Del: 27 Dicembre 2022 Di: Erica Ravarelli Commenti: 0
Qatargate. Perché questo nome è una semplificazione?

Tutto ha inizio venerdì 9 dicembre, quando il quotidiano belga Le Soir rivela l’avvio di un’ondata di perquisizioni, volte a far luce su un presunto caso di corruzione nell’ambito nientemeno che del Parlamento Europeo. È l’inizio di quello che, per la portata delle istituzioni coinvolte, il numero di personalità corrotte e il tipo di battaglie che esse avevano portato avanti fino a quel momento, è stato definito uno dei più grandi scandali di corruzione che abbia mai colpito un’istituzione europea.

Tanto è stato detto sul significato di questa «Tangentopoli europea», la cui portata si è lentamente estesa fino a coinvolgere circa sessanta persone, tra eurodeputati e funzionari.

Prima di passare all’analisi delle conseguenze di ciò che sta accadendo, dunque, è necessario ripercorrere le tappe dell’investigazione che ha portato gli inquirenti ad arrestare quattro persone, di cui una greca e tre italiane, con l’accusa di corruzione, riciclaggio e associazione a delinquere. Si tratta, nello specifico, dell’ex europarlamentare nonché fondatore della ong Fight Impunity Pier Antonio Panzeri, considerato l’artefice del giro di tangenti, dell’ormai ex-vicepresidente del Parlamento Europeo Eva Kaili, del suo compagno Francesco Giorgi (anche assistente dell’europarlamentare Andrea Cozzolino) e dell’ex-segretario, autosospesosi dopo essere stato travolto dalle accuse, della ong No Peace Without Justice, fondata nel 1993 da Emma Bonino, Niccolò Figà-Talamanca.

Occorre, dunque, tornare indietro di qualche mese, precisamente a luglio di quest’anno, quando i servizi segreti belgi hanno perquisito l’abitazione brussellese di Panzeri. L’autorizzazione a procedere fu concessa alla luce del sospetto, emerso a seguito di un’inchiesta durata circa un anno, che “entità straniere” avessero interferito nei processi decisionali del Parlamento Europeo. Sospetto fondato, visto il ritrovamento di 700 mila euro in contanti nell’abitazione dell’allora europarlamentare.

È iniziato così lo scandalo a cui oggi siamo soliti riferirci con il soprannome “qatargate”:

secondo gli inquirenti, infatti, sarebbe stato proprio il paese in cui si sono da poco conclusi i mondiali di calcio (una questione a proposito della quale molti hanno parlato di sportwashing, per le ragioni di cui avevamo parlato qui) a corrompere alcuni esponenti del Parlamento Europeo, elargendo ingenti somme di denaro al fine di influenzarne le prese di posizione.

Per capire a che tipo di favori puntavano i diplomatici qatarioti quando distribuivano tangenti agli europarlamentari e ai loro assistenti, può risultare utile rileggere le parole pronunciate da Eva Kaili durante un intervento al Parlamento Europeo. Era il 21 novembre quando l’ex presidente del Pe faceva notare come il Qatar avesse implementato riforme che avevano “ispirato il mondo arabo”. Kaili, poi, proseguiva: «Il Qatar è all’avanguardia nei diritti dei lavoratori, abolendo la kafala e introducendo il salario minimo […]. Hanno aderito a una visione per scelta e si sono aperti al mondo. Tuttavia, alcuni qui invitano a discriminarli […], sebbene poi comprino il loro gas e abbiano lì le loro aziende che guadagnano miliardi».

Lo scorso giovedì, Kaili è stata ascoltata presso il Palais de Justice di Bruxelles, dove il suo avvocato l’ha difesa affermando che «non è mai stata corrotta» e che «non sapeva niente» né dei 150 mila euro ritrovati presso la sua abitazione, né dei 750 mila che si trovavano nella valigia con cui suo padre stava cercando di scappare. Una teoria a cui, evidentemente, i giudici della camera di consiglio non hanno creduto, dato che hanno deciso di confermare le misure detentive per Kaili in modo da evitare che l’ex vicepresidente del Pe potesse inquinare le prove qualora le fossero stati concessi i domiciliari.

È necessario specificare che l’attribuzione del soprannome “qatargate” costituisca una semplificazione.

