Il 5 di ogni mese, 5 libri per tutti i gusti: BookAdvisor è la rubrica dove vi consigliamo ciò che ci è piaciuto di recente, tra novità e qualche riscoperta.
Il gioco sporco. L’uso dei migranti come arma impropria, Valerio Nicolosi (Rizzoli) – recensione di Angela Perego
Da un lato, c’è quello che i profughi chiamano il game, ovvero il percorso che devono affrontare per arrivare a Trieste dalla Bosnia, dopo aver attraversato innumerevoli altre frontiere lungo la rotta balcanica. Si tratta di una vera e propria lotteria, in cui chi vince ha la possibilità di ricominciare una nuova vita in Europa, ma chi perde viene picchiato, umiliato, derubato e mandato indietro dalla polizia croata o da quella slovena. Costretto a ricominciare tutto daccapo, insomma, a “ripassare dal via”, un po’ come nel Monopoli, se non fosse che tutto questo avviene sulla pelle di persone in carne ed ossa le cui richieste d’asilo, secondo il diritto internazionale, dovrebbero essere valutate una ad una, e che invece vengono respinte per garantire l’impermeabilità della “Fortezza Europa”. Una roccaforte nella quale i Paesi europei hanno deciso di barricarsi a tutti i costi, senza minimamente badare al rispetto dei diritti umani ed esponendosi allo stesso tempo al ricatto di governi come quello turco, pronto di tanto in tanto ad aprire i rubinetti delle migrazioni e ad utilizzare le persone in viaggio come arma per fare pressione sull’Unione Europea. Dall’altro lato, dunque, c’è il gioco sporco dei governi, che vedono le persone migranti come semplici pedine, oppure come un problema da nascondere sotto il tappeto.
Tutto questo rende la rotta balcanica un inferno fatto di sentieri impervi, inverni rigidi, violenze da parte della polizia, che disegna croci con la vernice sulle teste appena rasate dei migranti e si accanisce con i manganelli sui piedi delle persone in viaggio, per impedire loro di ritentare il game dopo essere state respinte illegalmente in Bosnia. Un inferno che Valerio Nicolosi riesce a raccontare come soltanto chi lo ha vissuto potrebbe mai fare, insegnandoci l’importanza di «stare dove bisogna stare», «perché c’è sempre un luogo dove una crisi umanitaria si sta consumando, dove le violazioni dei diritti umani sono costanti».
Sanguina ancora. L’incredibile vita di Fëdor Dostoevskij, Paolo Nori (Mondadori) – recensione di Angela Perego
«Uno scrittore russo, Vasilij Rozanov, descrive Dostoevskij come un arciere nel deserto con una faretra piena di frecce che, se ti colpiscono, esce il sangue», racconta lo scrittore e traduttore parmense Paolo Nori nelle primissime righe del suo romanzo Sanguina ancora. Ed è proprio questa capacità di Dostoevskij di aprire, con le proprie parole, ferite che forse non smetteranno mai di sanguinare, a dare il titolo all’opera di Nori, nella quale egli cerca di rispondere nel modo più semplice possibile – accessibile anche a chi la lingua russa non la conosce e di Dostoevskij ha letto appena le opere maggiori, o forse ancora nulla – ad una domanda complicatissima: come ha potuto questo «pazzo benedetto che mette per iscritto le domande che tutti noi ci facciamo e che non osiamo confessare a nessuno, uomo dall’aspetto insignificante, goffo, calvo, un po’ gobbo, vecchio fin da quando è giovane, uomo malato, confuso, contraddittorio, disperato, ridicolo così simile a noi, che riesce a morire nel momento del suo più grande successo», divenire un gigante della letteratura non solo russa, ma mondiale, di tutti i tempi?
La Signora Potter non è esattamente Santa Claus, Laura Fernández (Solferino) – recensione di Matilde Elisa Sala
La piccola e fredda cittadina di Kimberly Clark Weymouth sembrerebbe, in apparenza, un paese come tanti, quelli in cui tutti si conoscono e conducono una vita tranquilla. Avrebbe potuto essere così, se non fosse stato per la scrittrice Louise Feldman, che ha scelto di ambientare il suo famosissimo romanzo La Signora Potter non è esattamente Santa Claus, proprio lì.
