Mense per il clima è l’ultima campagna lanciata da MenoPerPiù, un progetto dell’organizzazione Essere Animali nato fra 2018 e 2019 con l’ambizioso obiettivo di favorire e supportare la cosiddetta transizione proteica, ovvero il passaggio ad un’alimentazione basata per la maggior parte su fonti proteiche vegetali, riducendo al minimo quelle di origine animale. Il motto del progetto richiama infatti il ribaltamento del rapporto fra i consumi di proteine animali e vegetali, in un’ottica di maggiore sostenibilità ambientale ed ecologica.
Il lavoro svolto da MenoPerPiù si struttura principalmente su formazione e sensibilizzazione, al fine di modificare la domanda e l’offerta alimentare verso un punto di incontro maggiormente sostenibile in ambienti pubblici di lavoro o studio, come aziende e università.
Abbiamo incontrato e intervistato Valentina Taglietti, food policy manager di MenoPerPiù e sviluppatrice del progetto, che ci ha permesso di capire più da vicino come questo obiettivo sia complesso e dipenda da fragili equilibri economici e di mercato, ma anche che, in presenza di un forte sostegno comune, che parta innanzitutto dalla comunità studentesca, un tale cambiamento è concretamente realizzabile, com’è stato dimostrato da vari casi.
Qual è l’attuale situazione delle mense italiane da un punto di vista della sostenibilità alimentare?
Secondo noi totalmente distaccata dalla realtà e da quelle che dovrebbero essere le prerogative di questo momento. Le alternative di piatti vegetali sono poverissime sia quantitativamente che qualitativamente, e la base animale rimane la scelta che va per la maggiore, con tutte le conseguenze negative che questo fattore comporta. Recentemente il Ministero dell’Ambiente ha introdotto i CAM, ovvero i criteri ambientali minimi che dovrebbero regolare gli appalti della pubblica amministrazione nell’ambito della ristorazione collettiva. Le indicazioni sono chiare e affermano di privilegiare le alternative vegetali ai piatti di carne, ma esse non vengono seguite poiché non è previsto alcun apparato sanzionatorio.
Il vostro obiettivo di raggiungere almeno il 50% di offerta di piatti vegetali nelle mense universitarie sembra essere piuttosto ambizioso, come pensate di realizzarlo?
È vero, si tratta senz’altro di un obiettivo ambizioso, ma abbiamo gli studi scientifici e le evidenze dalla nostra parte che ci dimostrano che se come insieme di paesi ad alto reddito dimezzassimo il nostro consumo di carne pro capite potremmo avere un effetto benefico diretto sulle emissioni di gas serra prodotte, riducendole perfino del 61%. Si tratta di un enorme beneficio ambientale che si andrebbe ad aggiungere a quello sanitario, come suggerito dalle indicazioni nutrizionali mondiali. Inoltre, questi stessi studi ci confermano che un cambiamento in tale direzione ci permetterebbe di avvicinarci a buona parte degli obiettivi di sostenibilità e sviluppo ONU del 2030. All’interno della comunità scientifica è ormai cosa nota che il metodo più efficace per mitigare e contrastare la crisi climatica nel breve-medio periodo sia quello di intervenire sulla produzione alimentare, anche e soprattutto laddove si fuoriesce da un mero ambito di scelta individuale come nei casi delle mense delle istituzioni universitarie. Per fare tutto ciò è fondamentale rendere più accessibili le alternative vegetali sia da un punto di vista economico che da un punto di vista pratico.
Da un punto di vista economico ciò che auspicate è sostenibile?
Assolutamente sì. Spesso viene omesso che, a differenza della transizione energetica, che richiede corposi investimenti e diversi anni per essere implementata, l’investimento sulle politiche alimentari è quasi nullo. A renderlo complesso è infatti un sistema cibo che segue solo logiche economiche e non di interesse comune. Ci sarebbe infatti un ulteriore ambito su cui intervenire, che riguarda tutto l’universo delle politiche alimentari e del sistema di sussidio e sostegno pubblico alla produzione, ma scelte importanti (e attese da tempo) su questo versante spettano più alla regolamentazione politica che alla società civile. Il risultato di questa dinamica è che spesso le alternative animali, oltre che essere le più dannose, sono anche le più economiche.
Il caso studio dell’Università di Firenze è stato un passo senza dubbio importante, com’è nata l’idea e che obiettivi sono stati raggiunti?
In realtà il progetto di Firenze è ancora tutto in divenire, ma ciò che è stato fatto fino ad ora è stato molto soddisfacente. Tutto è nato dal basso, tramite l’iniziativa della comunità studentesca che ha portato in breve tempo ad una sorta di concertazione fra gli studenti, noi, l’ufficio sostenibilità dell’Università e l’azienda che si occupa del servizio mensa (DSU) che si è fatta trovare molto preparata sul tema. Ciò che rende il tutto relativamente complesso sono le tempistiche piuttosto lente e macchinose, ma l’obiettivo sta per essere raggiunto. Dal 7 novembre DSU ha iniziato a servire un nuovo menù composto da molte più ricette vegetali.
A livello europeo da tempo si parlava di alcune iniziative analoghe sempre in università, siete in contatto con le vostre stesse realtà europee e state portando avanti un lavoro di collaborazione?
Sì, siamo in contatto e siamo tutti convinti che la vera rivoluzione nasca e si strutturi proprio nel mondo universitario. A Berlino il menù di 34 mense universitarie diventerà quasi interamente vegetale dopo gli sforzi studenteschi, mentre nel Regno Unito almeno 11 università hanno ridotto o eliminato la carne rossa per ragioni ambientali. Ci siamo poi confrontati sulla metodologia operativa e ci hanno confermato la correttezza del nostro metodo. Il consenso e l’appoggio studentesco è il primo passaggio fondamentale, soprattutto per inserire in tali percorsi il servizio mensa, che altrimenti non vedrebbe conveniente questo cambiamento. Noi infatti chiediamo di firmare un appello, e di organizzarsi in primo luogo fra coloro che sono i veri protagonisti del mondo universitario: gli studenti. Solo in un secondo momento possiamo intervenire noi, fornendo il nostro supporto per rendere l’alternativa appetibile e valida da un punto di vista di mercato, per poi ottenere risultati concreti.
Quali sono i vostri suggerimenti per poter lavorare in questa direzione?
Gli studenti devono necessariamente essere l’input iniziale, facendo rete (anche attraverso le liste di rappresentanza) per poter arrivare ai piani direttivi dell’ateneo. Generalmente consigliamo la compilazione di un questionario su tutta la comunità studentesca, perché da esso può emergere un importante insieme di dati sulle abitudini alimentari degli studenti e dei loro pranzi universitari. Con questo dato alla mano ci si può rivolgere all’università e al DSU dimostrando che questa effettiva transizione può essere utile per tutti. La nostra formazione infatti non ha alcun fine di lucro e viene offerta a titolo gratuito, l’importante per noi è solo il raggiungimento del risultato.
Potete firmare l’appello mense per il clima di MenoPerPiù al seguente link.
Per contattare MenoPerPiù: info@menoperpiu.it.