Il 15 giugno è arrivato al cinema Lightyear – La vera storia di Buzz, uno spin-off che racconta la storia del giocattolo preferito di Andy Davis, il protagonista della saga di Toy Story. Il film calza a pennello con l’imminente lancio dell’Artemis I, il razzo della NASA che porterà la navicella spaziale Orion a orbitare attorno alla Luna per 42 giorni.
Se si sostituisce “moon” a “infinity” nel motto di Buzz, il video informativo postato sulla pagina dedicata alla missione spaziale può davvero fungere da trailer del nuovo film Disney.
Non solo per l’ambientazione, ma anche per l’entusiasmo, l’ottimismo e la fiducia con cui gli astronauti della NASA si esprimono in merito ai futuri progetti. Gli stessi sentimenti con cui Buzz Lightyear ripete “I can do it” in diversi momenti della storia.
La storia di Buzz inizia “alla Star Wars”, a bordo del veicolo esplorativo SC-01 in viaggio a 4.2 milioni di anni luce dalla Terra. Del resto, il dialogo con la celebre saga è inevitabile: la colonna sonora, il salto nell’iperspazio, i robot, molti dettagli ricordano l’universo dei jedi, tanto che ad un certo punto ci si potrebbe anche aspettare un cameo di R2-D2 e compagnia. Per fortuna però, in uno dei momenti più densi della trama, Lightyear fa una deviazione, sottraendosi dal diventare una copia de L’impero colpisce ancora. Lo spettatore può tirare un sospiro di sollievo.
L’SC-01 e tutto il suo equipaggio si ritrova bloccata su un pianeta inesplorato a causa di un errore di Buzz, che viene risvegliato dall’ibernazione insieme ad Alisha Hawthorne per ispezionare il luogo. È il primo di una serie di errori che vengono commessi da diversi personaggi della storia. Dopo l’errore, resta il senso di colpa e il disperato tentativo di rimediare. È il tema psicologico attorno a cui ruota il film: la frustrazione che resta dopo aver sbagliato, ancor più grande se non è possibile sistemare il danno.
Da coraggioso e preparato space ranger, Buzz non prende neanche in considerazione la possibilità di non poter aggiustare la situazione: riporterà tutti a casa, ne è sicuro. “I can do it”. Così, dopo anni di lavoro per costruire un villaggio sul pianeta deserto, parte senza esitazione per testare il nuovo propellente che dovrebbe consentirgli di raggiungere l’ipervelocità, condizione necessaria per lasciare il pianeta. La missione dura 4 minuti e pochi secondi. E fallisce.
Ma Buzz sa che riuscirà a portare a termine la missione: proverà un’altra volta, una terza volta se necessario.
Quello che non sa è che la Relatività ristretta einsteniana prevede la dilatazione temporale per osservatori che si trovino in un sistema di riferimento in moto relativo a quello solidale con l’evento, effetto governato dal fattore di Lorentz γ che aumenta all’aumentare della velocità. Mentre Buzz gira attorno al Sole in pochi minuti raggiungendo velocità prossime a quella della luce, sul pianeta trascorrono anni. Così, di ritorno dai suoi esasperati test per toccare l’ipervelocità mantenendo il propellente stabile, trova Alisha cambiata. Prima con un anello al dito, poi mamma, poi con un ciuffo di capelli bianchi. E infine non la trova più. Utilizzando le formule relativistiche, si calcola che per avere un effetto di dilatazione temporale così significativo, Buzz dovesse viaggiare a 0,999c, dove c è la velocità della luce.
Dopo questo incontro ravvicinato con le leggi della fisica, Buzz non è più così sicuro della buona riuscita della sua impresa e sarà costretto, entro la fine del film, a cambiare soggetto nella sua frase di incoraggiamento: “We can do it”. Scoprirà anche che a non tutti gli errori bisogna per forza porre rimedio: alcuni possono rivelarsi delle opportunità. Il pianeta sconosciuto non è casa, ma è un posto dove centinaia di persone hanno vissuto una vita intera e completa. E lui non è soltanto uno space ranger votato al completamento delle missioni, ma prima di tutto un essere umano guidato dalle emozioni.
Anche se l’ipervelocità non viene raggiunta, i vari lanci di Buzz dalla base del pianeta sconosciuto avvengono sempre con successo.
Non è lo stesso per l’Artemis, la cui partenza programmata per il 29 agosto scorso è stata posticipata a causa di un problema tecnico.
Un primo imprevisto si è manifestato in fase di caricamento dell’idrogeno liquido nel razzo, proprio il propellente, che ha un ruolo centrale anche nella storia di Buzz. La decisione che ha portato all’annullamento del lancio è stato però l’allarme scattato per uno dei motori.
La storia fantastica di Buzz e quella reale della Nasa sembrano davvero parlarsi: così come Buzz fallisce anche al secondo tentativo, anche il secondo lancio dell’Artemis programmato per sabato 3 settembre non è andato a buon fine. Le prossime date papabili non sono ancora state annunciate, anche se molto probabilmente si tratterà del prossimo ottobre, vista la necessità di riportare la navicella nel Vehicle Assembly Building.
Certo è che la squadra della Nasa non ha intenzione di demordere, né di scoraggiarsi. Il programma Artemis ha l’obbiettivo di riportare l’uomo sulla Luna, dopo la storica missione Apollo che ha condotto al primo allunaggio nel 1969.
Sulla Luna e oltre: si pensa già all’esplorazione di Marte.
Questa prima missione senza equipaggio è finalizzata a fare dei test, per i quali sono stati preparati dei manichini muniti di vari sensori, e ricercare acqua o idrogeno, attraverso minisatelliti e strumenti che verranno imbarcati sul veicolo. Al posto di Sox, il gatto-robot di Buzz, a bordo dell’Orion, ci sarà Shaun the sheep, sotto forma di peluche. Se Sox in vari momenti della trama si rivela fondamentale per salvare Buzz e compagni da situazioni disperate, Shaun si potrà godere il viaggio, ammirando il panorama… spaziale.