Del: 16 Novembre 2022 Di: Angela Perego Commenti: 0
Tutti i problemi della nuova norma contro i rave party

A meno di un mese dal suo insediamento, è davvero curioso considerare quali temi il governo Meloni abbia selezionato come prioritari. In un periodo storico caratterizzato da inflazione galoppante, crisi energetica, ritorno della guerra in Europa e una crisi climatica che diviene ogni giorno più preoccupante, durante il primo Consiglio dei Ministri, tenutosi lo scorso 31 ottobre, ci si è invece occupati di ergastolo ostativo (introducendo delle condizioni per l’accesso ai benefici penitenziari che, secondo molti, mantengono profili di illegittimità costituzionale; al momento la Consulta ha optato per la restituzione degli atti alla Corte di Cassazione), di far venire meno l’obbligo vaccinale e la misura della sospensione dall’esercizio della professione nei confronti dei medici no vax, nonché di contrastare l’organizzazione e lo svolgimento di “raduni illegali” – teoricamente, i rave party, di cui si è parlato moltissimo negli scorsi giorni.

A quest’ultimo proposito, il decreto-legge (31 ottobre 2022, n. 162) con la cui adozione questo Consiglio dei Ministri si è concluso, ha sollevato forti, legittime preoccupazioni in merito alle ripercussioni che questo potrebbe avere circa l’esercizio di diritti costituzionalmente garantiti, quali quelli di riunione, sciopero e manifestazione del pensiero. All’articolo 5, recante «Norme in materia di occupazioni abusive e organizzazione di raduni illegali», viene infatti introdotta una nuova figura di reato attraverso l’art. 434-bis del Codice Penale:

L’invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica consiste nell’invasione arbitraria di terreni o edifici altrui, pubblici o privati, commessa da un numero di persone superiore a cinquanta, allo scopo di organizzare un raduno, quando dallo stesso può derivare un pericolo per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica. Chiunque organizza o promuove l’invasione di cui al primo comma è punito con la pena della reclusione da tre a sei anni e con la multa da euro 1.000 a euro 10.000. Per il solo fatto di partecipare all’invasione la pena è diminuita. È sempre ordinata la confisca ai sensi dell’articolo 240, secondo comma, del Codice Penale, delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato di cui al primo comma nonché di quelle utilizzate nei medesimi casi per realizzare le finalità dell’occupazione.

Le problematiche legate ad una disposizione di questo genere sono diverse, a partire dalle modalità adottate per la sua introduzione, e cioè attraverso il ricorso ad un decreto-legge.

Quest’ultimo è infatti un atto avente forza di legge disciplinato dall’art. 77 della nostra Costituzione, il quale, in un sistema caratterizzato dal principio della separazione dei poteri, consente eccezionalmente al governo di legiferare adottando, sotto la propria responsabilità, provvedimenti provvisori con forza di legge in casi straordinari di necessità e urgenza, prevedendo tuttavia la perdita della loro efficacia sin dall’inizio in caso di mancata conversione in legge da parte del Parlamento entro 60 giorni dalla loro pubblicazione. Si tratta dunque di uno strumento cui si dovrebbe ricorrere con prudenza e senza abusarne, soltanto in presenza, appunto, di presupposti di necessità e urgenza, i quali sembrano invece mancare nel caso di un decreto-legge estremamente eterogeneo, che passa dal rinvio della riforma Cartabia alla sospensione dell’obbligo vaccinale per gli esercenti le professioni sanitarie, dall’ergastolo ostativo ai rave.

La finalità della norma è certamente di tipo “ordinario”, mirando, secondo quanto dichiarato dalla stessa Presidente del Consiglio Giorgia Meloni e dal Ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, a rafforzare il sistema di prevenzione e di contrasto del fenomeno dei grandi raduni musicali non autorizzati; nessuna spiegazione è stata addotta, inoltre, circa le motivazioni per cui sarebbero da rinvenire, in relazione a questa fattispecie, quei presupposti di necessità e urgenza necessari per l’adozione di un decreto-legge. Senza contare che la mancanza di tali presupposti risulta palese anche guardando alla realtà dei fatti, dal momento che il Witchtek – vale a dire il rave party tenutosi tra il 29 e il 31 ottobre in un capannone dismesso a pochi chilometri da Modena, cui probabilmente si deve l’assunzione di questa misura da parte del governo – si è concluso la mattina stessa del 31 ottobre attraverso uno sgombero pacifico dell’area occupata, dopo brevi trattative intercorse tra forze dell’ordine e partecipanti.

