Del: 12 Marzo 2023 Di: Giulia Riva Commenti: 0

Memoria, ricordo. Sono queste le parole chiave per capire Annie Ernaux, vincitrice nel 2022 del premio Nobel per la Letteratura «per il coraggio e l’acutezza clinica con cui svela le radici, gli allontanamenti e i vincoli collettivi della memoria personale».

Proprio la memoria personale inquadra i suoi scritti nel genere autobiografico, riformulato con un’originalità ed una capacità introspettiva che fanno della sua storia la storia di tutti e di ognuno: così che in lei finiamo per ritrovare un frammento di noi stessi.

Con Mémoire de fille, Ernaux prende fiato e si tuffa in un passato doloroso di adolescente e ragazza, colta durante una fragile cesura della vita che trasforma e rivela, non senza dolore.

Con inquietudine, la scrittrice asseconda infine la sua necessità di ritrovare quella giovane ormai «scomparsa dalle coscienze degli altri, da tutte quelle coscienze imbrigliate tra loro in quel luogo preciso dell’Orne, durante quell’estate precisa […]». La necessità di rientrare nei propri vecchi panni, reimmergersi nei sensi e nelle emozioni di quel lontano 1958.

Non è una decisione presa a cuor leggero ma maturata nel corso degli anni: perché a lungo «ho voluto dimenticarla anch’io, quella ragazza. Dimenticarla davvero, ossia non avere più voglia di scrivere di lei. Non pensare più di dover scrivere di lei, del suo desiderio, della sua follia, della sua idiozia e del suo orgoglio, della sua fame e del suo sangue prosciugato. Non ci sono mai riuscita. Nel mio diario sempre frasi, allusioni a “la ragazza di S”, “la ragazza del ‘58”. Sono vent’anni che annoto “58” nei miei progetti di libri. È il testo mancante, sempre rimandato. Il buco inqualificabile». E così, riecco quell’estate del 1958, l’estate dei 18 anni, del primo allontanamento dal nido della casa, dalla cura dolce ma esasperante dei genitori.

Con i suoi occhiali spessi, l’aria studiosa e piccolo borghese, attraversa sola la soglia della colonia estiva in cui svolgerà il ruolo di educatrice e, ne è sicura, muoverà i primi passi verso la ragazza cresciuta ed indipendente che già quasi è, che tra un attimo sarà.

Ha ragione, sarà davvero un taglio netto, uno stravolgimento: ma dall’altra parte nessuna identità certa l’attende, nessuna Sé dai contorni definiti, dalle solide radici.

Tante volte ci si perde e ci si ritrova, nella vita: ma forse mai con la stessa intensità e lo stesso sgomento della giovinezza, quando l’infanzia si sgretola alle nostre spalle e la sete di futuro, di costruzione attiva, non trova sollievo. Annie s’innamora (ma è vero amore?), si lancia a capofitto in un mondo nuovo, giovane, chiuso entro i confini della colonia, dove ogni sregolatezza e violazione delle norme familiari pare possibile ed invitante.

Poi, d’un tratto, si vede con gli occhi degli altri: da «ragazza viziata dai genitori, studentessa brillante» si ritrova «oggetto di scherno e di disprezzo». Quando fa ritorno non è più la stessa: ha scoperto i confini del proprio corpo, i limiti dell’ideale che le riempiva la testa. Continua a sognare ma c’è un vuoto che non si colma. Immagina una nuova estate, il ritorno nella colonia; ma chi è la ragazza della colonia? Quale collante può ricomporre la Annie del passato e dei genitori, la Annie studentessa, la Annie del futuro cui anela aderire?

Come conciliare la «felicità del gruppo», la volontà di «continuare ad essere una di loro» e di appartenere a qualcosa o a qualcuno, con il prezzo dell’«umiliazione»? Annie riprende gli studi ma non ritrova la sua strada, non sa più quello che vuole e che può: il suo destino è davvero quello di elevarsi, tramite la cultura, al di sopra della sua classe sociale, delle sue origini? Improvvisamente «studiare non rappresenta più la felicità sperata», le ambizioni decadono, cedendo al «futuro che la società e il Ministero […] hanno preparato per i figli dotati dei contadini, degli operai e degli osti».

Come una scultrice, con la pura franchezza che fa della sua scrittura un’esperienza senza eguali, Ernaux lavora la materia rozza e inconsistente del ricordo con parole affilate, senza edulcorare ciò che deve essere restituito così com’è stato vissuto, persino con crudezza.

Recupera vecchie foto, cerca di ritrovare il pensiero e il sentire della sé di un tempo in quegli occhi miopi, in quelle pose a volte studiate con cui la bambina cerca di diventare donna. Insegue quella “ragazza del ‘58” nelle settimane, nei mesi che seguono, nel gorgo che la ingoia e la cancella alla propria stessa coscienza. La battaglia che Annie ha intrapreso contro se stessa si traduce in una lotta segreta con il cibo, vissuta come una perversione, una colpa, senza le parole per spiegare, anche a se stessa, l’«infernale circolo vizioso». Si vergogna di quel «sangue prosciugato» che traduce, con la sua assenza, la perdita del sé, la glaciazione che all’improvviso ferma il suo tempo interiore mentre tutt’intorno il mondo corre.

Poi arriva il momento dello strappo, delle promesse infrante: consapevole di aver intrapreso una strada che porta ad un vicolo cieco, seppur a rischio di deludere le speranze paterne, Annie parte per l’Inghilterra come ragazza alla pari, con la complicità di un’amica con cui condivide esperienze e follie.

Chi è Annie? Chi sarà? La crescita, il cambiamento con le sue seduzioni ed i suoi terrori, sono i veri protagonisti di un romanzo che non vuole celare nulla né tacere le pieghe nascoste di un animo e di una vita. «Il tempo davanti a me si accorcia. Ci dovrà essere un ultimo libro, come c’è un ultimo amante, un’ultima primavera, ma nessun segnale per saperlo prima. L’idea che potrei morire senza aver scritto di colei che presto ho preso a chiamare “la ragazza del ‘58” mi ossessiona. Un giorno non ci sarà più nessuno per ricordarsene. Ciò che è stato vissuto da quella ragazza, e da nessun’altra, resterà inspiegato, vissuto invano».

Salvare i frammenti, gli istanti, i volti dispersi e cancellati, il tempo che è stato e non sarà più. Salvare il proprio vissuto umano, unico ed insieme collettivo, lasciare una traccia non per vanità, per desiderio di gloria o di esibizione, ma per evitare un intollerabile spreco di esperienza. E forse anche per non lasciar precipitare le proprie molteplici identità nel buco nero della vergogna, del non meritevole.

Perché raccontarsi e raccontare può essere un antidoto e una risposta al silenzio dell’eternità.

Non è un caso che Annie ci accolga nel suo mondo con una citazione tratta dalla scrittrice Rosamond Lehmann: «Dopo tutto non faceva poi tanto male. Certamente non più di quanto potesse sopportare in segreto senza darlo a vedere. Era stata tutta esperienza, vale a dire una cosa salutare. Adesso si sarebbe potuto scrivere un libro […]»

Giulia Riva
Laureata in Storia, sto proseguendo i miei studi in Scienze Politiche, perché amo trovare nel passato le radici di oggi. Mi appassionano la politica e l’attualità, la buona letteratura e ogni storia che valga la pena di essere raccontata. Scrivere per professione è il mio sogno nel cassetto.

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