Del: 20 Gennaio 2023 Di: Giorgia Fontana Commenti: 0

Le tematiche di carattere economico rientrano senza dubbio nel ventaglio di argomenti spesso difficili da comprendere a fondo per chi non ne ha mai approfondito lo studio. Abbiamo deciso di dare vita a questa rubrica nella quale cercheremo di sviscerare, con il linguaggio più semplice e accessibile possibile, vari temi economici legati all’attualità. A questo link trovate le scorse puntate.


Le riforme del governo Meloni per la Legge di Bilancio 2023 sono state tante, anche se non tutte sono andate a buon fine. Il tentativo della Premier, dalle sue parole, è quello di incentivare la ripresa economica, a cominciare dai commercianti e dalle aziende del settore terziario. Una delle proposte di legge dello scorso dicembre, forse la più discussa, riguardava proprio l’utilizzo del POS e le sue limitazioni. Non è la prima volta che al Governo questo argomento ha creato discordia, anzi. Il POS è oggetto di discussione ricorrente ed è stato oggetto di controversie tra i differenti Governi anche negli anni passati. Chi deve disporne? Qual è il valore minimo che va accettato dagli esercenti? Quando invece questi possono rifiutare un pagamento con carta o bancomat?

In Italia l’obbligo del POS vige dal 2012, quando il Governo Monti varò il Decreto-legge 179/2012 art. 14 comma IV, meglio conosciuto come il Decreto Crescita 2.0. A quel tempo, il pagamento minimo che poteva essere eseguito tramite POS era di 30 euro. Tuttavia, anche se la norma entrò in vigore e gli esercenti erano effettivamente obbligati ad accettare pagamenti con carta di debito, non esisteva alcuna sanzione per chi violava il decreto. Una paradossale condizione per cui, nonostante la legge esistente, furono commercianti e professionisti a scegliere se accettare pagamenti POS o meno: non era prevista alcuna punizione per chi non ne disponesse. 

Nel 2016 il governo Renzi proseguì per la stessa rotta: si optò per un’implementazione dell’uso del POS. Venne ridotta la soglia minima di pagamento a 5 euro e si introdusse la possibilità di utilizzare carte di credito. Anche in questo caso, però, le ambiguità previste dai decreti non mancavano. Il Governo aveva ammesso una deroga alla normativa, legata ad un’impossibilità tecnica per l’esercente di utilizzare il POS. Senza fornire ulteriori precisazioni, il trend che ne derivò fu lo stesso in tutta Italia: chi non voleva accettare pagamenti elettronici si giustificava con un temporaneo malfunzionamento del POS. Anche con questo decreto poi non erano previste multe per esercenti sprovvisti del dispositivo. Allo stesso modo, gli esercenti erano sì obbligati ad accettare carte o bancomat, ma non c’era alcun deterrente che gli facesse preferire il contrario. 

Fu il Governo Conte II, tre anni dopo, ad introdurre le sanzioni attraverso un decreto fiscale (Decreto Legge n.124/2019 ). A partire da luglio 2020, il rischio per ogni esercente che si fosse rifiutato di accettare pagamenti POS sarebbe stato di 30 euro, sommati al 4% del pagamento in questione. Questo decreto destò però le polemiche dei commercianti, e fu abrogato poco dopo. 

Con Draghi la questione POS divenne inevitabilmente una vera priorità per il Governo. Prima di tutto perché la necessità di risolvere una questione aperta ormai da dieci anni era importante per ottenere credibilità; ma soprattutto, perché l’introduzione di sanzioni risultò quasi inevitabile. All’Italia spettavano dei fondi del PNRR volti alla lotta all’evasione fiscale: ridurre l’utilizzo dei contanti risultava un dovere immediato del Governo. Dallo scorso 30 giugno 2022 le sanzioni entrarono in vigore, ai danni di tutti gli esercenti che non accettano pagamenti elettronici.

Dopo aver analizzato una storia così travagliata e complessa, è quasi naturale domandarsi: perché mai il pagamento elettronico è un metodo tanto odiato dagli esercenti?

La verità è che, a differenza di quello in contanti, comporta costi aggiuntivi non trascurabili. Secondo alcuni studi dell’Osservatorio ConfrontaConti, ad oggi chi detiene il POS deve inevitabilmente sostenerne anche i costi fissi e variabili. Se si considerano le possibilità a disposizione di professionisti e commercianti, si noterà immediatamente che il costo non è affatto irrisorio. Nonostante le tariffe siano diminuite del 59% rispetto al 2017, sono ancora oggi oggetto di polemica. 

Innanzitutto, si stima che la spesa media per munirsi del POS si aggiri attorno ai 28 euro. In certi casi è possibile optare per una sorta di abbonamento: il costo medio del canone mensile è di 8,73 euro

Oltre agli imprescindibili costi fissi, però, è necessario sostenere anche quelli variabili, sanciti dalle commissioni. Una commissione corrisponde al tasso che viene trattenuto dall’istituto finanziario per la gestione del pagamento. In parole più semplici, per effettuare il passaggio di denaro dal conto corrente del cliente al conto corrente dell’esercente, la banca trattiene una percentuale, che diventa quindi il costo della transazione.

Se si considera il circuito PagoBancomat, ad esempio, le commissioni si aggirano intorno al 1,23% del prezzo pagato. Ciò significa che se un caffè dal valore di 1€ viene pagato attraverso questo circuito, l’esercente incassa 0,9877 euro. Oltre a PagoBancomat, gli altri circuiti hanno un saggio che si aggira attorno al 1,35%. Nonostante sia ancora una percentuale considerevole, rispetto al 2017 è stata ridotta circa dello 0,50%. Una piccola differenza la fa la scelta del POS da utilizzare: quello fisso comporta commissioni leggermente meno onerose di quello mobile (1,12% contro l’1,4%). 
Proprio perché basate su una percentuale, le commissioni hanno un peso più rilevante su cifre elevate. Comprando per esempio una lavatrice da 500 euro, il costo del pagamento elettronico è di ben 6,15 euro.

Vista così, la spesa che ricade sulle spalle dei commercianti potrebbe sembrare irrilevante. Si tenga presente però che la prospettiva cambia, se si considerano le transazioni nel loro complesso. Una pasticceria che ogni giorno vende 100 fette di torta da 5 euro, guadagnerà (sulla carta) 15.000 euro al mese. Se però i pagamenti venissero fatti esclusivamente attraverso POS, il costo delle transazioni di quel mese (sempre calcolate all’1,23%) sarebbe di 184,50 euro.
E’ proprio su questi costi aggiuntivi che nascono i dissidi al Governo e tra gli esercenti: chi deve sostenerli? E’ giusto imporli alle attività o dovrebbero gravare sulle tasche dello Stato? 

Giorgia Fontana
Ciao! Sono Giorgia, ho 19 anni e frequento il corso di Economia e Management all'Università degli Studi di Milano. Nella vita, mi piace essere green e far sapere agli altri che la sostenibilità non deve essere per forza noiosa! Qui su Vulcano, mi troverete come referente della rubrica di Economia :)

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