Del: 25 Ottobre 2022 Di: Thomas Brambilla Commenti: 0
Come il Rosatellum ha in parte distorto il voto popolare

Come tutti ben sappiamo l’attuale legge elettorale della Repubblica italiana, il Rosatellum, è stato uno degli elementi centrali della campagna elettorale che si è appena conclusa. La grande discussione su di essa è stata portata avanti dai partiti a causa di ciò che la struttura principale di questa legge ha imposto alle strategie elettorali dei vari poli politici, ovvero la tendenza a dover cercare necessariamente coalizioni più larghe possibili per potersi scontrare con gli avversari in maniera competitiva.

Allo stesso modo sappiamo, a posteriori, che ciò che ha maggiormente contraddistinto queste elezioni è stata la grande compattezza della coalizione di centrodestra.

Essa, almeno in termini elettorali, si è scontrata con una coalizione di centrosinistra totalmente disaggregata, ottenendo quindi un enorme vantaggio. Tutto ciò però si rapporta in maniera piuttosto controversa con quello che è il principio di rappresentanza a cui ogni legge elettorale dovrebbe in certa misura ambire, producendo di fatto una serie di distorsioni piuttosto significative del voto popolare.

Sia chiaro, è necessario ammettere come premessa che quello italiano non è di certo un caso unico e che soprattutto non esiste di per sé una legge elettorale che sia perfetta o quantomeno giusta. Esse infatti si muovono tutte sul famoso compromesso o trade-off fra principio di rappresentanza e garanzia di governabilità e stabilità.

Il Rosatellum, che porta questo nome a causa del firmatario della legge (Ettore Rosato, attualmente parlamentare di Italia Viva ma all’epoca ancora membro del Partito Democratico), è una legge approvata nel novembre del 2017 dal governo Gentiloni nel corso della sedicesima legislatura. Non è infatti la prima volta che il parlamento italiano viene eletto attraverso questo meccanismo elettorale. La legge fu approvata con il consenso di quasi tutti i principali partiti, ad esclusione del M5S, che si riteneva fortemente penalizzato dalla necessità di coalizzarsi, e da FDI.

È curioso il fatto che oggi le principali critiche alla legge arrivino proprio da coloro che nel 2017 la approvarono con convinzione, a partire dal PD e per finire con lo stesso Rosato, che poco prima delle elezioni ha dichiarato che al momento cambierebbe la legge elettorale da lui stesso ideata.

Da un punto di vista tecnico questa legge può essere definita come un sistema misto fra maggioritario e proporzionale.

Infatti, per due terzi essa si struttura su seggi assegnati in maniera proporzionale, ovvero direttamente proporzionati alla quote di voti ottenuti da un singolo partito, e per il restante un terzo, che si rivela molto decisivo, tramite l’assegnazione di seggi provenienti da collegi uninominali. Un collegio è uninominale quando solamente un candidato può ottenere l’assegnazione del seggio in caso di vittoria anche dovuta ad un solo voto in più al partito o alla coalizione che ottengono il maggior numero di voti in quella specifica circoscrizione territoriale. In questi casi i partiti si aggregano accordandosi su un solo nome per collegio, ovvero su un membro della coalizione appartenente ad un solo partito sul quale convergono in parte tutti i voti dati ai partiti della coalizione.

L’unanime riconoscimento dei problemi che porta con sé il Rosatellum si suppone possa essere nato dall’idea che questa legge ha sostanzialmente fallito sia sul piano della rappresentanza che su quello della governabilità, tenendo anche in considerazione la complicità del complesso sistema partitico italiano.

fonte: La Repubblica

Partendo dal piano della governabilità infatti, la scorsa legislatura è stata contraddistinta da molta instabilità e da un alto potere di veto dato a partiti più o meno piccoli. Sul piano invece riguardante il principio di rappresentanza dell’espressione popolare tramite il voto, si osserva un elevato livello di distorsione proprio a causa del sistema dei collegi uninominali.

La forza di un partito nella spartizione dei collegi uninominali all’interno della propria coalizione è data dal valore che quel partito riscuote nei sondaggi nel momento in cui avviene per legge la spartizione. Il problema nasce infatti proprio da questo, l’inaffidabilità dei sondaggi stessi che, come abbiamo visto in queste ultime elezioni, sono spesso soggetti ad errori piuttosto rilevanti.

Per poter analizzare correttamente quelli che sono gli effetti sul principio di rappresentanza possiamo far riferimento a due esempi emersi dalle ultime votazioni.

Il primo si basa fondamentalmente sulla sproporzione in essere fra voto popolare e rappresentanza parlamentare e un chiaro esempio di questo può essere trovato nel caso della Lega. Il partito infatti, nonostante sia andato incontro ad una sonora sconfitta elettorale raggiungendo in maniera inaspettata solo l’8,8%, ha ottenuto una buona quota di seggi che gli permetterà di pesare molto sia nel prossimo governo che in parlamento da un punto di vista numerico.

Ciò è accaduto proprio a causa dell’assegnazione preventiva dei collegi uninominali che nella coalizione di centrodestra sono stati in misura molto maggiore rappresentati dalla Lega rispetto all’effettivo consenso poi riscosso. È così che nel nuovo Parlamento ci saranno 96 seggi leghisti con un appoggio popolare di 2,4 milioni di voti circa contro ad esempio gli 80 seggi del M5S che ha ottenuto 4,3 milioni di voti (16 seggi in meno con circa 2 milioni di voti in più).

Oltre a questo esempio significativo ci sarebbe poi il caso del Terzo Polo che, pur non riguardando direttamente la questione del voto popolare, ha offerto pur sempre qualcosa su cui poter riflettere. I partiti di Renzi e Calenda si sono sostanzialmente apparentati in coalizione per solo interesse personale, ovvero perché a IV mancavano i voti per raggiungere la soglia di sbarramento mentre ad Azione mancavano le firme necessarie per presentarsi alle urne da raccogliere in tempi brevi durante l’estate, altrimenti non si spiega come mai il leader di Azione fino a poche settimane prima andasse in giro a ripetere che mai avrebbe fatto un’alleanza con Renzi.

Il risultato è che, prima dell’accordo, il partito di Renzi, dalle iniziali percentuali inferiori al 3%, non sarebbe di certo con sicurezza entrato in Parlamento. Invece, dopo l’accordo giocato in favore di IV (con certamente più potere di veto), si trova ora con una quindicina di parlamentari, ricevendo il 7,7% di voti in coalizione con Azione, la maggior parte dei quali sono andati a quest’ultima e non di certo al programma o alle politiche proposte da Italia Viva, nonostante la loro somiglianza.

In conclusione, non si tratta di certo di dinamiche previste o volute ma per l’appunto di distorsioni.

Si ha a che fare con gli effetti collaterali di un sistema elettorale che di certo non ha regole di perfezione a cui fare riferimento. È bene però sottolineare quali essi siano e che conseguenze abbiamo su uno dei principi cardine della democrazia liberale; se a ciò si aggiungesse inoltre il fatto che ormai le preferenze elettorali siano un antico miraggio e le candidature personali siano frutto di rigidi meccanismi di cooptazione presenti all’interno dei partiti come di fatto è oggi in Italia, allora potremmo iniziare a parlare di una vera e propria crisi della rappresentanza.

Thomas Brambilla
Sono studente in scienze politiche e filosofiche alla Statale di Milano. Mi piace riflettere e poi scrivere, e fortunatamente anche riflettere dopo aver scritto. Di politica principalmente, ma senza porsi nessun limite.

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