Paolo Romano ha 26 anni, è laureato in Economia e vanta già un’inesauribile esperienza amministrativa nel comune di Milano. Assessore all’urbanistica, alla mobilità, alle Politiche Sociali e Giovanili in Municipio 8; già segretario e sempre membro attivo dei Giovani Democratici di Milano Metropolitana; al fianco di Pierfrancesco Majorino, è ora neoeletto consigliere regionale in Lombardia.
Nonostante i recenti esiti alle elezioni regionali del 12 e 13 febbraio registrino una tragica disaffezione al voto e la proroga del presidio lombardo nelle mani del centrodestra, i dati rivelano come Paolo sia stato uno dei candidati consiglieri con maggior numero di preferenze ottenute alle urne, il più votato del PD a Milano e il quarto del suo partito in tutta la regione. Un grandioso successo che sicuramente si fa buon auspicio di una politica attiva e impegnata pronta a premiare le idee, prima ancora che il pregiudizio di una collocazione partitica rischi di illanguidirne l’essenza più intrinseca e autentica.
L’intervista è stata editata per motivi di brevità e chiarezza.
Come nasce il tuo senso politico in una società che lo annienta, preferendo sempre più la dimensione privata a quella pubblica?
Nasce da un sentimento di rabbia, derivato dalle ingiustizie con cui conviviamo ogni giorno. Avevo appena 14 anni quando al liceo Vittorio Veneto iniziai ad interessarmi dei diritti degli studenti, e da allora a mano a mano di tanto altro. La disillusione c’era e c’è tuttora, ma è più che altro un’eredità di pensiero delle passate generazioni, che ci hanno instillato la concezione di politica come organizzazione corrotta che fa disgusto, un’arena dove è impossibile cambiare a prescindere. Non è così in realtà: senza Fridays For Future non ci sarebbe il Green Deal in Europa, senza il Pride non ci sarebbe il matrimonio egualitario in molti Paesi (in Italia purtroppo manca ancora). Insomma, dove le persone si attivano le cose cambiano, magari non immediatamente, ma cambiano soprattutto tramite la perseveranza e l’insistenza.
Oggi molti giovani percepiscono la politica come qualcosa di distante e i politici come delle élite che perdono facilmente il contatto con i propri elettori, ciò porta ad un tasso di astensionismo da record allarmanti, secondo te come si può curare questa grave ferita?
Dobbiamo ribaltare lo schema: la politica non è né buona né cattiva, è di chi la fa. La responsabilizzazione è probabilmente ciò che più spaventa di questo mondo. Se come generazione ci attiviamo in prima persona, partendo concretamente dai nostri bisogni e da una visione di futuro che cerchi nelle stesse difficoltà le chiavi per costruire la società di tutti, saremo noi stessi a fare buona politica. In questi anni è oggettivo che troppi politici – di qualsivoglia orientamento partitico – si siano mostrati lontani dalla realtà, risultando arroccati in discorsi che non sfiorano nemmeno la vita delle persone le quali sono tenuti a rappresentare. Si dovrebbe allora ricominciare dalle urgenze quotidiane: il diritto allo studio, il lavoro dignitoso e non precario, la sanità pubblica di nome e di fatto, la lotta alle discriminazioni e alle mafie. Noi ci stiamo provando, a partire dai nostri territori e da Regione Lombardia.
Parlando di problematiche concrete, quali sono a tuo avviso le più urgenti priorità su cui porre attenzione?
Primo tra tanti, quello alla sanità: in questa regione è stata appaltata al privato a scapito del diritto fondamentale alla salute di tutti; deve celermente tornare pubblica. Attualmente è inoltre consueto trovarsi davanti a liste di attesa interminabili, che obbligano il paziente a pagare le strutture private per accedere alle cure in tempo, altro allarme è costituito dai consultori pubblici chiusi e quelli privati spesso sostenitori di posizioni antiabortiste, finanziati da fondi pubblici. Si accusa anche l’assenza di un valido servizio che tuteli la salute mentale. Da segnalare poi medici e infermieri che scarseggiano.
Secondo elemento è quello dei trasporti, tema centrale anche per l’ambiente, vivendo noi nella regione più inquinata d’Europa. Trenord, l’ente di Regione Lombardia che ne gestisce i trasporti ferroviari, è un indubitabile disastro: ritardi e cancellazioni all’estremo ma costanti, nessuna offerta di abbonamenti a favore dei numerosi studenti che usufruiscono del servizio all’ordine del giorno. Il risultato è che ci sono due auto ogni tre abitanti, nell’aria si misura un inquinamento tale da renderla irrespirabile. Urge una rivoluzione ambientale, migliorare l’efficienza degli spostamenti e non solo a Milano città, investendo ulteriormente nel trasporto dolce, nella ciclabilità e nello sharing.
E infine il lavoro: insieme con il candidato alla presidenza regionale Pierfrancesco Majorino abbiamo promesso l’impegno di cambiare la normativa sugli stage nei primi cento giorni di governo. Si pensi che attualmente in Lombardia un tirocinio extracurricolare (svolto dopo il termine degli studi) può essere retribuito per legge regionale anche solo 300€ in un ente pubblico e 500€ in un ente privato, una cifra derisoria. Per quelli curriculari addirittura non si garantisce alcuna retribuzione. Così diventa un congegno di sfruttamento, non di formazione, ed è a mio avviso una trascuratezza inaccettabile. Serve dare alla nostra generazione un ingresso nel mondo del lavoro degno, come lo è il contratto di apprendistato, ad esempio.
Tra tutte le discipline, la politica è la più controversa e divisiva. Il tuo gruppo – i giovani democratici – si impegna per dimostrare l’opposto, quale credi quindi sia il segreto per avvicinarsi a questo mondo traendone il meglio che ha da offrire?
Fare battaglie che si vivono ed in cui si crede, decollando dal basso, dalle piazze; e poi studiando, informandosi, discutendo di valori anche altamente ambiziosi, ma giungendo in seguito a proposte concrete per farli tangibili. In tutto questo il confronto è principio indispensabile: i Giovani Democratici sono questo, giovani e giovanissimi, dai 14 ai 30 anni, con esperienze e storie diverse, accomunati da una fiducia nell’uguaglianza e nella solidarietà, e nel metterle in pratica. Nel nostro gruppo si crede tanto alla partecipazione attiva e collettiva come qualità assoluta per poter contribuire a cambiare il mondo, un passo alla volta.
La tua storia dimostra che si può anche amare la politica. Cosa consiglieresti personalmente ai tuoi coetanei per evitare di precipitare nella disinformazione e nel rifiuto di essa?
Di esserci e di impegnarsi. In ogni città e in ogni quartiere ci sono forze positive pronte a non accontentarsi, a lottare per migliorare le cose, bisogna solo trovarle, e per farlo è necessario sforzarsi di cercarle. La rete che è nata con i Giovani Democratici su tutta l’area metropolitana ne è meravigliosa prova. Siamo la generazione più formata di sempre, eppure quella con meno prospettive a disposizione: non è incoraggiante, ma la delusione dovrebbe accendere la volontà in noi di rovesciare questo immeritato paradigma. La collaborazione distribuisce il peso del problema su più spalle: insieme siamo capaci di cambiare.