Del: 2 Settembre 2022 Di: Nina Fresia Commenti: 0
Perchè confino politico significa detenzione

«Mussolini mandava la gente a fare vacanza al confino» dichiarava durante un’intervista Silvio Berlusconi, ex Presidente del Consiglio, quasi vent’anni fa. L’associazione villeggiatura-confino politico non è di certo nuova, e anzi andrebbe addirittura incontro a ciò che il regime fascista si auspicava.

Con “confino politico” ci si riferisce ad una misura adottata dal regime fascista come prevenzione ai fini del mantenimento dell’ordine pubblico. Il condannato, secondo la Legge di Pubblica Sicurezza del 1926, era obbligato a vivere in una località diversa rispetto a quella della propria residenza, isolato dal resto della società.

L’origine del confino risale, in realtà, al 1863, anno in cui viene varata la legge Pica per la repressione del brigantaggio.

In questo testo viene introdotto per la prima volta il domicilio coatto per “oziosi, vagabondi, persone sospette, nonché ai camorristi e sospetti manutengoli”. Inizialmente legato alla delinquenza a stampo mafioso, è con il ventennio fascista che il confino diventa uno strumento di repressione politica.

Si presentava, quindi, come una via di mezzo tra l’ammonizione (che permetteva di rimanere presso il proprio domicilio, a patto di presentarsi regolarmente alle autorità) e la pena detentiva. Non per questo deve essere considerata come una punizione “leggera”.

Uno dei luoghi comuni che aleggia intorno alla dittatura di Mussolini è proprio quello secondo cui i metodi fascisti impiegati contro l’opposizione siano stati più “benevoli” (o “benigni”, per riagganciarsi alle parole del Cavaliere) rispetto a quelli adottati da altri totalitarismi, primo fra tutti quello nazista. Ad accreditare queste posizioni sono proprio i luoghi scelti come mete di confino: Lipari, Ponza, Ventotene, Lampedusa, Pantelleria ed entroterra meridionale. Oggi sono notoriamente luoghi dove trascorrere le proprie vacanze, ma andando indietro nel tempo queste terre venivano utilizzate per la reclusione ed emarginazione di criminali o presunti tali.

La scelta chiaramente non era casuale: vi erano, infatti, alcuni importanti requisiti che un territorio doveva soddisfare affinché potesse qualificarsi a ruolo di confino.

Innanzitutto, bisognava selezionare un luogo sufficientemente isolato, privo perciò di accesso alle strade principali, lontano dai centri urbani e dalle frontiere. Oltre alle comunicazioni stradali, era fortemente necessaria un’esclusione anche dalla vita reale del Paese: si voleva minimizzare il passaggio di informazione e di aggiornamenti sull’ambiente culturale e politico italiano. Proprio per questi scopi venivano privilegiate isole e l’interno del Mezzogiorno, trattandosi molto spesso di luoghi poco densamente abitati e con un livello di educazione mediamente basso. Si andava ricercando, in sostanza, l’Italia più arretrata che si potesse incontrare.

È necessario, però, ricordare che si parla di detenuti politici, la cui condanna dipendeva da leggi ingiuste e frutto di un regime autoritario, il quale si beffava dei diritti più basilari e delle libertà più elementari. Da qui deriva l’urgenza di convincere la popolazione, soprattutto quella porzione più vicina ai prigionieri, dell’effettiva colpevolezza di chi veniva punito per motivi politici. La strategia adottata fu quella di sistemare i confinati nell’immediata prossimità di luoghi detentivi ordinari, cioè mischiarli e confonderli con criminali. In questo modo si tentava di far penetrare nell’opinione pubblica l’associazione tra il dissenso politico e la delinquenza comune. E l’obiettivo veniva a tal punto centrato che i familiari stessi di donne e uomini politici iniziarono a credere allo stratagemma della propaganda fascista.

E in questo senso è un nobile esempio la lettera di Antonio Gramsci, fondatore e segretario del Partito Comunista d’Italia, indirizzata alla madre. Il leader di partito con questa missiva intendeva rassicurare la genitrice circa la natura della sua prigionia, chiarendone i motivi e il suo approccio a riguardo: «Carissima mamma, vorrei che tu comprendessi bene, anche con il sentimento, che io sono un detenuto politico e sarò un condannato politico, che non avrò mai da vergognarmi di questa detenzione. Che, in fondo, la detenzione e la condanna le ho volute io stesso, in un certo modo, perchè non ho mai voluto mutare le mie opinioni, per le quali sarei disposto a dare la vita e non solo stare in prigione».

