Del: 16 Febbraio 2023 Di: Gaia Martinelli Commenti: 0
Inautentica autenticità. Dai brand agli influencer

Laddove vige l’incertezza e l’insicurezza, in questo spazio e tempo in cui la ridiscussione dei valori fondanti e vitali si fa intensa, ricerchiamo disperatamente qualcosa che ci parli con voce familiare, qualcosa che, sovente si sente dire, sia autentico. E tale requisito vale per molteplici sfere: da quella dei nuovi leader d’opinione, gli influencer, a quella relativa ai marchi ed ai loro prodotti.

Ciò si è reso ancor più palese nell’epoca segnata dalla pandemia: poiché incerte o per la sensazione d’essere in pericolo, le persone optano per scelte percepite come autentiche. Per dirla come Coco Chanel: hard times arouse an instinctive desire for authenticity.

L’autenticità, prima che con il marketing ed il branding, ha a che fare con la psicologia.

Studi dimostrano sia correlata alla percezione di sincerità: abbiamo bisogno di accertarci che un prodotto segua principi, regole e miri ad obiettivi conformi ai nostri. Se sì, si è persino disposti a pagare un prezzo maggiore, come nell’evidente caso dell’organico.

Eppure, nonostante la fervente brama dell’autenticità, questa risulta essere tanto affascinante quanto complessa, o comunque perlopiù travisata già nella sua essenza: dibattuto è, infatti, il suo stesso significato. In linea generale, impropriamente si utilizza tale termine come valido sinonimo di originalità, realtà, genuinità ed unicità; inoltre, si denota come suo contrario la falsità.

Una visione più precisa ed appropriata potrebbe essere quella di considerare l’autenticità come un costrutto multidimensionale, che implica in maniera rilevante l’iconicità e l’indicalità di un dato oggetto o soggetto. Inoltre, un’accezione olistica potrebbe favorire la comprensione più accurata di tale lemma. Proposta da Nunes, Ordanini e Giambastiani è la valutazione di autenticità basata su sei tipologie di giudizi affidati dal consumatore ad un determinato bene: accuratezza, connessione, integrità, legittimità, originalità e competenza.

Tuttavia, nel concreto, il consumatore, nel tentativo di rintracciare l’autenticità, ricerca esperienze memorabili, umane e sorprendentemente imperfette, giacché dall’imperfezione traspare realtà, unicità.

Quel che non è replicabile, poiché si discosta dall’ideale della perfezione, ed anzi, presenta tratti peculiari ed imperfetti, diviene di gradimento per una determinata fascia di consumatori. Specialmente se giovani, difatti, i clienti esigono che i brand di riferimento siano autentici e dimostrino l’allineamento con i valori fondamentali di cui questa categoria stessa si fa ormai spesso promotrice: la sostenibilità, uno fra tutti.

Allo stesso modo, nei social, fanno successo quegli influencer che sanno giungere all’attenzione ed al cuore dei follower attraverso un’immagine autentica. Infatti, si sono succeduti svariati trend che hanno esaltato la realtà: ad esempio, alcuni personaggi influenti hanno mostrato su Instagram il proprio corpo, senza celare le imperfezioni, quali la cellulite, in tal contesto non solo accettata ma quasi venerata, poiché reale.

Inoltre, molti influencer ormai mirano ad arrivare più direttamente alla propria audience, mostrandosi autenticamente ad essa, ad esempio nella vita di tutti i giorni. Appaiono più familiari così facendo, ed impattano maggiormente in chi li guarda e vi si affeziona pure.

Occorre tuttavia porsi un quesito: ciò che percepiamo come autentico, lo è davvero?

Un caso curioso che dimostra quanto sia opportuno interrogarsi sull’autenticità dell’autenticità di un prodotto è quello di Kraft Foods: gli ingegneri della compagnia hanno impiegato più di due anni per collaudare un processo che facesse parere delle fette di tacchino come imperfette affinché sembrassero autentiche, come fatte in casa. L’imperfezione diviene un’arte, l’autenticità un’attenta costruzione.

Anche l’autenticità sovente autoproclamata dai profili influenti sulle reti sociali, risulta un paradosso. Difatti, la loro comunicazione spesso si basa in maniera conclamata su una curatissima strategia di self-presentation. Anche il New York Times si è preoccupato di avvertire sulla scarsa autenticità ed anzi sulle frodi nelle reti sociali come l’acquisto di falsi follower da parte di un influencer. Inoltre, le collaborazioni, sempre più frequenti tra brand ed influencer tendono a svilire la percezione di genuinità che si ha di questi ultimi.  

Inoltre, la semplice maniera in cui gli influencer articolano la propria persona sulle reti sociali per apparire autentici e vicini ai follower, risulta già come una strategia. Predeterminano il loro essere reali, seguono tecniche e costruiscono modi per apparire autentici.

Praticamente, un’inautentica autenticità.

Brown ed i suoi colleghi, già nel 2003, avvertivano che le persone cercavano “l’autenticità in un mondo di per sé inautentico”. Allo stesso modo, Gilmore e Pine con il loro libro Autenticità spiegano che l’imperativo per un business sia quello di rappresentare questa qualità. Rappresentare, ben diverso da essere autentici, dall’incarnare l’essenza dell’autenticità.

Il vantaggio competitivo di un business non pare dunque essere l’effettiva autenticità, quanto la percezione del consumatore di questa. Infatti, è abbastanza che una merce presenti un aspetto che induca il cliente a definirla autentica per acquistarla. Sono sufficienti, secondo Boyle, le giuste imperfezioni e qualche scritta antiquata per conquistare il consumatore.

Secondo Scandellari, essere percepito autentico è inoltre tanto importante quanto esserlo, poiché è fondamentale che l’audience recepisca il messaggio, la comunicazione dell’essere autentico di un marchio. Chiave pare essere la percezione più che l’autenticità stessa. Certo è che sincera o meno, l’autenticità di un brand o di un personal brand è in grado di conferire un vantaggio competetivo e guidare emozionalmente il consumatore per poi impattare sulle sue preferenze.

Ad ogni modo, lungi dal sostenere una pessimistica e distopica visione dell’attuale situazione socio-economica, vi è del buono, anzi, forse, dell’autentico. Campagne come #gowiththeflaw di Diesel, le patatine imperfette di Dieffenbach, ed i microinfluencer che neppure sanno di avere un impatto nella loro nicchia ristretta di follower ma agiscono spudoratamente per passione. Autenticamente autentici o meno? Per porla in maniera pirandelliana, così è se vi pare.

Gaia Martinelli
Gaia di nome e di fatto – ma non sempre. 22 anni di tramonti, viaggi e poesie. A tratti studio anche corporate communication presso la Statale di Milano. Scrivo di cose belle perché amo l'idea di diffondere bellezza.

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