Negli ultimi tempi il diritto all’aborto, messo in discussione a più riprese, è tornato ad essere un tema centrale nel dibattito pubblico, in cui scienza, morale e religione si mischiano, tra falsi miti e questioni delicate. Ecco una guida per un’opinione più consapevole su un tema così complesso.
Recentemente si è spesso parlato del diritto all’aborto, sia per quanto riguarda le questioni estere (ad esempio in America, ne abbiamo parlato qui), sia per quanto riguarda quelle interne, a partire dalla recente campagna elettorale. In particolare, con l’inizio della nuova legislatura il tema è tornato prepotentemente al centro della scena politica italiana, soprattutto dopo il “ddl Gasparri” con cui il senatore di Forza Italia ha proposto di conferire la capacità giuridica al concepito, modificando l’art. 1 del Codice Civile che prevede invece l’acquisizione della capacità giuridica al momento della nascita. Se approvato, ciò andrebbe ad attribuire i diritti che discendono dalla capacità giuridica al concepito, creando una sorta di cittadino-feto e probabilmente pregiudicando la possibilità delle donne di accedere all’IVG, o addirittura agli anticoncezionali, limitandone significativamente le libertà sessuali.
Le posizioni e le tesi addotte al dibattito presentano spesso inesattezze o falsità in ambito storico, filosofico e scientifico, che è possibile confutare solo attraverso un’attenta analisi della questione, partendo, ad esempio, dalla relazione tra religione e aborto.
La Bibbia non è contraria né favorevole all’aborto, poiché questa pratica non è menzionata nel Testo Sacro. In particolare, non vi è alcun riferimento all’interruzione volontaria di gravidanza in nessuno dei Testamenti.
Ciò viene spesso attribuito al fatto che, secondo alcuni, l’aborto non esisteva prima della scrittura della Bibbia, cosa che però non è vera, poiché era una pratica ampiamente conosciuta già nell’Antico Egitto. Anche nell’Antica Grecia era una pratica nota e anche sdoganata, come dimostrano le opere in cui autori come Platone, Aristotele ed Aristofane ne parlano; per queste ragioni, è certo che gli autori della Bibbia fossero a conoscenza della pratica dell’aborto. Ci sono generalmente dei versetti che vengono considerati in contrasto con l’aborto, come Geremia 1:5 (“Prima che tu venissi formato nel ventre, io ti conoscevo”) o il comandamento di “non commettere omicidio”, che in realtà non possono essere un riferimento all’aborto poiché manca l’esplicito riferimento alla contraccezione, a differenza di altre fonti passate che ne parlavano specificamente.
È invece interessante notare che, come scritto nell’Esodo 21:22, in caso di aborto involontario causato dalla violenza di un uomo, esso avrebbe dovuto pagare un risarcimento, mentre, in caso di morte della donna stessa, l’aggressore avrebbe dovuto pagare con la vita; questo dimostra che, secondo le scritture, l’embrione non fosse considerato legalmente paragonabile alla donna. La posizione attuale sull’aborto risale solamente al 1869, quando il Papa Pio IX dichiarò l’aborto un peccato paragonabile all’omicidio. Prima di questa data, il cristianesimo considerava l’aborto un peccato minore rispetto all’omicidio, a patto che avvenisse entro 40 giorni dal concepimento.
Per parlare esaustivamente dell’aborto, bisogna indubbiamente passare per il lato scientifico della questione, essendo l’IVG prima di tutto una pratica medica. Oggi è possibile osservare precisamente le fasi della gravidanza, le forme e la composizione biologica dell’embrione, ed è pertanto possibile sfatare alcuni miti ricorrendo semplicemente ai dati scientifici a disposizione.
Il primo falso mito che spesso viene diffuso è quello secondo cui, già dopo pochi giorni, il cuore si sia completamente formato, sostenendo dunque che, per questo motivo, lo zigote sia già paragonabile ad un essere umano formato. In realtà, le prime cellule cardiache, che mettono in moto il sistema circolatorio dell’embrione, si sviluppano nella quinta settimana di gravidanza, mentre la formazione completa del cuore avviene circa alla decima settimana di gestazione. È tuttavia da sottolineare che il cuore inizia a funzionare regolarmente tra la dodicesima e la tredicesima settimana, in cui l’embrione passa alla forma fetale.
Esistono Paesi in cui, per scoraggiare l’IVG, viene imposto alle donne di ascoltare quello che viene definito “battito cardiaco fetale” prima di sottoporsi all’interruzione della gravidanza, pratica, oltre che crudele, poco scientifica.
Il termine, infatti, non è ampiamente utilizzato in medicina e può risultare fuorviante. Diversi scienziati americani, in particolare appartenenti agli Stati in cui avviene questa pratica, affermano infatti che quello che pare essere il battito cardiaco dell’embrione è in realtà frutto dei macchinari ad ultrasuoni utilizzati per le radiografie, che captano l’attività elettrica delle cellule cardiache; questi suoni non possono essere ricondotti ad un sistema cardiovascolare funzionante o ad un cuore funzionante anche perché, fino alla forma fetale, non esiste una struttura cardiaca completa, comprese le valvole cardiache che producono il caratteristico suono del battito cardiaco.