Altro scambio epistolare passato alla storia riguarda la richiesta di grazia fatta a Mussolini da parte di Maria Muzio, madre del futuro Presidente della Repubblica Sandro Pertini. Allo stesso modo di Gramsci, Pertini con vigore rifiuta l’aiuto della madre e addirittura scrive una lettera al Tribunale Speciale dissociandosi dal gesto materno. Si rivolge alla Muzio con parole dure, profondamente ferito dal suo comportamento: «Mamma, perché hai voluto offendere la mia fede? Lo sai bene, che è tutto per me, questa mia fede, che ho sempre amato tanto. […] per essa con animo lieto ho accettato la condanna e serenamente ho sempre sopportato la prigione».

I condannati rifiutavano ogni tipo di aiuto o agevolazione, non avevano intenzione di piegarsi al giogo del Duce rinnegando le proprie idee e opinioni.

Questo anche a costo della stessa vita, come poi effettivamente accadrà a Gramsci, la cui scomparsa è stata sicuramente accelerata dalla dura vita in carcere.

Le condizioni di vita dei carcerati e dei confinati politici, infatti, erano misere, caratterizzate da una forte mancanza di assistenza sanitaria e di sicurezza nei trasporti tra un luogo di detenzione e l’altro. Sempre lo stesso Gramsci nelle lettere indirizzate alla cognata racconta del lungo ed estenuante trasporto verso Ustica. I detenuti erano costretti in manette, legati a gruppi di tre o più persone alle medesime catene, perquisiti e caricati su vaporetti anche in condizioni meteorologiche che impossibilitavano la navigazione.

Una volta giunti a destinazione, la sopravvivenza non diveniva certamente più agevole. Lo Stato forniva ai confinati una “mazzetta” di 5 lire al giorno, che si abbasserà a 4 o a 3 in seguito alla crisi del 1929. Per riuscire a vivere dignitosamente, infatti, i detenuti organizzavano mense e casse comuni per ridurre le singole spese o, chi poteva permetterselo, chiedeva sostegno economico a casa.

Numerose erano, in aggiunta, le limitazioni incontrate nella vita quotidiana: venivano, naturalmente, vietate riunioni politiche, la corrispondenza era censurata e le letture dovevano passare attraverso l’approvazione della autorità locali.

Nonostante ciò, il confino diventerà una tappa essenziale ai fini della costruzione dell’Italia post-fascismo. È proprio in queste colonie isolate che alcuni dei grandi volti della Resistenza maturano la propria personalità politica.

Oltre alle grandi figure antecedenti al Ventennio (tra i quali Bordiga e Gramsci, antagonisti in seno al PCdI, ma compagni di stanza a Ustica), si incontrano e fioriscono personalità protagoniste dell’Italia e dell’Europa che verrà: basti pensare al Manifesto di Ventotene, promotore di un’unità europea, scritto e pensato da Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi durante la detenzione, diffuso successivamente da Eugenio Colorni.

Confino perciò non ha significato né di vacanza né di periodo di villeggiatura, ma ha rappresentato una ingiustificata privazione di libertà e di manifestazione del pensiero. I diritti dei confinati non sono stati lesi, ma sostanzialmente corrosi, eliminati, calpestati. Suggerire che si tratti di una punizione meno stringente rispetto ai lager o ai gulag, ritenere che alla fin fine poteva anche andare peggio di così, in parte la giustifica, la minimizza, oltraggiando i sacrifici e le lotte affrontati da donne e uomini politici per resistere alla deriva autoritaria.


Bibliografia
Angelo D’Orsi, Gramsci. Una nuova biografia, 2018;
Armando Orlando, BBC History, Il confino: così si mettevano fuori gioco gli oppositori del fascismo;

Nina Fresia
Studentessa di scienze politiche, curiosa per natura, aspirante giramondo e avida lettrice con un debole per la storia e la filosofia. Scrivo per realizzare il sogno della me bambina e raccontare attraverso i miei occhi quello che scopro.

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