Afroqueer è un podcast prodotto da None on Record che raccoglie storie queer provenienti da diverse zone del continente africano. Storie d’amore, matrimoni, felicità, ma anche molta intolleranza e leggi che stigmatizzano le persone queer.
Vi presentiamo la squadra che opera per costruire il podcast. Innanzitutto, Selly Thiam è una giornalista afroamericana di origine senegalese; è anche regista, produttrice di contenuti in radio e scrittrice. La sua voce è il filo conduttore di ogni episodio.
Abbiamo poi Rachel Wamoto, professionista del mondo audiovisivo e DJ, produttrice di un cortometraggio dal nome Kuchu story e collaboratrice a diversi progetti cinematografici. Mercy Githaiga è una studiosa che si spende molto per i diritti umani, nei servizi umanitari e con organizzazioni che promuovono l’aiuto per le persone svantaggiate dal sistema economico. Altri nomi importanti sono Isabella Matambanadzo, Roger Ross Williams, Ryan Ubuntu Olsen e Tevin Sudi.
La sede principale del podcast si trova a Nairobi, capitale del Kenya. In questo Paese il codice penale inserisce l’omosessualità negli “atti indecenti”: nella sezione 162 si scrive chiaramente che questo è un reato di “conoscenza carnale contro l’ordine della natura” e che la pena è la reclusione fino a 14 anni.
Un rapporto del 2015 di Human Rights Watch ha rilevato che “la retorica che diffama le persone LGBTQIA+, in gran parte diffusa dai leader religiosi, è particolarmente presente sulla zona costiera, e influenza la percezione pubblica“.
Il rapporto aggiungeva: “I politici e i leader religiosi estremisti cercano di rafforzare la loro posizione proponendo una legislazione omofobica e predicando l’odio contro i kenioti gay. I media si dedicano a diffondere notizie sensazionali su ‘scandali’, a volte interamente inventati, che coinvolgono persone LGBTQIA+. Sebbene molte persone LGBTQIA+ possono contare sul sostegno di amici e familiari e si ritagliano spazi in cui possono vivere in relativa sicurezza, il rischio di violenza rimane costante“.
In questo contesto nasce il podcast, che diventa una voce diversa, nuova, segnato dalla volontà di rovesciare la narrazione comune che vuole stigmatizzare le persone queer. In Kenya molti contenuti queer vengono boicottati, cancellati o nascosti e Selly Thiam racconta che per ora sembra che il governo non abbia ancora conosciuto i podcast come forma multimediale: staremo a vedere nei prossimi anni.
Nella prima stagione di Afroqueer, Sally Thiam viaggia in Sudafrica per decostruire i concetti di differenza etnica, classe e geografia parlando del Pride più antico del continente. Si passa poi per le storie di violenze ai danni dell’attivista FannyAnn Eddy in Sierra Leone, che sono l’evento motore della nascita del podcast. Infine anche Grindr diventa il centro per azioni violente, infatti sono state raccolte testimonianze di come gli incontri organizzati tramite quest’app, nel caso specifico in Kenya, si siano spesso rivelati delle trappole per colpire chi le utilizza.
Come nasce l’idea di un podcast che raccoglie storie queer panafricane? Tutto nasce dalla morte di FannyAnn Eddy, attivista della comunità LGBTQIA+ proveniente dalla Sierra Leone, che fu stuprata ed uccisa negli uffici della Sierra Leone Lesbian and Gay Association nel 2004. Questa notizia fu il motore che azionò l’attuale host di Afroqueer, che in poco tempo iniziò a raccogliere testimonianze orali di persone queer africane localizzate in tutto il mondo. Nel 2006, quindi, viene fondata None on Record; anche questa è una denominazione importante. Il tutto nasce quando Selly Thiam chiese ad un prete nigeriano di elencarle dei termini indigeni per identificare le persone queer: a quanto pare non ne esistevano. Da qui la scelta del nome None on Record, che simboleggia la voce di chi non viene ricordatə dalla cultura tradizionalista, ma che è da sempre esistitə.
