Del: 28 Settembre 2022 Di: Thomas Brambilla Commenti: 0
Un bilancio delle elezioni politiche 2022

A pochi giorni dal voto, noi di Vulcano abbiamo provato a commentare i risultati ottenuti dalle coalizioni e dai partiti tra cui gli italiani sono stati chiamati a scegliere lo scorso 25 settembre, cercando di ricostruire le ragioni che hanno portato a tali risultati e di ipotizzare gli scenari che si apriranno con l’inizio della prossima legislatura.


Fratelli d’Italia (26%)

Il partito di Giorgia Meloni trova sicuramente una vittoria schiacciante che si attesta all’incirca a metà della forbice di voti delle previsioni che i sondaggi ci avevano fornito fino a due settimane fa. L’exploit del 28 o 30% non è arrivato ma non per questo il risultato può essere considerato qualcosa di diverso da una vittoria totale di un solo partito. La quota del 26% corrisponde circa all’insieme di voti preso da tutta la coalizione di centrosinistra, e basterebbe questo per dire come sono andate le elezioni.

Paga sicuramente la linea di coerenza mantenuta nella legislatura che sta per terminare. Non essendo mai stati al governo, nemmeno nel momento di una più o meno riconosciuta unità nazionale con Draghi, hanno canalizzato col proprio lavoro di opposizione tutto lo scontento di un popolo geograficamente eterogeneo, accumulatosi non solo ma soprattutto per via della pandemia che ha costretto il governo Conte II prima e Draghi poi a scelte decisamente impopolari che venivano puntualmente messe nel mirino da FDI.

Il distacco dalle altre forze politiche dell’alleanza è tale che non è complesso prevedere la trazione largamente guidata da FDI nel prossimo governo e una componente nettamente maggioritaria nei ruoli apicali dell’amministrazione (vista la consueta divisione da cosiddetto manuale Cencelli). Sarà quindi importante capire quali delle due facce mostrate da Giorgia Meloni durante questa campagna elettorale emergerà nel corso dei prossimi mesi non facili di governo e se, come successo con la Lega, la praticità delle scelte può far evaporare in breve tempo un consenso che può essere molto più volatile di quanto si pensi.

Lega (8,8%)

La Lega subisce un tracollo totale, la sconfitta più drastica dell’era Salvini. Pesa sicuramente la vicinanza politica con FDI che ha permesso sempre ad un elettorato volatile di identificarsi con l’alternativa più coerente delle politiche portate avanti dal partito. Ma pesa soprattutto l’ingresso nel governo Draghi, ritenuto anche dal segretario come il punto di svolta nella perdita di consensi e utilizzato come strumento per attaccare internamente il fronte governista, colpevole secondo Salvini di aver spinto il partito su posizioni non proprie sostenendo per troppi mesi il litigioso governo Draghi.

Il dato maggiormente negativo è sicuramente la perdita di territori dove un largo consenso era dato fino a pochi mesi fa per certo (come ad esempio il Veneto oltre che al trend generale del Nord Italia), grazie ad una radicazione storica che ha le sue origini nella storia profonda del partito. La leadership di Salvini sembra a questo punto vacillare, come si apprende dai primi malumori interni che sono partiti sia dai territori che dai suoi storici oppositori interni, tra cui Maroni, che ha già annunciato la sua proposta per il cambio di segretario.

Forza Italia (8,1%)

Forza Italia si conferma senza dubbi una delle sorprese di questa tornata elettorale, se non altro perché la tanto attesa caduta nei consensi (annunciata più volte da Calenda) non è di fatto arrivata. Una settimana fa nessuno avrebbe scommesso su un appaiamento delle due forze minoritarie della coalizione di centrodestra. Il buon risultato del partito di Berlusconi non era affatto scontato vista la scissione interna al partito a poche settimane dal voto, una leadership non del tutto arzilla, la sfiducia che ha fatto cadere il governo Draghi e una imprevedibile quasi giustificazione a due giorni dal voto delle azioni di guerra della Russia in Ucraina da parte del suo leader.

