Del: 15 Ottobre 2022 Di: Laura Colombi Commenti: 0
Giradischi, gli album consigliati d'ottobre

Anche ad ottobre, 5 album per tutti i gusti: Giradischi è la rubrica dove vi consigliamo i dischi usciti nell’ultimo mese che ci sono piaciuti.


Volevo Magia, Verdena (Universal)

Chitarre acustiche e distorte, testi da pugno nello stomaco, ritmo a gogo: in Volevo Magia, il nuovo album dei Verdena fuori dal 23 settembre, c’è tutto quello che serve per affrontare la decadenza autunnale.

Sempre sospeso tra realtà e immaginazione, Volevo Magia è un album estremamente emozionante, esplosivo fin dalle prime note, nella sua tranquillità da ballad. Non mancano di certo pezzi più aggressivi: con una vena grunge, come in Crystal Ball, dove (la divina) Roberta Sammarelli esibisce uno stupendo riff di basso, o d’ispirazione punk, come la title-track Volevo Magia.

L’avete capito, l’indie rock dei Verdena è molto più dell’indie a cui siamo abituati. Con questo ultimo album, il secondo dell’anno dopo America Latina, la band italiana ma dalla vocazione internazionale colpisce ancora una volta nel segno, portando una vera e propria ventata d’aria fresca.


Hyper-Dimensional Expansion Beam, The Comet is Coming (Verve)

A metà tra astronomia e astrologia sta il nuovo e ballabilissimo lavoro del trio britannico The Comet is Coming, intitolato non a caso Hyper-Dimensional Expansion Beam.

La band, che sarà all’Alcatraz il prossimo 28 marzo, mischia fin dal primo album del 2016 l’elettronica al jazz, al funk e al rock psichedelico, e trova oggi, ancora a sei anni di distanza, molte cose da dire. L’ultimo lavoro si presenta come un album strumentale dalle tinte celesti, dominato dal sassofono di Shabaka e dai sintetizzatori, che volano leggeri sopra un ritmo incessante, quasi tribale, come accade in ATOMIC WAVE DANCE. La meta è lo spazio, e in effetti Hyper-Dimensional Expansion Beam ricorda a tratti le strumentali degli Jamiroquai, specie per la seconda traccia TECHNICOLOUR.

Un album forse fin troppo carico di motivi, ma nel complesso senza dubbio interessante.


Most normal, Gilla Band (Rough) – recensione di Gabriele Benizio

Il terzo disco della band di Dublino prosegue esattamente dove i primi due avevano finito. Un mix di post-punk, noise rock e rock industriale davvero frenetico e ansiogeno con liriche crude e sarcastiche.

Il disco si presenta come un connubio interessante, non di certo originale, ma sicuramente di impatto. Alcuni brani più noise come Grushie dove le distorsioni spingono al massimo, si affiancano a brani più frenetici come Backwash, dove la batteria fa davvero un gran lavoro e si sente l’anima più no wave del disco.

Sicuramente una bella sorpresa: se siete interessati a un disco che vi faccia muovere, questo fa per voi.


Spiderr, Bladee (YEAR0001) – recensione di Gabriele Benizio

Bladee è un artista che ha avuto un’evoluzione artistica estremamente interessante. Membro della Drain Gang,collettivo rap svedese, ha iniziato con un cloud rap dalle tinte estremamente malinconiche e dal taglio molto homemade, per poi evolversi progressivamente senza però cambiare di una virgola la sua identità e il suo approccio.

Dal primo Bladee che riusciva a farsi apprezzare pur non avendo la benché minima abilità canora, tanto che nemmeno l’autotune riusciva a mascherarlo, e tanto che nemmeno è facile spiegare perché comunque la sua voce sia così gradevole, all’ultimo Bladee, dove è sicuramente migliorato tecnicamente e dove quel Cloud rap gelido e malinconico si è evoluto in qualcosa di più. Posto sempre il fatto che i livelli di Eversince rimangono probabilmente difficili da toccare, Bladee non perde un colpo, un mix di cloud rap, pop elettronico e pop ambientale.

In tutto questo, il pregio più grande è che fondamentalmente rimane sempre lui: a volte con quella voce androgina e a volte con quella voce che pare quasi annoiata, quelle atmosfere eteree, quella malinconia e i suoi soliti esperimenti canori. Anche questa volta la Drain Gang si rivela una delle realtà più solide del panorama alternativo.


But for now leave me alone, pH-1 (H1GHR) – recensione di Giulia Ariti

Dopo tre anni di pausa, pH-1, pseudonimo del rapper coreano-americano Harry Park, torna con un nuovo album sulla scena k-hip hop. But for now leave me alone è un insieme di storie: tipico di pH-1 è proprio l’attenzione al dettaglio, alle storie, al peso delle parole e dell’atmosfera che le basi creano.

Si tratta di una piena immersione nel mondo della scena k-hip hop, spesso misconosciuta e sottovalutata oltre ai confini della Corea del Sud, con collaborazioni con artisti che hanno scritto la storia del genere, come Paloalto e Woo.

Se Zombies e TGIF si presentano con basi ritmate e un’atmosfera quasi festosa, Mr. Bad, collaborazione con il rapper coreano Woo, ci porta in un sound r&b, con ritmi ripetitivi che facilmente riescono ad entrare in testa. Unica pecca: il testo della canzone risulta lontano dai soliti lavori del rapper, generalmente introspettivi, come testimoniato esemplarmente dal singolo Homebody, uscito nel 2018. Una caratteristica che, invece, si ritrova all’interno di Juliette!, che racconta una storia d’amore dei giorni moderni, con tutte le insicurezze e le speranze che essa può portare con sé.

Shrink told me sprofonda in un’atmosfera più oscura; è difficile non pensare ad una possibile influenza di Eminem. Il testo, scritto totalmente in inglese a differenza dell’ampio uso della lingua coreana nelle altre tracce, tratta di un amore quasi ossessivo e di un uomo in preda ai propri demoni interiori. Il tono struggente di Mokyo, artista con cui Harry Park ha collaborato in questa traccia, ci spinge totalmente in quest’oblio.

Un progetto vario, che tocca molti sottogeneri, in cui l’artista parla direttamente all’ascoltatore, quasi come un amico che racconta la propria esperienza, le proprie difficoltà, sfogandosi in tutta la sua versatilità.

Laura Colombi
Mi pongo domande e diffondo le mie idee attraverso la scrittura e la musica, che sono le mie passioni.

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