
«L’anno vecchio è finito ormai, ma qualcosa ancora qui non va» cantava Lucio Dalla in una sua famosissima ed eterna canzone, condensando in poche strofe le ansie e i timori dell’anno appena trascorso.
Allo stesso modo, è giunto anche per noi il momento di fare un bilancio del travolgente 2022 che sta giungendo al termine. Indubbiamente è stato un anno denso di eventi e non si può certo avere la presunzione di riassumerlo in qualche riga. Tuttavia, emergono alcuni numeri significativi e parole chiave che possono soccorrerci in tale impresa.
Il primo dei numeri è sicuramente Novecento: sebbene il Ventunesimo secolo sia iniziato da tempo, sembrerebbe esser stato proprio il 2022 ad aver posto la parola fine al cosiddetto secolo breve.
Così breve, infatti, non è stato, ed il motivo è legato ad alcune delle sue figure più caratterizzanti, giunte fino ai nostri giorni e scomparse negli ultimi mesi. La prima di queste è stata Mikhail Gorbaciov, morto ad agosto all’età di 91 anni. Dalle politiche rinnovative di Glasnost e Perestroika al ritiro delle truppe sovietiche in Afghanistan, dal crollo del Muro di Berlino al disgregarsi dell’URSS, Gorbaciov ha di fatto scritto una parte più che rilevante della nostra storia recente. La sua dipartita non fa che ampliare il solco già profondo tra il nostro tempo e quello passato, tanto che, se l’ex leader sovietico viene ricordato per l’impegno al disarmo nucleare, oggi è ancora potente la minaccia di ricorrere all’arsenale atomico.
È forse stata ancora più significativa a livello mediatico e simbolico la scomparsa di Elisabetta II, Regina del Regno Unito per settant’anni. Nonostante il dibattito sul violento passato colonialista della corona inglese sia sempre stato acceso, la dipartita della regina non ha potuto che lasciare sgomento il mondo intero.
Molte generazioni non hanno mai conosciuto un monarca inglese diverso da lei, così come non hanno mai visto un uomo ricoprire tale carica: addirittura secondo una stima nove persone su dieci sono nate dopo l’incoronazione della regina più longeva della storia. Elisabetta II non solo incarnava lo spirito inglese per eccellenza, ma ha anche attraversato decenni di storia rimanendo inflessibilmente un punto fermo nel panorama internazionale, oltre che essere diventata a pieno titolo un’icona pop della cultura visiva.
È però vero che alcuni segnali mettono in discussione la chiusura definitiva del Novecento.
Infatti, il 24 febbraio 2022 con l’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina si sono riaccesi gli scontri bellici su suolo europeo. Il Vecchio Continente non è sicuramente stato immune da conflitti a partire dal secondo dopoguerra, seppur in misura minore rispetto ad altre aree del globo, tuttavia era dai tempi della guerra fredda che un simile stato di tensione non lo investiva. E, soprattutto, è diventato difficile per l’Occidente volgere lo sguardo dall’altra parte, come spesso è stato fatto in passato nei riguardi di terre più remote o popolazioni culturalmente più distanti.
Le parole della guerra sono quelle che leggiamo da mesi sui giornali e sentiamo annunciare alla televisione: operazione militare speciale, sanzioni contro la Russia, trattative diplomatiche, referendum di annessione, attacchi missilistici, blackout e controffensiva ucraina. Un vero e proprio nuovo vocabolario che ha inevitabilmente scandito gran parte del 2022.
Ma la parola che meglio riassume questi ormai dieci mesi di guerra è atrocità. L’atrocità è evidente nei bombardamenti alle strutture civili, come il tristemente noto teatro di Mariupol dove centinaia di persone avevano trovato rifugio, diventato poi un bersaglio nonostante le immagini satellitari mostrassero chiaramente la scritta «bambini» nel parco dell’edificio. Quegli stessi bambini colpiti insieme alle loro madri addirittura nella struttura ospedaliera di maternità e pediatria della città.
E questa ferocia disumana non si limita alle bombe:
la si ritrova nella fossa comune davanti alla basilica di Bucha, nei cadaveri che disseminano le strade e vengono recuperati nelle cantine, nelle donne violentate, spesso davanti ai propri congiunti. Tutto questo dolore risponde ad una strategia ben precisa, ossia quella della tensione, che viene imposta al popolo ucraino privandolo di luce, acqua ed elettricità, danneggiando le infrastrutture chiave del paese e generando nuovi sfollamenti e profughi.
Sebbene sia difficile individuare i numeri di questo conflitto, secondo i dati disponibili di UNHCR sono oltre 8 milioni gli ucraini che si sono rivolti a paesi confinanti per fuggire. L’Europa si è dimostrata pronta ad accogliere questi ingenti flussi migratori, applicando la direttiva sulla protezione temporanea e così garantendo ai profughi l’accesso ad alloggi, lavoro e assistenza medica e sociale. Anche l’Italia è stata raggiunta da ucraini in fuga dagli scontri bellici e ad agosto Eurostat segnalava undicimila profughi accolti dal nostro paese.
