
Le tematiche di carattere economico rientrano senza dubbio nel ventaglio di argomenti spesso difficili da comprendere a fondo per chi non ne ha mai approfondito lo studio. Abbiamo deciso di dare vita a questa rubrica nella quale cercheremo di sviscerare, con il linguaggio più semplice e accessibile possibile, vari temi economici legati all’attualità. A questo link trovate le scorse puntate.
La discussione sulla crisi economico-finanziaria in corso si presenta sempre più spesso. Se ne sente parlare per la mancanza di gas ed energia, per il ritardo nella consegna di materie prime, per l’innalzamento delle temperature. Insomma, è un argomento davvero ricorrente, che viene chiamato in causa ogni qual volta qualcosa non va (o così sembrerebbe).
La crisi economica ha infatti mille sfaccettature, e ciò fa sì che rispondere alla conseguente mancanza di ricchezza nello Stato e tra la popolazione sia assai complesso. Generare o trovare nuove risorse con cui arricchirsi e tornare ad un’economia stabile richiede tempo, sforzi ed enormi capacità. Come reperire queste risorse? Come trovare il denaro necessario per pagare i debiti pubblici e contemporaneamente soddisfare le necessità dei cittadini? Non basterebbe trovare il modo di ottenere più denaro? Perché, ad esempio, non è possibile stampare più soldi alla Zecca di Stato?
Questa è una domanda che presto o tardi si fanno tutti. Sembra effettivamente assurdo sentire parlare di debiti pubblici da miliardi di euro, per poi scoprire che la Zecca di Stato produce banconote soltanto in certi giorni della settimana, come farebbe qualsiasi altra azienda. “Stampatene di più per risarcire i creditori e arricchire i cittadini” ci si sentirebbe di dire. Quanto sarebbe bello svegliarsi con una busta piena di banconote fresche tra la posta? Eppure, se non viene (più) fatto da nessuna parte, un motivo ci deve essere.
Il denaro non è ricchezza: la procura
Per capire perché, bisogna prima realizzare che il denaro non rappresenta la ricchezza. E’ facile confondere i due concetti, ma la ricchezza è ben altro. Si parla di ricchezza quando ci si riferisce a beni tangibili e intangibili, come le risorse naturali, i prodotti commerciabili, gli spazi utilizzabili, le competenze e le conoscenze. A tutte queste cose è possibile attribuire un valore economico, ossia un prezzo al quale vengono scambiate sul mercato.
Ed è solo a questo punto che subentra il denaro, che è invece il mezzo con cui si scambia la ricchezza. Un mezzo che è stato percepito come necessità già dai tempi in cui andava ancora di modo il baratto. Serviva, allora come oggi, un metodo per scambiare un bene al suo esatto valore.
La cartamoneta è perciò uno strumento necessario per il funzionamento degli scambi commerciali privati e pubblici. Acquisti e vendite non potrebbero funzionare, se non ci fosse abbastanza moneta per ricoprire il valore dei beni scambiati. Non funzionerebbero, però, nemmeno se ce ne fosse un eccesso. Per questo motivo, le Banche Centrali di ogni Stato, responsabili della produzione della moneta corrente, vegliano sulla quantità che è in circolazione. Ma, si badi bene, non è soltanto la moneta fisica a rappresentare la “vera moneta”.
La “vera moneta” non sta nel portafoglio
La cosiddetta vera moneta è un concetto che non comprende soltanto le monete sonanti e le banconote, ma tutti i valori cedibili e interscambiabili.
A dirla tutta, al giorno d’oggi si stima che solo il 10% della moneta circolante corrisponda a banconote fisiche; il restante 90% è costituito da moneta immateriale, come partite di valore e scritturazioni contabili bancarie. Motivo per cui, ad esempio, lo stipendio viene inviato sul conto bancario, o i pagamenti sui siti di e-commerce avvengono con un clic. Si tratta di moneta che esiste contabilmente, e che può essere trasformata con facilità nell’equivalente fisico. Proprio per questa ragione, anche quando viene considerata l’economia di un intero Stato, non ci si basa soltanto sulla quantità numerica di banconote e cartamoneta in generale. Si fa riferimento soprattutto a depositi, titoli e fondi.
Cosa accadrebbe se lo Stato decidesse di stampare più soldi?
Poniamo per absurdum che lo Stato, dinnanzi ad una grave situazione economica, decida di triplicare la produzione di monete e banconote per far fronte alla condizione di povertà in cui verte la popolazione. Quindi, anziché produrre 100.000€ di banconote in una giornata, la Zecca arriva a produrne ben 300.000€.
Dopo qualche tempo, l’incremento di banconote stampate porterebbe ad un vero e proprio accumulo di denaro. Se anche essa venisse equamente distribuito tra i cittadini, la quantità in circolazione sarebbe comunque molto più elevata rispetto a prima, rendendo così la cartamoneta molto comune. Le banconote da 100€ non sarebbero più così rare come prima, tantomeno quelle da 50€. Si va quindi incontro ad una svalutazione della moneta: il denaro che prima possedeva un certo valore, ne ha adesso un terzo. E ciò non influisce soltanto sul nuovo denaro immesso, ma anche su quello risparmiato dai cittadini nel corso degli anni. Questi in ultimo, nonostante abbiano ottenuto più banconote dallo Stato, risultano inequivocabilmente più poveri di prima.
L’immissione di eccessiva quantità di moneta comporterebbe poi un altro fenomeno: l’inflazione. L’aumento dell’inflazione comporta che una certa somma oggi, ad esempio di 1000€, domani assume il valore di 800€, proprio a causa della svalutazione della moneta.
Questo processo scatena una serie di eventi concatenati. In primis, i produttori pagano un prezzo più elevato per le materie prime; pertanto, per riuscire a pagare i costi produzione, sono costretti ad aumentare il prezzo della propria merce.
Si entra così in un circolo senza via di uscita, se non quella di ridurre la quantità di moneta in circolazione e innalzare il valore del denaro.
Stampare una maggior quantità di banconote non risulta quindi essere la soluzione adatta al problema della crisi economica. Al contrario, rende il mezzo con cui scambiare ricchezze più debole e le persone che lo possiedono più povere. Ne è la prova storica la manovra eseguita da Weimar all’inizio del XX secolo in Germania: la produzione di più banconote portò solamente alla perdita di valore dei marchi e al collasso dell’economia tedesca.