Quando ci svegliamo ogni mattina, nell’oltre 99% dei casi lo facciamo in un luogo pericoloso per la nostra salute. La fonte di rischio è la stessa aria che respiriamo, impregnata di polveri sottili (e in particolare di PM 2,5, la principale fonte di rischio per la salute umana) ben oltre i limiti di sicurezza convenzionalmente indicati dall’OMS.
Un recente studio condotto dalla Monash University di Melbourne (Australia) ha infatti dimostrato come solo lo 0,18% delle terre emerse goda di un’atmosfera contenente PM 2,5 entro i limiti di 15 μg/m³, soglia di sicurezza appunto indicata dall’OMS.
Il PM 2,5, il particolato atmosferico il cui diametro non supera i 2,5 micrometri, costituisce l’elemento più fine delle cosiddette polveri sottili, capace di depositarsi negli alveoli polmonari e persino di passare all’interno del circolo sanguigno.
Gli effetti sulla natura umana dell’inalazione di tale particolato sono di conseguenza svariati e molto gravi: difficoltà respiratorie, irritazione delle vie aeree, aggravamento dell’asma, riduzione della funzione polmonare, attacco cardiaco e possibile morte prematura per quanti soffrono di patologie cardiache o polmonari. Le persone anziane (un elemento importante della nostra società dall’alta aspettativa di vita) rappresentano una categoria particolarmente vulnerabile.
Essendo per natura una composizione disomogenea di polveri sottili, le fonti di PM 2,5 sono varie e spaziano dagli incendi ai cantieri edili.
Alcuni inquinanti emessi da industrie e motori termici, come il diossido di zolfo e gli ossidi di idrogeno, reagiscono in atmosfera tra di loro portando alla creazione di particolato sottile.
Secondo lo studio proposto dalla Monash University e guidato dal professor Yuming Guo, i cui risultati sono apparsi sul Lancet Planetary Health il 7 Marzo 2023, la concentrazione di PM 2,5 durante due decadi è aumentata praticamente ovunque nel mondo con l’eccezione dell’Europa e del Nord America, ove l’esposizione giornaliera al particolato sottile si è effettivamente ridotta.
Altrove, la situazione si presenta invece come preoccupante: Asia medionale, Caraibi, Australia, Nuova Zelanda e America Latina vivono oltre il 70% dei propri giorni annui oltre la soglia di sicurezza per il PM 2,5. In Estremo Oriente, in particolare i giorni di rischio annui sono oltre il 90%, e la concentrazione di PM 2,5 ha toccato soglie di 50 μg/m³.
Non è una novità che le regioni fortemente urbanizzate e industrializzate dell’Asia orientale siano anche tra le più inquinate del pianeta, ma forse potrebbero apparire più inusuali le alte concentrazioni di PM 2,5 nell’Africa sub-sahariana, di certo non un hub produttivo globale.
La ragione di ciò è che anche la sabbia del deserto costituisce una importante fonte di particolato sottile, quando trasportata dal vento.
Se aggiungiamo alle condizioni di vita spesso difficilissime delle popolazioni locali una grave minaccia alla salute pubblica che sarà sempre più acuita dalla desertificazione, lo sviluppo di questa regione (importante anche per impedire la tratta criminale di esseri umani in fuga verso l’Europa) appare tutt’altro che un percorso in discesa.
C’è da sperare, come si augurano gli autori dell’articolo, che i dati raccolti siano un ulteriore incentivo per i governanti e per i principali attori economico/produttivi (inclusi noi consumatori) affinché i provvedimenti volti a limitare il particolato sottile atmosferico siano sempre più incisivi. Per ora, l’idea di prendere una boccata di aria salubre resta per la maggior parte degli abitanti di questo pianeta una pia illusione.