Del: 28 Marzo 2023 Di: Luca Pacchiarini Commenti: 0

Ovviamente non il miglior film del regista, certamente non il miglior esempio di sceneggiatura di commedia all’italiana, ma sicuramente un film che oggi non verrebbe mai prodotto, forse neanche ideato.

Uscito nel 1979, L’ingorgo è diretto da Luigi Comencini e scritto da lui con Ruggero Maccari e Bernardino Zapponi; l’idea alla base è ambiziosa: una serie di personaggi rimangono imbottigliati nel traffico, tra le macchine alcuni si relazionano tra di loro, altri si isolano, tutto in una gigantesca coda che pare bloccare la nazione. Numerosi sono i personaggi di questo film corale, molti interpretati da grandissimi attori come l’avvocato ricco e socialista che pretende di comprare tutto coi soldi (Alberto Sordi), un divo del cinema oramai al tramonto ma che tutti ancora acclamano (Marcello Mastroianni), un triangolo amoroso tra un professore e i suoi studenti (Ugo Tognazzi, Gerard Depardieu e Miou-Miou), una hippie, un fattorino di omogenizzati, un gruppo di ragazzi pettinati e borghesucci, un uomo che scandisce il tempo in base a quanto può fare sesso o fumare, un gruppo di malavitosi, dei ragazzi politicizzati stereotipati, una famiglia napoletana che cerca di convincere la figlia giovane ad abortire, due coniugi che oscillano continuamente tra amore e divorzio, un’ambulanza con un ferito grave che fa troppo rumore (Ciccio Ingrassia).

Tante vicende in una storia di frammenti, nuclei che si legano in maniera stretta o larga.

Comencini, come già aveva ampiamente dimostrato in pellicole come, è un maestro nel giocare con i toni drammaturgici, qui questa abilità viene messa ad una prova durissima: una narrazione di micronarrazioni che si costituisce tanto dal loro legale quanto dal loro non legame. Tutto in un climax continuo che inizia da un attacco comico, leggero e quasi assurdo, per poi discendere nei meandri della parte più orrida della psiche umana, in una notte di prevaricazione, orrore e omertà. Infatti, guardando L’ingorgo, si ride per poi venir sconvolti nel giro di pochi minuti, si passa  in modo sinuoso, mai schizzofrenico, da una storia all’altra, osservando situazioni sempre più tragicomiche che o virano sempre più verso il comico o verso il tragico.

Si esamina così una società, una Italia post boom, post rivoluzioni giovanili, post crisi, che molto sta guadagnando dal progresso, ma l’avanzamento non riesce ad essere anche del tutto sociale, la mente e la cultura delle persone è ora solo in un involucro più lussuoso, più tecnologico ma poco serve per far scattare i modi barbari latenti. L’essere nel traffico, imbottigliati, è questo che fa scattare i personaggi, nel bene e nel male: spesso l’immagine della folla bloccata, del fermo in un luogo atto al movimento, e il traffico in particolare, sono usati come metafore per analizzare l’alienazione e la psiche in sofferenza dell’uomo, basti pensare all’inizio di 8 e mezzo di Fellini. Tutti sanno quanto può essere snervante rimanere imbottigliati, qui questo è radicalizzato all’estremo in maniera coraggiosa, ragionando sul quanto questa società post boom prenda dai cittadini, quanto li sfrutti fin da quanto son bambini, anche fin da prima, tutto scattato dalla nevrosi vissuta da quasi tutti i personaggi.

Comencini stesso disse due cose molto interessanti su questa pellicola: “non è un film catastrofico contro l’automobile ” “è un film che denuncia la disinformazione, il sapere tanto ma male e quindi non sapere nulla perché si ignora il rapporto causa effetto”

Di fatto tutti i personaggi sono immersi nell’ignoranza, dal perché del traffico alle loro certezze che vengono abbattute o trasformate. Uno stato che ben rappresenta la vita nello stato moderno e i danni enormi che può fare e che fa l’ignoranza, quanto facilmente essa cada in atteggiamenti violenti e egoistici. Come lo stesso regista dice non si deve vedere una visione catastrofistica in tutto ciò, un’amara possibilità c’è, forse disperata ma è presente.

Quando uscì l’ingorgo venne accolto positivamente, fu presentato in concorso al festival di Cannes ed ebbe un buon riscontro di pubblico, interessante allora come sia stato oggi abbastanza dimenticato. Le cause si possono trovare negli effettivi difetti della pellicola: una parte centrale più debole rispetto al resto, in cui la narrazione si perde tra i vari frammenti, ma anche l’ecosistema costruito mostra tanto la sua forza quanto i suoi limiti: alcuni personaggi, o meglio alcune vicende in macchina, sono molto più interessanti di altre, alcune sono abbozzate ed è giusto così, altre cadono nel macchiettistico. Un film minore del regista quindi, condito però da una fotografia di altissimo livello, diretta da Ennio Guarnieri, che regala momenti di geniale realismo e poeticità nonostante vi sia inquadrata solo una strada con macchine.

Una storia impossibile, secondo nome con cui è conosciuta la pellicola, che abilmente dà molte stoccate ad un’Italia fine anni 70 a metà strada tra due grandi cambiamenti, il boom e il 68 prima, e un altro successivo che Comencini un po’ anticipa, il neo capitalismo anni 80, l’ipertrofia di opere, siano esse merci, fonti o altro. Un esempio di commedia all’italiana coraggiosa, spietata, che fa saltare il proprio pubblico nei più variegati, e inaspettati, stati d’animo, chiedendo di prendere posizione, chiedendo se serve prendere posizione.

Il film è visibile in qualità non meravigliosa su YouTue oppure in dvd.

Luca Pacchiarini
Sono appassionato di cinema e videogiochi, sempre di più anche di teatro e letteratura. Mi piace scoprire musica nuova e in particolare adoro il post rock, ma esploro tanti generi. Cerco sempre di trovare il lato interessante in ogni cosa e bevo succo all’ace.

Commenta