La seconda questione, dal punto di vista scientifico, è quella della formazione delle cellule cerebrali, sempre attribuita da alcuni ai primissimi stadi della gravidanza, e la conseguente possibilità che l’embrione provi dolore o abbia una coscienza. Anzitutto, la formazione della prima forma cerebrale avviene alla decima settimana, in cui l’embrione può solamente muovere il collo. Il processo di mielinizzazione, ovvero il processo per cui il cervello acquisisce la capacità di elaborare gli stimoli esterni, inizia invece alla dodicesima settimana, per poi terminare dopo la nascita.
Per quanto riguarda invece la questione della capacità di provare dolore, la comunità scientifica sosteneva fino a poco tempo fa che il feto sviluppasse le terminazioni nervose necessarie intorno alla ventesima settimana, ma un recente studio del British Medical Journal smentisce questa tesi: il feto sviluppa le terminazioni nervose tra la ventesima e la ventiseiesima settimana di gestazione, ma, a causa dell’ambiente chimico interno all’utero, risulta completamente addormentato, e pertanto incapace di provare alcun tipo di dolore fino alla nascita. Anche l’immagine del feto che si succhia il pollice nell’utero è falsa, poiché la divisione delle dita avviene solo nella fase fetale e la capacità di suzione si sviluppa solo a partire dal sesto mese dal concepimento, a gravidanza inoltrata.
Un’altra questione, che non c’entra direttamente col diritto all’aborto ma che è utile menzionare, è la credenza per cui una donna che abortisce, che ciò avvenga spontaneamente o dopo una procedura medica, non possa più avere figli. Presupponendo che gli aborti spontanei riguardano tra il 15 e il 20% delle gravidanze totali, i dati dimostrano che non esistono differenze statistiche tra le donne che hanno abortito e quelle che non hanno abortito. L’Instituto Bernabeu ha inoltre stilato una lista delle false credenze legate all’aborto spontaneo, consultabile qui. La differenza di fertilità si pone solamente qualora la donna si sia sottoposta ad un aborto in maniera clandestina, a causa di possibili danni all’utero.
Parlando di aborto, è inevitabile soffermarsi sulla dimensione politica e sociale della questione, che ogni anno tocca milioni di donne. Molto spesso le teorie erronee in ambito sociopolitico fanno riferimento alle libertà sessuali delle donne, più che essere rivolte all’embrione.
L’argomentazione che viene spesso sollevata è che le donne tendano ad abortire più frequentemente nei Paesi in cui l’aborto è legale, rispetto alle donne nei Paesi in cui esso è vietato. Tuttavia, diversi studi smentiscono questa tesi.
Così come per il consumo di sostanze stupefacenti, inoltre, la proibizione non può azzerare la domanda di persone che richiedono un bene o un servizio. È noto che, in assenza di mezzi legali per abortire, le donne ricorrono a mezzi clandestini, decisamente meno sicuri e potenzialmente fatali per chi vi si sottopone, oppure decidono di andare ad abortire in Paesi in cui è possibile farlo legalmente, anche se questo non è ovviamente possibile per tutte le donne, sia da un punto di vista economico che logistico.
Molteplici studi dimostrano che, nonostante i divieti, i Paesi col divieto di aborto non registrano un numero di aborti inferiore rispetto agli Stati in cui ciò è legale. Molto spesso la proibizione dell’aborto porta invece ad un aumento del fenomeno, con conseguente aumento delle complicanze, delle ospedalizzazioni e delle morti (a causa della clandestinità dell’operazione). Uno studio del Guttmacher Institute, tra i più autorevoli in materia, mostra ad esempio che, negli ultimi 30 anni, nei Paesi che proibiscono l’aborto si è visto un aumento del 15% delle IVG clandestine, a dimostrazione del fatto che il divieto non cancella la domanda e la necessità di questo servizio sanitario.
Un altro studio dello stesso istituto mostra inoltre che, nei Paesi in cui l’aborto è illegale, le IVG interrompono il 39% delle gravidanze indesiderate, a fronte del 41% del resto dei Paesi; tuttavia, è da considerare che, negli Stati in cui l’IVG è illegale, il 79% delle gravidanze è composto da gravidanze indesiderate, a fronte del 59% dei Paesi che garantiscono l’aborto. Con questi dati, e calcolando che probabilmente un numero indefinito di aborti clandestini sfugge agli studi, si può affermare che si verificano più aborti nei luoghi in cui è vietato abortire. Ciò dimostra che, per disincentivare l’aborto, è più utile una legislazione aperta al tema, ed è necessario un sistema scolastico che fornisca alle studentesse e agli studenti un’adeguata educazione sessuale, che è invece più carente proprio dove l’aborto viene vietato.
In conclusione, l’aborto, se praticato legalmente, è una pratica medica completamente sicura, con radici storiche profonde e di fondamentale importanza per la vita delle donne. Vietarlo, come dimostrato, non porta altro che danni, ed è pertanto necessario superare ogni logica moralista e patriarcale nel giudizio della vita sessuale delle donne. L’aborto è uno strumento da considerarsi fondamentale per la salute delle donne, che può salvare delle vite (ricordando che non ne distrugge, in quanto l’aborto non è un omicidio) e può portare ad una società più giusta ed egualitaria, in cui le donne possano decidere liberamente e consapevolmente cosa fare del proprio corpo.