Del: 2 Febbraio 2023 Di: Redazione Commenti: 0
A lezione di democrazia dal Kenya alla Guinea

Per individuare con efficacia i meccanismi responsabili della nascita e della sopravvivenza della democrazia in uno specifico contesto sociale, è importante guardare alle basi culturali su cui essa andrebbe a innestarsi.

Senza impelagarci in una serie di utili ma tediosi sondaggi e dati statistici, approfondiremo due diversi esperimenti condotti da un team di antropologi ed economisti su quindici società di piccole dimensioni in dodici differenti paesi.

Essi si basano sul gioco dell’ultimatum e su quello del dittatore.

Nel primo caso, un giocatore, spesso detto “proponente”, è in possesso di una torta da cui è costretto a sottrarre una fetta per consegnarla ad un altro individuo, detto “rispondente”. Quest’ultimo, conoscendo sia l’offerta che il totale della torta, potrà decidere di accettare quanto offerto dal proponente, procedendo così alla divisione della torta. Nel caso in cui ritenesse l’offerta troppo esigua, avrebbe modo di rifiutarla facendo però in modo che nessuno ottenga alcunchè. Negli esperimenti, i giocatori non si conoscono e al posto della torta vi sono ingenti somme di denaro.

Il gioco del dittatore presenta le stesse procedure dello schema appena descritto, ma non prevede la possibilità di rifiutare l’offerta del proponente. Ovviamente, nella prima tipologia di esperimento, il primo giocatore potrebbe essere indotto a formulare un’offerta abbastanza equa per bontà d’ animo o per paura di un rifiuto, che costerebbe la perdita dell’intero bottino.

Nel gioco del dittatore invece qualsiasi proposta del primo giocatore, venendo meno la paura del rifiuto, sarebbe basata sul suo senso di equità. Dunque il confronto fra i risultati dei due giochi serve agli analisti per capire quali sono i proponenti motivati da interesse e quali invece da valori etico-morali.

Quando gli esperimenti furono attuati nella stragrande maggioranza dei paesi industrializzati del mondo, gli osservatori registrarono un grande divario fra le offerte modali nei due giochi, un chiaro indicatore dell’influenza esercitata dal calcolo d’interesse effettuato dai proponenti nella prima forma d’esperimento.

Successivamente gli studiosi passarono all’ osservazione dei dati raccolti nelle quindici microsocietà presenti in Perù, Ecuador, Tanzania, Paraguay, Bolivia, Papua Nuova Guinea, Cile, Mongolia, Tanzania, Kenya, Indonesia e Zimbabwe.

I tassi di rifiuto registrati nel gioco dell’ultimatum variavano considerevolmente fra i diversi gruppi, e dopo un attento confronto dei risultati raccolti ci si accorse che le caratteristiche a livello individuale come sesso, età, livello di scolarizzazione e benessere economico del proponente erano del tutto ininfluenti.

Gli analisti effettuarono una divisione delle società lungo due dimensioni: “benefici della cooperazione” e “integrazione con il mercato”. La prima dimensione fa riferimento a quanto sia importante nella microsocietà analizzata collaborare con persone al di là dei propri vincoli familiari, la seconda invece a quanto i gruppi siano avvezzi allo scambio di mercato.

All’estremo più alto lungo la dimensione “benefici della cooperazione” si collocarono i Lamelara, agglomerato sociale presente lungo la costiera d’isola tropicale indonesiana, noti per la loro caccia di balene condotta in grandi canoe con un equipaggio di dodici o più persone. Al lato opposto invece troviamo i Machiguenga (della foresta tropicale peruviana) e i Tsimanè (della foresta tropicale della Bolivia). Entrambi i gruppi raramente svolgono attività che includano membri esterni alla propria famiglia.

All’estremo più basso della dimensione “integrazione con il mercato” si collocano gli Hazda (Tanzania), per cui il concetto di scambio è quasi sconosciuto, mentre al livello più alto ci sono gli Orma (Kenya), spesso salariati e praticanti compravendita di bestiame.

Cosa ci dicono tali risultati?

Una prospettiva è che gli individui che popolano queste società, una volta al cospetto delle novità introdotte dai due esperimenti, vadano alla ricerca di analogie con la loro vita quotidiana.

Osserviamo ad esempio le offerte iper-eque registrate fra Anu e Gnau in Papua Nuova Guinea. In entrambe le società è presente una forte cultura del dono per cui quando quest’ultimo è costoso diviene simbolo di prestigio sociale. Il fatto che ricevere un dono molto generoso ponga, in tali società, in una forte posizione di subordinazione, spiega poi il perché dell’alto tasso di rifiuti registrato. Gli Hazda invece, ultimi in classifica per lo scudetto dell’integrazione con il mercato, evitano addirittura di dividersi la carne.

È chiaro che le scelte individuali sono influenzate dalle norme economiche e sociali con cui l’individuo si interfaccia abitualmente, e così come il gioco dell’ultimatum e quello del dittatore, anche il gioco della democrazia si basa su cooperazione e compromesso.

La maggior parte delle persone è indotta a tenersi tutta (o quasi) la torta quando è sicura di non poterla perdere. Allo stesso modo, gli individui potrebbero preferire lo stato monarchico a quello democratico se avessero la certezza di rientrare nella coalizione vincente dei sovrani, o magari se il re o la regina fossero loro, accettando però la democrazia se una di queste condizioni non fosse soddisfatta.

Oltre alla ricchezza di uno Stato, per il fiorire della democrazia, sono determinanti fattori culturali come quelli analizzati fin ora, il cui studio è capace di rappresentare una prerogativa imprescindibile per l’analisi delle transizioni democratiche che sono avvenute o si potrebbero verificare nel mondo.

Bibliografia: W. R. Clark, M. Golder, S. N. Golder, Principi di scienza politica.

Articolo di Riccardo Tornesello.

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