Del: 13 Ottobre 2022 Di: Thomas Brambilla Commenti: 0
Una giornata di mobilitazione internazionale per Assange

In seguito alla protesta costituita dalla catena umana che ha circondato il parlamento di Londra lo scorso 8 ottobre per dire no all’estradizione di Julian Assange negli Stati Uniti, sabato 15 ottobre si svolgerà in più luoghi del mondo la 24 ore per Assange, un’altra giornata di mobilitazione e attivismo questa volta internazionale per porre l’attenzione sul suo caso spesso eccessivamente dimenticato e posto in secondo piano, e per ribadire con forza l’opposizione dell’opinione pubblica all’ipotesi, oggi più che mai probabile, della sua estradizione negli Stati Uniti.

L’eventualità che questa ipotesi si realizzi significherebbe per lui con ogni probabilità la condanna al carcere a vita, visto che su di lui pendono 18 capi di imputazione differenti e la richiesta di 175 anni di carcere, alla fine di un processo ancora in corso giudicato ingiusto e iniquo sotto numerosi punti di vista da una serie di autorevoli organismi internazionali, e di un decennio di detenzione arbitraria in ognuna delle sue fasi (prima all’interno dell’ambasciata ecuadoriana di Londra e ora nel carcere di massima sicurezza di Berlmarsh in stato di isolamento costante), come dichiarato dal Gruppo di lavoro sulla detenzione arbitraria dell’ONU, che hanno fortemente compromesso la sua salute fisica e mentale in maniera tale da poter giudicare, al di là dell’esito del processo, la sua vita in una condizione di precarietà sanitaria estrema.

La 24 ore per Assange è stata organizzata con successo da un Comitato Promotore che interconnette una serie di realtà che ormai da diversi anni fanno campagna contro l’estradizione di Assange

e sarà presieduta da numerosi volti noti a livello mondiale nella battaglia per i diritti umani, lo stato di diritto e la libertà di stampa come ad esempio il filosofo, linguista e attivista statunitense Noam Chomsky. Essa coinvolgerà numerose città di tutto il mondo e in Italia al momento sono previsti vari sit-in, interventi personali e rappresentazioni artistiche nelle seguenti città: AcquedolciCagliariFaenzaFirenzeLuinoMilanoMilazzoPotenza, Roma, RovatoTorino, TrapaniTregnagoVal di SusaVarese (il seguente link porta al sito della mobilitazione dove possono essere consultate varie tipologie di informazioni a riguardo).

Ma a che punto è il processo Assange?

Dopo aver incassato una serie di risultati negativi per il proprio obiettivo di impedire l’estradizione negli Stati Uniti dove Assange è incriminato (come il parere favorevole dell’Alta Corte britannica all’estradizione, il parere negativo della Corte Suprema rispetto all’ipotesi di Appello e infine l’avallo politico dell’ex ministra degli Affari Interni britannica Priti Patel), il team legale di Assange ha disposto e presentato 16 motivazioni di ricorso contro queste sentenze. Esse dovrebbero attenere in parte ad una serie numerosa di violazioni della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e in parte rappresentare delle istanze contro la sentenza che nel 2021 negò l’estradizione del giornalista solo per motivi inerenti alla sua salute mentale e non per motivi politici, decisione che sconvolse molti osservatori.

Ricordiamo che Julian Assange non è un uomo libero da ormai più di dieci anni ed è incriminato negli Stati Uniti per violazione e pubblicazione di documenti coperti da segreto del governo statunitense ottenuti grazie all’ausilio di vari whistleblower (fra cui i due più famosi Chelsea Manning ed Edward Snowden), ovvero membri di organizzazioni pubbliche o private che decidono spontaneamente di collaborare con testate giornalistiche sotto anonimato per la rivelazione di documenti inerenti a tematiche o notizie di notevole pubblico interesse. Questa fu essenzialmente la dinamica che portò alla nascita e alla fondazione di Wikileaks nel 2006 proprio per mano di Assange, un’organizzazione che mise in seria difficoltà i governi di tutto il mondo e in particolare quello statunitense chiamato a rispondere di una serie di efferati crimini di guerra commessi da rappresentanti dello stato mai stati messi sotto accusa.