Le strade pian piano si sono popolate sempre di più di lettori del romanzo, alla ricerca della famosa Signora Potter, e di tutti i luoghi rappresentati nella storia. Per di più uno degli abitanti, Randal Peltzer, ha aperto un negozio di souvenir apposta per i turisti! Ma il figlio di Randal, Billy, infelice e stufo di un lavoro che non si è nemmeno scelto, decide che forse è arrivato il momento di abbassare la serranda. Come la prenderanno gli altri abitanti?
Addentrarsi tra le pagine di questo romanzo non è affatto semplice, anzi dopo i primi capitoli ci si sentirà completamente disorientati. Procedendo, ci si renderà ben presto conto che la magia di questa “storia nella storia” è proprio questa: l’intreccio di parole, di personaggi e di vicende.
Per non parlare della sintassi: periodi lunghissimi, tanti avverbi, dialoghi messi tra parentesi e scritti in maiuscolo. Forse questo è uno dei libri più particolari che sono stati pubblicati negli ultimi mesi. Non molto conosciuto, meriterebbe decisamente di più. La storia è travolgente, l’atmosfera magica e le sue stranezze la renderanno una lettura unica nel suo genere.
Ti aspetto a Central Park, Felicia Kingsley (Newton Compton) – recensione di Matilde Elisa Sala
Alla Pageturner Publishing di New York, Knight Underwood, editor detentore di record di bestseller, è convinto di essere nominato nuovo direttore editoriale. Sarà però costretto a fare i conti con Victoria Wender, anche lei ottima editor, in particolar modo di romanzi rosa, genere che Knight non tollera per niente. Tra i due si instaurerà fin da subito un rapporto conflittuale, fino a quando non saranno costretti a fare squadra, legati da un segreto dal quale dipende la carriera di entrambi.
Molto spesso la letteratura romance viene sottovalutata e considerata di basso livello, quando in realtà è proprio la sua leggerezza a essere il suo punto di forza. Questo romanzo non è da meno: molto scorrevole, piacevolissimo da leggere e ben scritto, cattura l’attenzione in ogni singolo capitolo. Si finirà senza nemmeno accorgersene e si sarà quasi dispiaciuti di averlo letto troppo in fretta. La nuova storia scaturita dalla penna di Felicia Kingsley è proprio ciò che serve per staccare la spina e perdersi completamente tra le strade di New York, tra case editrici, situazioni divertenti e un’accattivante storia d’amore.
Il consiglio della casa editrice Le Lucerne
Fantasmi e guerrieri. Giustizia e vendetta nell’immaginario giapponese, Giorgio Fabio Colombo (Edizioni Le Lucerne) – recensione di Giulia Scolari
«Nella Tokyo di oggi, tra i grattacieli delle grandi società finanziarie del quartiere Ōtemachi, a due passi dal Palazzo Imperiale, dirigenti e impiegati sono stati per mesi sospesi, sudando freddo, in attesa che venisse cominciata la ristrutturazione della tomba di un guerriero del X secolo, anzi, di una sua parte».
Inizia così il volume illuminante di Giorgio Fabio Colombo, professore di diritto comparato italo-giapponese a Ca’ Foscari e Nagoya ed autore di numerosi libri divulgativi. Fantasmi e guerrieri. Giustizia e vendetta nell’immaginario giapponese racconta in meno di 150 pagine la complessa interrelazione tra due mondi apparentemente opposti – quello delle favole e quello del diritto – e dell’enorme importanza che entrambe le dimensioni hanno anche nel Giappone moderno. Favole, miti e leggende vengono trasmessi oralmente e sono soggetti a cambiamenti anche profondi: sono spesso narrazioni semplici con una morale chiara che permette soprattutto ai più giovani di distinguere tra bene e male. Il diritto, al contrario, è da sempre visto come l’insieme di tutto ciò che è rigido, severo e difficile – a portata di pochi, ma al controllo della comunità intera. Eppure, il modo in cui una comunità si vede rappresentata o meno dalla giustizia ha grandi conseguenze sulla sua qualità della vita e il Giappone del periodo Edo dipinge la sua idea di giustizia coi colori della cultura popolare.
Colombo ripercorre le più famose storie di fantasmi e guerrieri, i due volti più ricorrenti dell’immaginario dell’epoca, sottolineando gli intrecci che solo un esperto del suo calibro potrebbe aver notato. «Se il diritto di per sé non è troppo affascinante, restano almeno i racconti» conclude l’autore.