Del: 3 Gennaio 2023 Di: Thomas Brambilla Commenti: 0

L’associazione Kora nasce in Umbria nel 2015 e da anni ormai si occupa di mobilità internazionale e inclusione di diverse personalità giovanili, mantenendo sempre un fine ultimo di superiore importanza: quello di ricercare e proporre sistemi e percorsi educativi per la costruzione di una società più sostenibile e inclusiva.

Abbiamo incontrato Tommaso, che è partito alla volta della Polonia grazie ad un progetto organizzato dalla stessa associazione e, a distanza di qualche mese, ci ha fatto un breve resoconto di quello che ha significato per lui questa esperienza.

Di seguito riportiamo un estratto della nostra chiacchierata.


Puoi farci una breve introduzione di questo progetto a cui hai avuto modo di prendere parte?

Il soggiorno in Polonia si è svolto presso la fattoria Zywa Ziema nei pressi di Lębork, una piccola cittadina situata nel nord del paese non distante da Danzica e dal mar Baltico, nell’arco di 11 giorni (precisamente dal 15 al 26 ottobre). Il progetto è stato finanziato nell’ambito europeo dei fondi Erasmus Plus, venendo quindi riconosciuto come in linea rispetto agli obiettivi di inclusione e sostenibilità previsti per ricevere il finanziamento. I partecipanti sono stati in totale 24, tre persone per nazionalità più le figure di tre “trainers” esterni con ruoli di guida e maggiore responsabilità nello svolgimento degli obiettivi previsti.

Qual è stato il focus principale che ha animato le vostre giornate presso questa fattoria?

Tutto il progetto ha avuto il concetto di sostenibilità come pilastro fondamentale. La particolarità però è stata quella di aver affrontato questo tema non solo da un singolo e laterale punto di osservazione (come può essere ad esempio la sostenibilità in senso meramente ambientale), ma declinato in maniera il più possibilmente completa e totalizzante, tenendo conto dei seguenti aspetti connessi alla sostenibilità: ambito personale, ambito collettivo, ambito finanziario e ambito ambientale. Su ognuno di questi macrotemi si è svolto un lavoro specifico, senza però mai perdere l’obiettivo ultimo nonché quello della sostenibilità come ragione fondante intesa in senso olistico e comunitario.

Quale degli ambiti che hai menzionato di ha sorpreso maggiormente e su cosa si incentravano i lavori per i singoli aspetti?

Sono stato piacevolmente colpito da tutti gli spunti del progetto. L’aspetto di sostenibilità personale si è concentrato molto sulla ricerca di modalità di sviluppo individuale, andando a fare leva, tramite delle sedute di ricerca specifiche, su alcuni aspetti inerenti a valori, punti di forza e cambiamenti che hanno caratterizzato ciascuno di noi permettendoci di interrogarci in prima persona in maniera piuttosto inusuale.

Tutto questo processo è stato basato sul principio dell’ascolto attivo (anche talvolta coinvolgendo il corpo), ovvero un ascolto che non pretende di guidare e offrire soluzioni, ma piuttosto di limitarsi ad ascoltare e sentire le ragioni dell’altro per aumentarne e strutturarne la consapevolezza. La pratica del gioco likigai ad esempio è stato un momento particolarmente emblematico da questo punto di vista e ha coinvolto tutti in maniera attiva. Esso si pone l’obiettivo di ricercare la propria ragione di vita, il senso e lo scopo ultimo tramite una serie di domande poste in maniera alquanto diretta (cosa ami fare, in cosa sei bravo, di cosa ha bisogno il mondo, per cosa ti faresti pagare) permettendo di mettere in luce quelli che quindi sono gli aspetti cardine ed essenziali della personalità e dell’identità di un individuo.

Nell’ambito invece della sostenibilità collettiva ci siamo concentrati su una serie di pratiche di gruppo che potessero stimolare la sintonia fra individui intesi come elementi appartenenti ad un sistema di cooperazione e condivisione dei fini. Queste sono state ad esempio la respirazione congiunta e una forma di danza spontanea, ma non sono mancate delle riflessioni ampie su concetti di carattere sociale e politico, partendo dal senso di democrazia e ragionando su anarchia, processi di decisione informali e sociocrazia, ovvero una forma di vita organizzata basata sul potere di piccoli, vari e distinti gruppi decisionali.

Nell’ambito invece della sostenibilità ambientale su quali aspetti invece vi siete concentrati?

La riflessione sulla crisi climatica non è stata centrale ma non è affatto mancata. Questo non perché non sia stata ritenuta di primaria importanza, ma anzi perché alla base vi è la convinzione che essa possa essere intesa più come un effetto collaterale di una immatura e troppo individualista organizzazione sociale e comunitaria poco attenta al benessere comune, da cui tutto deriverebbe. Si è comunque discusso molto di economia circolare e sul lato pratico sono state portate avanti attività importanti come il riciclo di carta, la cucina col fuoco e pratiche con il legname inteso come fonte primaria di energia fino a ideare delle sistemazioni più ecologiche e in linea coi nostri tempi.

Puoi spiegarci più nel profondo questa idea di sostenibilità ambientale come mero risultato dell’organizzazione comunitaria?

Questo concetto è stato il punto chiave di tutto il progetto. L’idea alla base può sembrare inizialmente vaga ma alla fine appare piuttosto convincente. Essa parte dal presupposto che la sostenibilità parta non da scelte, azioni e politiche ambientali individuali o di qualcuno, seppur molto ammirevoli, ma piuttosto da come una comunità vive, si organizza e quali sono i suoi fini condivisi. Il metodo più consono per affrontare la crisi ecologica che minaccia la nostra esistenza è quello di lavorare seguendo un approccio olistico comunitario, concentrandosi quindi sulla solidarietà e la coesione degli individui che appartengono ad un gruppo rispetto ai fini superiori che questo gruppo si presuppone.

Vuoi aggiungere qualche commento o consiglio a chi pensa di voler intraprendere la tua stessa esperienza?

Consiglio vivamente di immergersi in progetti di questo genere. Senz’altro aiutano a spostare i confini di pensiero rispetto alla cruda realtà di degrado e devastazione ambientale a cui siamo sottoposti nella nostra vita quotidiana, aprendo spazi di riflessione che si basano su speranza e modelli alternativi. Su un piano invece più personale mi sento di dire che ho trovato molto stimolante l’esperienza che mi ha permesso di mettermi in gioco e uscire dalla mia zona di comfort quotidiano per tornare con una maggiore ricchezza in cui credo dentro di me.

Thomas Brambilla
Sono studente in scienze politiche e filosofiche alla Statale di Milano. Mi piace riflettere e poi scrivere, e fortunatamente anche riflettere dopo aver scritto. Di politica principalmente, ma senza porsi nessun limite.

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