Del: 21 Ottobre 2022 Di: Giulia Ariti Commenti: 0
Radici. Nilde Iotti, tra le più alte cariche dello Stato

Radici racconta fatti, personaggi e umori della storia della Prima Repubblica italiana, dal 1946 al 1994. A questo link è possibile trovare gli articoli precedenti della rubrica.


Nella Sala delle Donne di Montecitorio, dal 2016, sono esposte le foto delle donne che hanno partecipato alle istituzioni repubblicane. Tra loro non può mancare una madre costituente: Nilde Iotti, la prima donna a sedere alla poltrona della terza carica dello Stato nel 1979

«Comprenderete la mia emozione per essere la prima donna nella storia d’Italia a ricoprire una delle più alte cariche dello Stato» disse nel suo discorso di insediamento

Era il 20 giugno 1979 ed a tutti era chiaro il vento di innovazione che l’elezione di Nilde Iotti a Presidente della Camera comportava.

Lo scrutinio l’aveva nominata con una larga maggioranza: 433 voti su 615 votanti. 

«Io stessa, non ve lo nascondo – continuò – vivo quasi in modo emblematico questo momento, avvertendo in esso un significato profondo, che supera la mia persona e investe milioni di donne che attraverso lotte faticose, pazienti e tenaci si sono aperte la strada verso la loro emancipazione. Essere stata una di loro e aver speso tanta parte del mio impegno di lavoro per il loro riscatto, per l’affermazione di una loro pari responsabilità sociale e umana, costituisce e costituirà sempre un motivo di orgoglio della mia vita». 

«Meglio i preti che i fascisti» ripeteva Egidio Iotti, un ferroviere a cui le lotte sindacali in pieno regime fascista costarono il lavoro. La vita di sua figlia, Leonilde Iotti, fu immagine di questa esternazione del padre: alle scuole del regime fascista, preferì le scuole cattoliche, inclusa la scelta universitaria che ricadde sull’Università Cattolica di Milano, dove, nel 1942, si laureò in Lettere e Filosofia

Alla lotta contro il fascismo, invece, dedicò la sua vita: l’8 settembre 1943, con l’armistizio di Cassibile, la sua vita cambiò totalmente. All’epoca Nilde Iotti era una docente in un istituto tecnico industriale di Reggio Emilia, ma le lotte partigiane per la liberazione del nord Italia la spinsero presto a rinunciare alla sua carriera per iscriversi al Partito Comunista Italiano. Decise, inoltre, di unirsi alle prime staffette, consegnando volantini, viveri, medicine e calze di lana a bordo della sua bicicletta. Non si tirò indietro neanche quando si trattò di partecipare attivamente alla liberazione grazie ai Gruppi di Difesa della Donna, una formazione antifascista del partito che rivestì un ruolo importante nell’animazione della Resistenza.

Alla fine della guerra, continuò l’attività politica, diventando segretario dell’Unione delle Donne, con l’incarico di indagine sulle condizioni delle famiglie più bisognose. 

Alle elezioni del giugno 1946, fu eletta all’Assemblea costituente con 15.936 voti nella sua circoscrizione. Aveva 26 anni.

Entrò a fare parte della commissione dei 75, preposta per la vera e propria stesura della carta, e, in particolare, alla prima sottocommissione, dedicata alla parte relativa ai diritti e ai doveri dei cittadini. In questa sede, Iotti poté dedicarsi alle sue battaglie: l’affermazione del principio della parità tra i coniugi, del riconoscimento dei diritti dei figli nati fuori dal matrimonio e delle famiglie di fatto. Tuttavia, acconsentì al mancato riconoscimento del divorzio nella carta costituzionale. 

«Dal momento che alla donna è stata riconosciuta, in campo politico, piena uguaglianza, col diritto di voto attivo e passivoaffermò circa le battaglie femministe a cui si dedicò – ne consegue che la donna stessa dovrà essere emancipata dalle condizioni di arretratezza e di inferiorità in tutti i campi della vita sociale e restituita ad una posizione giuridica tale da non menomare la sua personalità e la sua dignità di cittadina».

L’impegno per la causa femminile segnò profondamente la sua attività politica per cinquant’anni. Nel 1963 entrò a fare parte della commissione affari costituzionali e si occupò attivamente della collocazione delle donne nel mondo del lavoro e di tematiche relative alla famiglia: in particolare, si fece grande sostenitrice della legge per il divorzio e lo difese nella battaglia del referendum abrogativo del 1974. Partecipò, inoltre, da protagonista alla riforma del diritto di famiglia e alla legge sull’aborto.

Diventò Presidente della Camera nel 1979, ruolo che ricoprì per tredici anni. 

La sua linea di pensiero prevedeva il rinnovamento della democrazia per poter tutelare la stessa identità democratica e la centralità del Parlamento: due caratteri che divennero esemplari della sua attività di Presidente. 

Nel suo discorso di insediamento, trattò della necessità di «affrontare quelle parti della Costituzione che il tempo e l’esperienza hanno dimostrato inadeguate […] e tutelare in primo luogo i diritti delle minoranze ma anche il diritto dovere della maggioranza di governare». 

«La sovranità popolare – spiegava – vive attraverso il Parlamento, voglio ribadirlo. Ed è il Parlamento che deve investire il Governo della responsabilità della direzione politica del Paese, di cui delinea e verifica gli indirizzi fondamentali. Questa non è un’idea vecchia della democrazia ma il modo di far convergere le varie forme di pluralismo che la società esprime, il tentativo – esso si moderno – di “governare in molti”».

Per questo era necessario che il governo potesse esercitare la sua funzione in certi tempi, che i partiti si rinnovassero e fossero capaci di far vivere nel Parlamento le fondamentali scelte politiche e costruire nel Parlamento il necessario dialogo, confronto e anche scontro. Obiettivi che, negli anni di piombo, avrebbero dimostrato la forza della democrazia e della libertà. 

Nel 1987, prima di essere rieletta Presidente della Camera, ricevette dal Presidente della Repubblica Francesco Cossiga un mandato esplorativo per formare un governo, ma il tentativo fallì. Ciò la rese comunque la prima donna e la prima esponente del PCI ad arrivare tanto vicino alla presidenza del consiglio. Nel 1992 arrivò vicina alla Presidenza della Repubblica, ma i tempi non erano maturi e, dopo svariati tentativi, il PCI fu costretto a cambiare il nome del candidato, rinunciando all’impresa di portare una donna con tanti primati, tanta politica e tante battaglie tra le mura del Palazzo del Quirinale. 

Giulia Ariti
Studentessa di Filosofia che insegue il sogno del giornalismo. Sempre con gli occhi sulla realtà di oggi e la mente verso il domani.

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