che circa l’89% degli studenti intervistati era a favore del mantenimento della didattica in modalità mista, principalmente a causa dell’aumento dei contagi e per la maggiore inclusività del modello.

Oggi però ci troviamo in un contesto diverso, con i contagi che paiono essersi stabilizzati, ed è quindi doveroso chiedersi se le lezioni a distanza e le registrazioni di esse siano ancora necessarie o meno.

Anzitutto è necessario comprendere la ragione che sta alla base di questo provvedimento, ovvero la volontà di incentivare la presenza fisica alle lezioni e la partecipazione alla vita dell’università. Del resto, diversi professori lamentavano ormai da diverso tempo la scarsità di studenti presenti in aula alle lezioni, oltre ad una scarsa partecipazione degli studenti da casa.

Il risultato sono state, oltre alle aule semivuote, delle lezioni sempre più frontali e sempre meno partecipate, con un conseguente calo delle prestazioni accademiche degli studenti; nell’articolo sopracitato, il 30% degli studenti intervistati ha infatti dichiarato che, nel periodo della pandemia e delle chiusure a causa dei nuovi focolai, ha assistito ad un calo nel proprio rendimento a livello accademico.

Di conseguenza, la decisione del Comitato di coordinamento regionale delle università si pone l’obiettivo di tornare alla condizione antecedente alla pandemia, per rivitalizzare le aule universitarie e rendere la partecipazione nuovamente al centro del percorso universitario degli studenti.

Quanto detto rappresenta solo una parte dell’opinione degli studenti in tal senso, anche perché sono decisamente in maggioranza coloro che giudicano negativamente quanto stabilito dal CCRP.

Va precisato che non esistono ancora delle direttive specifiche da parte dei singoli atenei.

Tuttavia, se si supponesse un ritorno totale in presenza, e quindi un’eliminazione totale delle lezioni in streaming e delle registrazioni, si presenterebbero diverse problematiche, soprattutto per determinate categorie del corpo studentesco.

Il provvedimento penalizzerebbe ad esempio gli studenti e le studentesse con disabilità, problemi di salute fisica o anche psicologica, che potrebbero vedersi negata la possibilità di seguire le lezioni e perfino di sostenere gli esami a distanza; è bene specificare che, in assenza di linee specifiche, si tratta solo di ipotesi, e che è immaginabile che almeno gli studenti con problemi fisici potrebbero potenzialmente godere di agevolazioni.

Un’altra fetta di studenti che potrebbe essere svantaggiata, ma di cui si parla poco in questo discorso, è quella di studenti e studentesse che devono prendersi cura di figli o bambini piccoli, le cui necessità spesso sono difficilmente coniugabili agli orari delle lezioni.

Ci sono in generale pochi riferimenti a questo gruppo di persone, quindi non è ben chiaro se le università verranno incontro alle loro esigenze.

Coloro che si sono fatti più sentire, anche perché rappresentano un numero alto sul totale degli studenti, sono i fuorisede e i lavoratori.

Per i primi, comprendendo i pendolari, il problema è principalmente di natura economica: Milano sta diventando una città sempre più costosa, e per molti fare i pendolari richiede un impegno non indifferente, sia sul piano pratico che su quello economico. In particolare, un articolo di Repubblica riporta solo a Milano un caro affitti del 20% rispetto allo scorso anno, ed una media di 620 euro per stanza singola; questo, unito ai costi dei trasporti, non è chiaramente sostenibile per tutti gli studenti fuorisede.

Per i lavoratori invece il problema è di natura pratica, poiché spesso gli orari lavorativi non combaciano con le lezioni universitarie. Di conseguenza, spesso gli studenti in queste condizioni sono costretti a rinunciare alle lezioni, fino a rinunciare agli esami per frequentanti o ad interi appelli.

Durante la pandemia, gli studenti lavoratori hanno dunque beneficiato della possibilità di seguire le lezioni da casa, senza dover perdere tempo tra gli spostamenti per far convivere studio e lavoro, o in alternativa di guardare le registrazioni delle lezioni nel tempo a disposizione.

Sostanzialmente, la didattica mista ha garantito ai lavoratori una maggiore elasticità e flessibilità nell’organizzazione, che presto potrebbe venire meno. Per quanto riguarda i lavoratori, Franzini ha menzionato delle imprecisate “sperimentazioni”, di cui però si sa ancora poco.

Un ritorno alla situazione pre-pandemia potrebbe dunque penalizzare nuovamente le categorie sopracitate, già svantaggiate per una serie di fattori differenti.

Leggendo i commenti alla notizia, pare che il sentimento dell’opinione studentesca sia principalmente di incertezza e delusione, ma è bene ricordare nuovamente che, al momento, UniMi e gli altri atenei non hanno ancora specificato le modalità di ripresa della didattica in presenza, né se ci saranno agevolazioni o ritorni alla dad in caso di nuove ondate. Il futuro è dunque incerto, e, anche se in molti sono già pronti a tornare alle registrazioni “in proprio” del pre-pandemia, la preoccupazione per l’avvenire è già presente.

Il ritorno totale in presenza era senza dubbio necessario e per certi aspetti inevitabile, ma anche il rischio di disparità tra gli studenti è concreto.

Il compito degli organi di rappresentanza e di governo delle università sarà pertanto quello di andare incontro a chi rischia di vedere contratto il proprio diritto allo studio, anche attraverso i progressi tecnologici messi in campo con la didattica mista, sperando che la pandemia e gli anni di dad siano serviti a qualcosa.

Michele Baboni
Studente di scienze politiche, sono appassionato di filosofia, politica e calcio. I temi che ho più a cuore sono i diritti civili e il cambiamento climatico, anche se l'attualità è sempre un punto di partenza stimolante per nuove riflessioni. La scrittura è il mezzo per allargare i miei orizzonti, la curiosità il vento che mi spinge alla ricerca incessante di nuove risposte.

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