Date le premesse, sarebbe bello annoverare «solidarietà» tra le parole che più contraddistinguono questo 2022, ma non ci troveremmo completamente nel giusto.
Solo quest’anno, sono più di millequattrocento le persone che hanno perso la vita nel mar Mediterraneo, mentre il numero totale di migranti sbarcati in Italia tocca quasi quota centomila. Ma tutto quello spirito italiano di fraterna accoglienza prontamente offerto ai rifugiati ucraini non è stato altrettanto rivolto a chi è arrivato su una nave ONG. Negli ultimi mesi, non solo sono stati imposti sbarchi selettivi, ma coloro ritenuti inidonei ad approdare su suolo italiano sono stati indicati dal ministero dell’Interno come «carico residuale», un avanzo non gradito. Mentre della nostra solidarietà, evidentemente, non ne era rimasta neppure una briciola.
Ma una vera e propria parola dell’anno, in teoria, esiste ed è stata scelta dal dizionario Collins: Permacrisis. Difatti, l’affrontare contemporaneamente cambiamento climatico, pandemia, guerra e recessione dà, legittimamente, l’impressione di vivere in un periodo di crisi costante. Un certo senso di inquietudine per quel che sta accadendo e per ciò che ancora potrebbe capitare non ci abbandona mai e, come spesso accade, sono le generazioni più giovani ad essere più colpite.
Infatti, un altro neologismo apparso per la prima volta quest’anno nei dizionari online è ecoansia: uno stato di disagio che comporta attacchi di panico, pensieri ossessivi e insonnia. L’ansia deriverebbe da un forte senso di paura o di colpa di fronte a disastri ambientali derivanti dal cambiamento climatico.
Il termine non soltanto ci ricorda che per un altro anno non siamo stati in grado di fissare seri obiettivi per fronteggiare la grave situazione ambientale, ma anche che siamo sempre più bravi a individuare nuovi disturbi mentali e sempre meno capaci a trattarli.
Secondo l’Oms una persona su otto soffre di un disturbo legato alla salute mentale, ma allo stesso tempo oltre l’80% dei Paesi intervistati dall’ente ha dichiarato di aver investito meno del 20% della spesa pubblica per l’assistenza primaria e per la prevenzione di disturbi di questo genere.
Tuttavia, i governanti che poco si occupano di tali questioni sono stati in molti casi eletti dalla popolazione. Nel mondo si è votato più di cinquanta volte quest’anno e spesso la parola d’ordine è stata riconferma: spiccano le rielezioni di Sergio Mattarella quale Presidente della Repubblica italiana, di Emmanuel Macron in qualità di Presidente francese e la storica performance dei democratici alle elezioni di Midterm negli Stati Uniti.
Persino in Brasile, nonostante sia stata manifestata una forte volontà di cambiamento con la sconfitta di Bolsonaro, il neoeletto Lula è una figura che emerge dal passato del paese. E anche in Italia, sebbene un governo così fortemente connotato a destra non si presentasse da molti anni, molte delle figure cardine della maggioranza sono volti noti e arcinoti della politica italiana da vent’anni a questa parte.
Ma non in tutti gli angoli del globo la volontà di riconfermare i propri leader e la loro linea si è manifestata:
esempio lampante ci giunge dalla Cina, dove, nonostante Xi Jinping sia fresco di rielezione per un terzo mandato, si sono scatenate numerose proteste contro la politica «zero covid», fautrice di pessime condizioni lavorative e danni all’economia locale.
Ancora più potenti i disordini in Iran a seguito della morte della giovane Mahsa Amini, tre giorni dopo essere stata arrestata per non aver indossato correttamente l’hijab. Mentre le forze di sicurezza sparano sulla folla mirando a volto, petto e genitali delle donne in rivolta, Amnesty International segnala un numero sempre crescente di persone rimaste uccise nella dura repressione delle proteste imposta dal regime iraniano.
E di tutti i numeri di questo 2022, forse il più pesante è anche quello più piccolo: due. Perché due sono stati i ventitreenni iraniani giustiziati con impiccagione pubblica per «inimicizia contro Dio». E il numero è destinato a salire: sarebbero undici ad oggi le condanne a morte comminate dalla magistratura iraniana.
E come ogni anno, aleggia la speranza che il nuovo anno porti incredibili trasformazioni come nell’idilliaco mondo nuovo descritto da Dalla nella sua «L’anno che verrà».
E come lui, anche noi speriamo che il prossimo anno possa essere sempre festa, che gli uccelli faranno ritorno in un clima salvo dall’emergenza, che possa esserci da mangiare in tutte quelle terre dove incombe la carestia e che i muti censurati nei regimi possano ritrovare la parola. E con questa fantasia in tasca e la consapevolezza che «l’anno che sta arrivando tra un anno passerà», noi ci stiamo preparando ad ogni possibile novità.