Il Memoriale della Shoah di Milano, situato nei sotterranei della Stazione Centrale di Milano, è un luogo dove il Passato dialoga costantemente con il Presente, in un contesto in cui non solo si ricorda ma soprattutto ci si forma civicamente per contrastare l’indifferenza di quanto è accaduto in passato e di ciò che può tragicamente perpetuarsi nel presente, in luoghi e in modalità differenti.
È il 1931 quando la futuristica stazione Centrale apre i battenti nella città meneghina, inaugurando, al di sotto dei suoi 24 binari, un’area adibita al carico e allo scarico delle merci. Nessuno si sarebbe immaginato, tuttavia, che tale luogo, così avanguardistico per l’epoca, sarebbe diventato silenziosamente complice di uno dei più tragici e mostruosi eccidi della nostra Storia.
Proprio qui, infatti, dodici anni dopo l’inaugurazione del centro ferroviario, centinaia di deportati (per la maggior parte ebrei) sarebbero stati ammassati e caricati, alla stregua di animali da macello o di merci senza alcun valore, su vagoni che, una volta sollevati con un montacarichi ai piani superiori, avrebbero formato quei convogli diretti verso «destinazioni ignote» dove avrebbero perso Umanità, Identità e Vita.
L’arrivo alla stazione milanese costituiva dunque la tappa preliminare di un processo volto all’annichilimento di un intero popolo, reo unicamente di esistere.
È qui che i deportati, dopo essere stati imprigionati per giorni, nel carcere di San Vittore, venivano scortati con la complicità delle tenebre, tra latrati di cani, ordini scanditi in una lingua sconosciuta e grida intimidatorie. Il tutto avveniva dunque con il favore dell’oscurità che seguiva il coprifuoco e di chi, costretto a collaborare e ad obbedire inerme, alimentava con il suo silenzio un terrificante ingranaggio.
Le possibilità di sottrarvisi erano tuttavia limitate, se non nulle: la ribellione sarebbe costata cara, l’indifferenza invece poteva far comodo per un misero e stentato quieto vivere. Non a caso, ad accogliere freddamente il visitatore all’ingresso del Memoriale, è proprio la gigantesca scritta «Indifferenza», termine usato a più riprese da Liliana Segre per connotare quel senso di distacco e silenzioso consenso che si percepiva ancora prima delle deportazioni, negli anni successivi alle leggi razziali del 1938.
Il Memoriale, meditante il percorso proposto al suo interno, permette a chi vi entra di sintonizzarsi empaticamente con le sensazioni emotive e fisiche provate dai deportati di allora, di rielaborare la tragedia dello sterminio in modo attivo e di riflettere sul presente, e dunque su tutti quegli avvenimenti che dovrebbero sollecitare la nostra attenzione, e non renderci impassibili, e che, dunque, non dovrebbero essere sottovalutati per il fatto di essere concepiti come lontani.
L’insegnamento che il Memoriale offre, infatti, è proprio questo: spesso le atrocità avvengono tacitamente anche (e soprattutto) sotto i nostri occhi. Per tale ragione è necessario allenare la nostra sensibilità, oltre che tenere vivo il serbatoio della memoria del Passato.
La visita
La prima installazione del Memoriale, situata al di là della rampa di scale che divide il percorso vero e proprio (che rappresenta il passato, la memoria) dalla luminosa e nuovissima biblioteca, collocata in un «buco» nel quale sembra elevarsi verso l’alto (simbolo del presente, su cui dobbiamo interrogarci, e del futuro) è l’Osservatorio.
Si tratta di un tunnel costituito da cerchi concentrici disposti su uno sfondo oscuro che, una volta percorso con una forte sensazione di claustrofobia e di disorientamento, permette la visione di un filmato dell’istituto Luce, il quale illustra proprio il dispositivo di funzionamento di carico e scarico merci. Il video in questione, tuttavia, non mostra immagini ben nitide: a frapporsi tra il visitatore e il filmato sono infatti delle lenti bifocali che, rendendo la visione sfocata, simboleggiano la difficoltà di comprendere e, dunque, di accettare.
A seguire, nel percorso, ci si trova di fronte alle Stanze delle Testimonianze, formate da sei stazioni.
Nelle prime tre vengono costantemente proiettate interviste ai sopravvissuti mentre, nelle seguenti, si può prendere visione di video di dialoghi su tematiche attuali, come ad esempio quello che si è tenuto tra Liliana Segre e la ministra Cartabia sulla giustizia, e su alcuni interventi che hanno avuto luogo durante l’iniziativa del Memoriale Premetto che non sono razzista, in cui si è cercato di definire in cosa consistesse la piaga sociale del razzismo.
La particolarità di tali filmati, soprattutto per quanto riguarda la testimonianza, consiste nella loro varietà: per non causare un appiattimento della figura del testimone, infatti, non vengono proiettati sempre gli stessi.
I visitatori si troveranno successivamente dinanzi ad alcuni vagoni merci originali (non si sa se fossero effettivamente quelli utilizzati per i convogli verso i campi o meno, ciò che è certo è che sono stati usati in quel lasso temporale) dove venivano ammassati tra i 60 e gli 80 prigionieri. Per raggiungere le tappe successive è obbligatorio attraversarli e dunque entrarci: in questo modo è inevitabile non provare quel senso di alienazione, costrizione e smarrimento sperimentato da centinaia di deportati, obbligati a viaggiare in condizioni disumane per giorni, se non per settimane in spazi angusti, progettati per il trasporto di animali, non di anime umane. È qui che si inizia a percepire il processo di spersonalizzazione messo in atto per distruggere le vittime ebree.