Infatti, non è solo il Qatar ad aver comprato i favori dei circa sessanta europarlamentari, bensì anche il Marocco avrebbe pagato per ripulire la propria immagine e ottenere così rapporti commerciali più stretti con l’UE oltre che una sostanziale negligenza sulla questione del popolo dei Sahrawi. Si tratta, in breve, di gruppi tribali locali che da tempo reclamano l’indipendenza e i cui diritti vengono sistematicamente violati dal Marocco, stando alle accuse mosse da dalla gran parte della comunità internazionale.  

Per completare il quadro occorre capire chi sono gli europarlamentari e i funzionari che ad oggi sembrano essere i più coinvolti nello scandalo. Si tratta, come anticipato, di Pier Antonio Panzeri, la cui carriera è iniziata nel PCI per poi proseguire nella CGIL e infine proprio al Parlamento Europeo, dove è approdato nel 2004 per rimanerci nelle successive tre legislature, sempre eletto nelle file del PD. Chi lo conosce afferma che la sua simpatia per la monarchia marocchina non era affatto un mistero e che, all’interno del gruppo S&D di cui Panzeri faceva parte, i Sahrawi non si potevano nemmeno nominare. Dettaglio per nulla trascurabile è quello che riguarda la fondazione della ong Fight Impunity, di cui Panzeri è direttore e che si occupa, nomen omen, di combattere l’impunità relativa alla violazione dei diritti umani.

C’è poi Francesco Giorgi, che a Bruxelles ci è arrivato nel 2009 come assistente del deputato del PD Cozzolino e che ha anche collaborato con Panzeri. Eva Kaili, invece, ha iniziato a fare politica quando è stata eletta nel Movimento Socialista Panellenico (Pasok), uno dei principali partiti di sinistra greci. La sua carriera è proseguita con l’elezione al Parlamento Europeo (2014), di cui è stata vicepresidente da gennaio allo scoppio dello scandalo. Infine, Niccolò Figà-Talamanca, prima di ricoprire la carica di segretario della ong No Peace without Justice, è stato visiting scholar alla Columbia University e ha lavorato come consulente per la Corte penale internazionale. Figà-Talamanca è noto principalmente per le sue battaglie nel campo della giustizia penale internazionale.

Un dettaglio che salta subito all’occhio è quello che riguarda il retroterra culturale che accomuna le personalità fin qui elencate.

Si tratta, infatti, di politici che hanno fatto della difesa dei diritti umani una battaglia identitaria, la cui immagine è stata sempre associata all’area di sinistra dello spettro politico e la cui selezione sarebbe stata operata dal Qatar con uno scopo ben preciso: quello di ottenere sostegno da parte di personalità credibili proprio per le loro battaglie politiche pregresse.

Alla luce di queste considerazioni, a cui viene spontaneo aggiungere l’imbarazzante caso Soumahoro che avevamo approfondito qui, sembra che non si possa più evitare di riflettere sul senso della cosiddetta questione morale.

Proprio la sinistra ha per lungo tempo rivendicato la paternità di questo tema, e quasi certamente il qatargate provocherà nei mesi a venire un declino della fiducia nei confronti delle istituzioni europee. Su quest’ultimo punto il presidente ungherese Viktor Orban è già partito all’attacco, rivendicando la necessità di abolire il Parlamento Europeo per sostituirne i componenti ad oggi eletti con personalità nominate dai paesi membri. Una procedura, questa, che a suo dire permetterebbe di assicurare maggiore «controllo, affidabilità e credibilità».

Sul fatto che questa possa essere la soluzione permangono delle perplessità, se non altro perché è ragionevole pensare che l’elezione democratica degli eurodeputati sia uno dei pochi meccanismi effettivamente funzionanti e che assicurano un certo coinvolgimento dei cittadini nel complesso sistema di governance europea. Ciò che occorre tenere a mente, semmai, è che le battaglie non le combattono i singoli ma le persone, pertanto le colpe individuali non dovrebbero mettere in discussione il durevole operato di chi in quei singoli riponeva la propria fiducia.

Erica Ravarelli
Studio scienze politiche a Milano ma vengo da Ancona. Mi piace scrivere e bere tisane, non mi piacciono le semplificazioni e i pregiudizi. Ascolto tutti i pareri ma poi faccio di testa mia.

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