Tuttavia, l’abuso della decretazione d’urgenza da parte del governo Meloni – che non è il primo e probabilmente non sarà l’ultimo a fare di questo strumento un uso eccessivo e ingiustificato – non è l’aspetto che ha maggiormente preoccupato società civile e addetti ai lavori.

A suscitare numerose polemiche è stata infatti l’eccessiva genericità dell’art. 434-bis del Codice Penale,

il quale, nonostante le rassicurazioni su questo punto espresse dal ministro dell’Interno Piantedosi e che però non hanno alcun valore dal punto di vista giuridico, non fa alcun riferimento esplicito ai rave party, ma menziona soltanto “l’invasione arbitraria di terreni o edifici altrui, pubblici o privati, commessa da un numero di persone superiore a cinquanta, allo scopo di organizzare un raduno, quando dallo stesso può derivare un pericolo per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica”.

Non viene specificato, dunque, né che cosa si intenda con “raduno”, né che cosa si voglia indicare con le espressioni “ordine pubblico” e “salute pubblica” – l’incolumità pubblica è l’unica fattispecie tra queste menzionata anche nell’art. 17 della Costituzione sul diritto di riunione – consentendo di fatto l’applicazione di tale norma anche a fattispecie diverse dal rave, lasciando alle forze dell’ordine un’ampia discrezionalità circa la possibilità di intervenire.

Nella definizione di “terreni o edifici altrui, pubblici o privati”, ad esempio, possono rientrare non solo i capannoni o i campi in cui vengono organizzati i rave, ma anche scuole, università, aziende, piazze: il timore è dunque quello di una possibile estensione della norma anti-rave anche ai cortei sindacali dei lavoratori, alle mobilitazioni e alle occupazioni studentesche, alle proteste degli attivisti per il clima, mettendo a repentaglio diritti costituzionalmente garantiti. Anche Amnesty Italia ha manifestato la propria preoccupazione, affermando in un Tweet che «il nuovo articolo 434-bis del Codice Penale rischia di avere un’applicazione ampia, discrezionale e arbitraria a scapito del diritto di protesta pacifica, che va tutelato e non stroncato».

Un altro aspetto certamente molto controverso è quello riguardante le pene previste per la commissione di questo reato, e cioè, per chi abbia organizzato o promosso il raduno, la reclusione da tre a sei anni e la multa da 1.000 a 10.000 euro, rendendo possibili anche le intercettazioni.

Stiamo parlando di pene esemplari, che si applicheranno, benché diminuite, anche a chi abbia semplicemente preso parte al raduno, con conseguenze potenzialmente disastrose se consideriamo lo stato dei nostri istituti penitenziari. Il 2022, infatti, si prospetta l’anno con più suicidi nelle nostre carceri: sono già 78 le persone che si sono tolte la vita negli ultimi 10 mesi, di cui 4 poliziotti penitenziari e 74 detenuti. Molti di essi erano stati condannati per reati minori e uno su quattro aveva meno di 30 anni, tutte caratteristiche che potrebbero accomunare coloro che dovessero ritrovarsi in carcere in ragione dell’articolo 434-bis del Codice Penale.

Si tratta di una norma che, insomma, si inserisce nell’ottica del panpenalismo, facendo sì che tutto diventi reato anche quando esistono già degli strumenti nel nostro ordinamento per contrastare determinati fenomeni – come dimostrato dall’epilogo dello stesso rave di Modena, in occasione del quale il proprietario del capannone dismesso ha sporto denuncia per la sua occupazione e l’evento si è concluso con uno sgombero pacifico – o anche quando, per arginarne altri, strumenti efficaci andrebbero ricercati al di fuori dell’ambito penale.