Il modo con cui gli USA hanno potuto e possono ancora oggi combattere contro la libertà e il libero attivismo di Assange è un vero e proprio caso di quello che viene definito lawfare.

Si tratta di una pratica diffusa e utilizzata dai governi per l’eliminazione di obiettivi scomodi o nemici politici con l’ausilio di sistemi giuridici legittimi e istituzioni legali. Il provvedimento che infatti permette l’incriminazione di Assange è l’Espionage Act, una legge federale del 1917 che impediva la rivelazione di documenti pubblici che potessero danneggiare lo stato internamente o a livello internazionale anche qualora questi avessero una rilevanza chiave per la trasparenza interna e per l’opinione pubblica mondiale, come nel caso di Assange. Il giornalista australiano infatti ha smascherato principalmente crimini di guerra, violazioni del diritto internazionale e ingerenze statunitensi nelle democrazie mondiali con una facilità estrema grazie alle componenti tecnologiche sulle quali poteva contare, non mettendo mai in pericolo di vita nessuno e facendo giustizia simbolica per tutte quelle vittime innocenti dell’invasione americana dell’Iraq e della lotta statunitense al terrorismo a livello globale.

Nel recente libro Il potere segreto di Stefania Maurizi (pubblicato da Chiarelettere), una collega che ha personalmente conosciuto e collaborato con Assange e la sua organizzazione, tutta la vicenda e il caso Assange sono spiegati in maniera esemplare e minuziosa, con un’attenzione tale da avere una panoramica completa dello scontro in atto e della sua importanza. Non si tratta infatti solo di una vicenda personale che coinvolge l’uomo Assange e i suoi affetti, ma è piuttosto una vera e propria battaglia per la libera informazione e la giustizia.

Assange ha già in parte perso personalmente la propria battaglia contro il governo statunitense. Questo non perché abbia perso la sua dignità di uomo libero, ma perché la sua vita è stata compromessa senza alcun valido motivo al fine proteggere gli interessi di una grande potenza avversa alla libera circolazione di notizie sulle proprie responsabilità internazionali.

La sua salute fisica e mentale sono in grave pericolo e lo stesso Assange viene dichiarato a rischio suicidio e in gravissime condizioni psichiche dovute ovviamente alle condizioni repressive e alla realtà di vita a cui è stato costretto in questi anni, contraddistinte da un isolamento estremo.

Il perimetro e l’importanza di questo processo non si fermano però qui. È evidente infatti come la forza che gli USA stanno mettendo per contrastare Wikileaks e il suo fondatore sia rivolta non solo al caso specifico, ma assuma la dimensione anche e soprattutto di una chiara minaccia a chiunque oggi e in futuro possa voler ripetere le stesse azioni mettendo di fatto la propria vita e la propria incolumità di fronte ad un bivio. Esiste quindi un’altra battaglia che ha una dimensione collettiva e non è ancora persa, il caso Assange è infatti una disputa che coinvolge i più importanti limiti della battaglia fra libertà di informazione e trasparenza contro repressione e controllo indiretto dei mezzi di informazione da parte di una grande potenza, e per questa ragione ci coinvolge inevitabilmente tutti.

Come la stessa autrice infatti afferma più volte, non c’è alcuna differenza sostanziale nel modo in cui le grandi potenze tutelano e proteggono i propri interessi da minacce esterne che possano accrescere la consapevolezza pubblica delle responsabilità del ruolo degli stati nel mondo, ma esiste di fatto solo una differenza formale: gli stati autoritari procedono ad un’eliminazione fisica e violenta degli interessati, la grande democrazia liberale statunitense ha agito con un atto legittimo di lawfare e con un’ossessiva persecuzione giudiziaria ingiusta e ingiustificata fino allo sfinimento psicologico e fisico di una persona a cui la libertà è stata tolta per aver reso giustizia al mondo con il proprio attivismo e lavoro di giornalista, e per questo è importante, comunque andrà, prendere parte in questo scontro e fare luce sulla vita di un uomo a cui è stata tolta la dignità per la sola colpa di essersi schierato dalla parte dei più deboli.

Thomas Brambilla
Sono studente in scienze politiche e filosofiche alla Statale di Milano. Mi piace riflettere e poi scrivere, e fortunatamente anche riflettere dopo aver scritto. Di politica principalmente, ma senza porsi nessun limite.

Commenta