Partito Democratico (19%)

Il PD è il vero grande sconfitto di queste elezioni. Nulla di imprevedibile di fatto, ma una serie di errori così evidenti nessuno li avrebbe previsti prima della campagna elettorale. Letta ha sbagliato molto, a partire dalla mancanza di una strategia chiara, che ha portato il segretario a cercare alleanze elettorali con forze molto diverse fra loro ovviamente per ciò che imponeva la pessima legge elettorale (fatta dal PD e poi rinnegata, giustamente, dal PD), senza però mai scegliere chiaramente quale strada percorrere e su quale alleato puntare maggiormente. La sconfitta, per alcuni già determinata in partenza, è sicuramente stata influenzata dall’assenza del M5S dalla coalizione costruita, una scelta presa in maniera ingiustificata e basata su una mancata fiducia a tutti i costi ad un governo tecnico. Viene infatti difficile pensare come la dirigenza del PD non avesse previsto una difficoltà totale sugli uninominali senza il M5S in coalizione.

Ciò che ha portato svantaggio al PD è stata la mancanza di una linea chiara e coerente, mutata più volte fra inizio e fine legislatura e finita per osannare una fantomatica “agenda Draghi” di fatto inesistente e lontana dalle richieste della base, motivo per il quale sicuramente una parte di voti è andata persa. Decide inoltre di puntare su alleati particolari all’interno della coalizione, come ad esempio Impegno Civico di Di Maio, una sorta di fallimento annunciato secondo alcuni, e +Europa di Emma Bonino che di pochissimo non riesce a raggiungere la soglia di sbarramento.

Alleanza Verdi-Sinistra Italiana (3,6%)

All’interno del cosiddetto centrosinistra si possono considerare gli unici a riscuotere un minimo successo. Superare il 3% non era affatto scontato e ci sono riusciti mettendo insieme un’alleanza sicuramente credibile e con un potenziale di crescita non basso. Vedremo in seguito cosa sarà di questa alleanza elettorale e con chi decideranno di dialogare i propri rappresentanti eletti in parlamento visto che, fra le tante dichiarazioni al limite di Letta, c’è stata anche quella del rifiuto prestabilito di un governo con SI e Verdi al suo interno, nonostante la coalizione.

Movimento 5 Stelle (15,5%)

Nonostante si prevedano 5 anni di opposizione, per il M5S non si può che parlare di successo. Molti incentrano su Conte e sul suo programma le ragioni della rimonta che in poche settimane ha stravolto i sondaggi, permettendo al Movimento di rimanere il primo partito nel Sud e riscuotere buoni consensi anche al Centro-Nord, presentando un rinnovato programma progressista che ha senza dubbio attratto molti voti, nonostante rimanga l’amaro in bocca per una grossa fetta di elettori che lo scelsero con convinzione nel 2018 e che a questa tornata elettorale hanno optato per l’astensione.

Al di là di questa inevitabile constatazione occorre notare che la sconfitta del centrosinistra ruota attorno al ruolo del M5S, costretto forse questa volta a correre da solo e destinato a erodere consenso a quello spazio politico pur essendone diretto concorrente. Vedremo se Conte riuscirà ad essere il primo rappresentante dell’opposizione e quale ruolo sarà destinato ai 5 Stelle nella nuova legislatura.

Azione-Italia Viva (7,7%)

Il Terzo Polo non vince e non perde. Folgorati da Draghi e dal suo consenso forse si permettono qualche presunzione di troppo dichiarando più volte con sicurezza di essere determinanti nella prossima legislatura e di superare il 10%, di fatto erodendo tutto il consenso di Forza Italia. Così non va, Forza Italia gli resta davanti e Calenda e Renzi devono accontentarsi di un discreto 7,7%. Fra le due forze sicuramente quella più soddisfatta non può che essere IV, per il quale percentuali del genere prima dell’accordo con Calenda non erano neanche lontanamente ipotizzabili. Di fatto si sono salvati a vicenda, Renzi aveva firme e simbolo ma non i voti, mentre Calenda dopo l’accordo fallito col PD aveva una buona quota di voti ma non le firme necessario per presentarsi da solo.


Emerge un dato importante nel fatto che solo il 30% degli elettori ha votato per partiti che hanno sempre e comunque votato la fiducia a Mario Draghi, sul quale Azione e IV avevano investito tutto. Resta da chiedersi come sarebbero andate le cose se all’interno della coalizione di centrosinistra fosse rimasto Calenda e come questo elemento avrebbe influito sugli esiti finali del voto.

Thomas Brambilla
Sono studente in scienze politiche e filosofiche alla Statale di Milano. Mi piace riflettere e poi scrivere, e fortunatamente anche riflettere dopo aver scritto. Di politica principalmente, ma senza porsi nessun limite.

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