È il caso, ad esempio, dell’abuso di sostanze psicotrope e stupefacenti, che il governo Meloni ha affermato di voler arginare proprio attraverso la stretta sui rave.

Si tratta però di una giustificazione poco convincente, potendo dare per assodati una serie di fatti: in primis, che contrastare l’organizzazione dei rave non fermerà il problema dell’abuso di sostanze stupefacenti in Italia, dal momento che non è solo in questo frangente che queste possono essere reperite con facilità; in secondo luogo, che sono già presenti nel nostro ordinamento strumenti volti a punire fattispecie quali, ad esempio, lo spaccio; da ultimo, che è ormai risaputo come politiche repressive risultino fallimentari nel contrasto di fenomeni di questo genere, dal momento che non diminuiscono l’abuso di sostanze, ma anzi rendono estremamente più rischiosa la loro assunzione, alimentano lo stigma nei confronti delle persone che ne fanno uso e contribuiscono ad arricchire la criminalità organizzata e, in generale, a favorire chi si muove nell’illegalità.

Proprio alla luce di queste considerazioni, i free party contrappongono alla narrazione emarginalizzante portata avanti dalla destra più estrema e conservatrice «una cultura della prevenzione, dell’uso consapevole, degli spazi chill per riprendersi, dell’educazione all’intervento in casi di urgenza ed emergenza, anche a fianco di operatori sanitari». Ed è proprio ciò che è accaduto anche nel caso del rave di Modena, dove erano presenti appositi punti informativi con esperti in grado di informare i giovani sui rischi legati al consumo di determinate droghe, offrendo in certi casi anche di testare le sostanze per verificarne la sicurezza.

In conclusione, possiamo dire che difficilmente, nell’ambito di questi lavori, il governo Meloni possa non essersi reso conto di stare approvando una norma liberticida ed estremamente problematica.

Probabilmente, dunque, alla base vi era la volontà di approvare una disposizione volutamente generica, applicabile alle fattispecie più disparate e in grado di andare a colpire proprio quel mondo che spesso ruota attorno ai rave party,

un mondo popolato di giovani ben lontani dall’estremismo e dal conservatorismo del governo Meloni. Quest’ultimo, probabilmente prevedendo una stagione di forti contestazioni da parte dei giovani, anche alla luce di quanto recentemente accaduto alla Sapienza di Roma, ha dunque cercato di “mettere le mani avanti”, mandando allo stesso tempo un messaggio ai propri elettori, che hanno invece a cuore concetti quali l’ordine pubblico, il decoro, il contrasto al consumo di sostanze stupefacenti.

La protesta contro la norma anti-rave introdotta dal governo, tenutasi lunedì 7 novembre a Milano davanti a Palazzo Marino e a cui hanno partecipato un centinaio di giovani.

Tutto ciò è stato però fatto in modo piuttosto grossolano dal governo, che è dovuto immediatamente tornare sui propri passi, annunciando una modifica dell’art. 434-bis del Codice Penale rispetto alla formulazione attualmente in vigore. In particolare, si parla di un abbassamento nel massimo della pena al di sotto dei 5 anni, facendo venire meno la possibilità di ricorrere alle intercettazioni, nonché di una maggiore tipizzazione della fattispecie, attraverso una descrizione maggiormente accurata dei rave party.

Diversa, invece, la proposta presentata già il 31 ottobre da Forza Italia, da subito mostratosi scettico rispetto alla disposizione introdotta dal suo stesso governo: si tratta infatti di una maxi-sanzione fino a 200mila euro e di multe per i partecipanti, applicabili ai raduni a carattere musicale organizzati in spazi aperti o chiusi che presentano rischi per la sicurezza di chi vi prende parte. Per non incorrere nelle multe, agli organizzatori viene chiesto di dare comunicazione alla Questura almeno 30 giorni prima dell’evento e di garantire la presenza di addetti alla sicurezza, di un presidio medico, di un circuito di raccolta di rifiuti e dei servizi igienici.

Angela Perego
Matricola presso la facoltà di Giurisprudenza, “da grande” non voglio fare l’avvocato. Nel tempo libero amo leggere e provare a fissare i miei pensieri sulla carta.

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