Oltre il vagone, in corrispondenza di un binario successivo, di fronte al carrello traslatore e al montavagoni, è collocato il Muro dei Nomi, limitrofo alle Lapidi dei convogli.
Queste ultime riportano le date di partenza di 20 treni, i cui convogli erano stati organizzati tra il dicembre del 1943 e il gennaio del 1945 (si noti come i treni continuassero a partire nonostante si sapesse già da tempo che la guerra, in fondo, era persa), compresa quella del 30 gennaio 1944, la data del convoglio che avrebbe portato Liliana Segre lontano da Milano, dove sarebbe tornata nel luglio del ‘45.
Il Muro dei Nomi contiene l’identità di 774 deportati ebrei che partirono nei due convogli orchestrati tra il 6 dicembre 1943 e il 30 gennaio 1944, destinati allo sterminio ad Auschwitz-Birkenau, di cui è stato possibile ricostruire la storia e, alcune volte, persino il destino, grazie all’impeccabile lavoro di archivio effettuato dai ricercatori del CDEC. Solo 27 prigionieri sopravvissero (i loro nomi sono riportati in giallo).
Altri 18 convogli partirono dalla Stazione Centrale con deportati ebrei, dissidenti, rom, partigiani, antifascisti reclusi a seguito dei moti sindacali di Sesto San Giovanni. Di alcuni si parla ben poco: è il caso degli Internati Militari Italiani (IMI), soldati e ufficiali dell’Esercito Italiano che si trovavano ancora in Germania dopo l’8 settembre e che non accettarono di entrare nell’esercito tedesco. Per questo decisero di partire, coraggiosamente, verso i campi di lavoro, dove sarebbero stati internati come schiavi del Reich.
Al termine del percorso, attraverso una rampa elicoidale, si accede al Luogo della Riflessione, unico spazio del Memoriale, oltre alla biblioteca, ad essere insonorizzato, dove è possibile sostare per pensare, pregare e rielaborare quanto vissuto durante la visita. A fare capolino, in questo luogo dove, in modo quasi soprannaturale non si riesce a percepire né il suono dei treni in partenza e nemmeno il tremolio delle pareti, è una luce che illumina, sull’unica sezione visibile del pavimento, una banda di ottone.
Il Memoriale, luogo laico, ospita in questa ultima tappa l’unico segno che rimanda ad una religione: di fatto, la banda, orientata simbolicamente verso Gerusalemme, rappresenta la religione ebraica che si rivolge, in preghiera, per tre volte al giorno, verso la Città Santa.
Il presente e il futuro: la biblioteca
A completare il complesso del Memoriale, la cui struttura portante è rimasta integra rispetto a come era allora, proprio per l’esigenza di conservare uno spazio spoglio, costruito sul grigiore del cemento, sono la biblioteca, ancora in fase di completamento, e l’agorà. La biblioteca, in particolare, è la nuova sede del CDEC, Centro di Documentazione Ebraica Europea che, grazie al suo Osservatorio Specializzato, è diventato un punto di riferimento fondamentale per il monitoraggio e il contrasto dell’antisemitismo. Nel 2022 la Fondazione, attiva a Milano dal 1960, si è trasferita all’interno del Memoriale, nei nuovi spazi progettati dallo studio Morpurgo de Curtis Architetti Associati.
Come istituto culturale indipendente, il CDEC ha a cuore la promozione dello studio delle vicende storiche, della cultura e della realtà degli ebrei italiani, con particolare riferimento all’età contemporanea. Il suo intento è di continuare nel lavoro di raccolta e di conservazione di documenti di archivio, fotografie, pubblicazioni e materiali audiovisivi concernenti soprattutto le testimonianze della deportazione e della resistenza ebraica in Italia.
Il CDEC si sta inoltre prodigando nel rendere la biblioteca del Memoriale un centro nevralgico di ricerca storica e divulgazione scientifica (si cita qui l’importante contributo della professoressa Picciotto) e un punto di studio, ma soprattutto di incontro, dibattito e riflessione aperto a tutti, in particolar modo alle generazioni più giovani. Infatti proprio davanti alle aule didattiche è stata costruita l’agorà che, come vuole suggerire il nome stesso, si propone come un luogo di confronto e di dialogo.
L’agorà, dunque, come l’intero complesso del Memoriale, è rivolta verso un futuro in cui ci si augura che la consapevolezza renda la conoscenza uno strumento utile e produttivo per agire attivamente e non solo per ricordare meccanicamente, in concomitanza di determinate date simboliche.
Da qui l’importanza del Memoriale, uno spazio che, nonostante emani reminiscenze di morte, al contempo suggerisce, grazie alla luce che vi entra e illumina le vetrate della sua nuova biblioteca, che la Memoria, depositata nei libri e nella mente delle persone, può dialogare con il presente, adattarsi, evolversi e dunque di rigenerarsi costantemente con esso.
Immagine di copertina: Credit: Fondazione Memoriale della Shoah di Milano ONLUS, Nicolo Piuzzi – Esterno