Le tematiche di carattere economico rientrano senza dubbio nel ventaglio di argomenti spesso difficili da comprendere a fondo per chi non ne ha mai approfondito lo studio. Abbiamo deciso di dare vita a questa rubrica nella quale cercheremo di sviscerare, con il linguaggio più semplice e accessibile possibile, vari temi economici legati all’attualità. A questo link trovate le scorse puntate.
Le strade, i parchi, gli ospedali. Sono questi gli elementi citati dai politici durante la loro campagna elettorale. Le scuole, l’illuminazione comunale, i monumenti. Sono tutti beni pubblici che la maggioranza della popolazione può usare, ma che sicuramente ognuno deve sovvenzionare.
Eppure è facile, per ognuno di noi, constatare che, come cittadini, non abbiamo richiesto questi beni. Sicuramente per la maggior parte di essi vi è un’enorme ed innegabile necessità, e l’espressa richiesta di essi da parte della collettività risulta superflua. L’esempio più lampante è senza dubbio la sanità pubblica.
Ammesso ciò, i soldi versati dai cittadini vengono impiegati anche per altri beni e servizi, apparentemente meno vitali. Ad esempio, è davvero necessario il dispendio di denaro nella creazione di giardini e parco giochi? Sicuramente sono dei valori aggiunti per genitori e nonni che si devono occupare dei propri bambini. Non si può dire altrettanto, però, degli individui senza figli: il vantaggio che ne trarrebbero è indubbiamente minore, eppure le loro tasse andranno a finanziare tali costruzioni nella stessa proporzione.
Ma perché quindi bisogna sovvenzionare tutti questi beni pubblici? Non si potrebbe invece selezionare i beni a cui effettivamente andranno i nostri contributi? Non sarebbe più corretto?
Per capire perché ciò non accade e non potrà accadere (indipendentemente dalle promesse politiche), vediamo in primis cosa sono i beni pubblici.
Bisogna anzitutto ricordare che i beni pubblici non corrispondono soltanto ai beni messi a disposizione dallo Stato. Si parla di beni pubblici anche quando ci si riferisce a proprietà e servizi messi a disposizione della collettività da enti privati. Le compagnie telefoniche, ad esempio, non sono di proprietà dello Stato ma forniscono ugualmente un servizio pubblico, ossia rivolto alla pluralità dei cittadini.
In microeconomia si definiscono beni pubblici tutti quei beni (o servizi) che possiedono due caratteristiche fondamentali: non rivalità nell’uso e non escludibilità del beneficio.
La non rivalità nell’uso indica che il consumo del bene pubblico da parte di un individuo non influisca sull’ammontare disponibile di quel bene per altri individui. Si pensi banalmente ad una statua posta al centro di una città: se anche io passassi ogni minuto di ogni giorno ad ammirarla, non impedirei a nessun altro di fare altrettanto.
La non escludibilità del beneficio indica che è impossibile (o estremamente sconveniente) escludere chi non paga dal consumo del bene. Quali costi esorbitanti avrebbe impedire di ammirare la famosa statua a tutti coloro che non hanno contribuito a finanziarla?
Soltanto i beni che rispettano entrambe le proprietà vengono definiti “beni pubblici puri”. Al contrario, i beni che rispettano la sola proprietà della non-rivalità si definiscono beni collettivi.
Ma torniamo a noi. Il motivo portante per cui non è possibile scegliere (e pagare) solo i beni pubblici desiderati è molto semplice: non ci troviamo in un mercato di beni privati.
Mentre per i beni privati ogni consumatore è libero di spendere quanto vuole per un certo ammontare di bene, per i beni pubblici puri il discorso cambia. Il presupposto per il funzionamento di quest’ultimi, infatti, è che ogni individuo ne consumi uno stesso ammontare. Da ciò deriva che, a differenza della curva di domanda dei beni privati, nei beni pubblici essa sia la rappresentazione della disponibilità aggregata dei consumatori a pagare.
La seconda ragione per cui questo approccio non può essere messo in pratica e il fallimento del suo mercato. Autonomamente, infatti, il mercato del bene pubblico puro non potrebbe esistere. Nessun privato ha effettivamente convenienza a pagare per un bene pubblico, se considerato nella sua individualità. È tuttavia la collettività stessa ad autoimporsi il pagamento dei beni pubblici, affinché ogni individuo, grazie al contributo degli altri, possa accedervi a prezzo più conveniente e in ogni momento.
L’ultima ragione, forse la più comune, e l’asimmetria informativa. Spesso e volentieri i funzionari pubblici non hanno modo di sapere quanti e quali individui sarebbero effettivamente disposti a pagare per un bene pubblico. Perciò, per evitare lunghi e difficoltosi sondaggi, ogni individuo è tenuto a pagare la propria parte per il benessere collettivo.
Ad ogni modo, è normale che non tutti ne siano contenti; anche la microeconomia ha previsto un disallineamento dell’individuo rispetto a questo modus operandi. Si parla di free Riding, ossia la scelta secondo cui ci si astiene dal pagare un bene pubblico nella speranza che lo faccia qualcun altro. Il termine deriva dall’usanza di salire sui mezzi pubblici senza aver acquistato il biglietto. Questa opzione, come è evidente, non è una soluzione al problema e rischia di causare anch’essa un fallimento del mercato.