Da quel momento in poi il progetto si è espanso: nel 2012 ha aperto una sede in Africa occidentale per lavorare con le associazioni LGBTQIA+ e con i media per suscitare un nuovo tipo di narrazione, che non è semplice in un continente in cui la sola esistenza come persona queer può significare stigma, odio, torture o morte.
Afroqueer viene lanciato nel 2013 e diventa un momento fondamentale di rappresentazione per persone che vengono spesso ignorate dai governi locali, quando non vengono criminalizzate soltanto per il loro non essere eteronormate.
In 22 paesi su 54 non esiste una protezione particolare per le persone LGBTQIA+, né una forma di criminalizzazione specifica. A questo proposito, in Italia ancora non abbiamo una legge che punisca direttamente l’omolesbobitransfobia, ma questa è un’altra storia.
Torniamo al continente africano. In Gambia, Sierra leone, Uganda, Kenya, Tanzania e Zambia l’omosessualità è un reato ed è punita con il carcere. In Mauritania, Suda, Nigeria settentrionale e Somalia del sud, addirittura abbiamo la pena di morte. Più di recente, nel 2013, in Uganda è stato promulgato l’Anti-homosexuality bill, in cui il parlamento ha esteso le pene anche a chi promuove l’omosessualità e l’interpretazione di termini così vaghi favorisce l’accusa verso moltissime pratiche. È una mossa per non permettere nemmeno di nominare l’esistenza di persone non eteronormate. Anche la censura opera in modo sistemico, andando a bloccare l’uscita di film, spettacoli e contenuti che siano contrari alla “morale pubblica”. Chi viene accusato di omosessualità in Uganda è punibile con l’ergastolo.
Per le persone queer il rapporto con le famiglie non è semplice, perché spesso si è reduci di una cultura tradizionalista e conservatrice, quindi, si è spinti a non accettare delle diversità che si pensa siano state inventate da poco.
Le persone queer non sono un prodotto del 2022, anzi, sono sempre esistite e, soprattutto a livello panafricano, esistono molte storie di inclusività risalenti al periodo pre-coloniale.
Un esempio fornito da Afroqueer viene dal regno di Buganda, in Uganda. Il periodo è la fine del 1800 ed il re si chiamava Kabaka Mwanga II. Quest’uomo era apertamente bisessuale ed, infatti, aveva relazioni sia con uomini, che con donne. Gli scontri principali li ebbe, per l’appunto, con i missionari cristiani, che non potevano accettare una condotta di questo tipo, soprattutto da una persona di potere. La dottrina cristiana si insinuò sempre di più casa per casa e 45 giovani uomini furono uccisi per aver rifiutato i rapporti sessuali con il re, a causa della loro nuova fede, portata dai missionari. Ad oggi 22 di questi uomini sono stati canonizzati dalla Chiesa e sono dei santi.
In questo stesso periodo in Inghilterra, nasce il social purity movement, un’organizzazione che aveva la volontà di fermare qualsiasi atto sessuale che non avesse uno scopo riproduttivo. Nello stesso panorama inglese viene imprigionato anche Oscar Wilde, con l’accusa di omosessualità, dichiarato colpevole di atti indecenti. Queste erano le idee dei missionari cristiani che giungevano in Uganda, ed è facile immaginare che un re come Kabaka Mwanga II fosse il nemico perfetto: aveva ucciso dei cristiani e compieva degli atti osceni. Ci furono, quindi, una serie di mosse per deporlo dal trono e ci riuscirono nel 1888: il motore fu una coalizione congiunta di cristiani e musulmani.
Da quei tempi in poi, l’idea generale è che le persone queer stiano aumentando a causa delle influenze del mondo europeo e che, quindi, siano una novità mai esistita in Africa. La realtà è che gli esempi sono molteplici e, come viene detto nell’episodio “Criminalization and Colonization” di Afroqueer, la criminalizzazione dell’orientamento sessuale è giunta dai colonizzatori, dalle dottrine cristiane che volevano uniformare e controllare i corpi e i gesti dei propri fedeli, stigmatizzando tutto ciò che usciva dalla loro ottica.