Del: 3 Marzo 2023 Di: Thomas Brambilla Commenti: 0
La Spagna di Sánchez all’insegna della giustizia sociale

Pedro Sánchez, docente universitario ed economista spagnolo, oltre ad essere dal 2017 il segretario generale del PSOE (Partido Socialista Obrero Español), è ormai il presidente del governo spagnolo da ormai circa quattro anni e mezzo, carica che nella monarchia spagnola corrisponde a l’equivalente della Presidenza del Consiglio italiana. Infatti, dopo la piuttosto breve parentesi del primo governo presieduto da Sánchez, durato meno di un anno, si è insediato, dopo uno stallo istituzionale di circa sei mesi, il governo Sánchez II che è attualmente in carica nel paese iberico.

L’assenza di maggioranze chiare e definite ha portato, dopo un periodo di diffidenza, ad un importante accordo fra i due partiti principali di una coalizione di centrosinistra (PSOE e Podemos) che ha permesso di far nascere quello che ad oggi è definito da più parti come il governo più progressista d’Europa.

Il governo Sánchez II si è insediato nel gennaio del 2020 e si sostiene su una maggioranza formata essenzialmente da quattro partiti: PSOE, Podemos, Partito Socialista di Catalogna, Izquierda Unida (in ordine di rappresentanza parlamentare),

insieme all’appoggio esterno di alcuni partiti indipendentisti, elemento da sempre cruciale nelle fasi di formazione dei governi in Spagna.

Il fondatore di Podemos Pablo Iglesias Turrión. Professore di Scienze Politiche a Madrid, è stato Vicepresidente nel governo Sanchez II fino alla primavera del 2021

Il periodo storico e il contesto socio-economico in cui si è trovato ad operare fin dai primi giorni questo esecutivo non è stato in nessun modo stabile ed ordinario: la pandemia di covid-19, che da lì a poco avrebbe travolto l’Europa intera colpendo profondamente anche la Spagna, e in seguito le conseguenze innescate dall’invasione russa dell’Ucraina a partire dal febbraio del 2022, hanno condotto il governo Sánchez II, come tutti gli altri governi europei, ad operare in un contesto di policrisi come quello in cui si trova l’Europa attualmente, ovvero una situazione di crisi che colpisce e agisce contemporaneamente su più livelli generando elevate situazioni di precarietà sotto il piano economico e sociale.

Proprio da questa realtà di fatti è emersa fin dai primi giorni dall’insediamento la possibilità per il governo spagnolo di affrontare questa crisi tenendo come faro d’azione i concetti di solidarietà e giustizia sociale, cercando di tutelare in gran parte le fasce meno protette della popolazione e applicando politiche redistributive con l’obiettivo ultimo di favorire l’integrità e la coesione di una nazione che sarebbe entrata in un periodo complicato, che avrebbe coinvolto tutti ma senza dubbio colpito duramente alcuni più di altri.

Il primo dei grandi aspetti sociali su cui sono andate ad incidere le politiche del governo spagnolo è stato quello del lavoro.

Si è infatti portata a compimento una storica riforma ottenuta non senza frizioni e conflitti fra parti sociali, che si regge su due importanti pilastri sia dal punto di visto concreto che maggiormente simbolico e sperimentale, e che fa della Spagna di oggi un esempio trainante a livello europeo per quanto riguarda la legislazione giuslavorista e il diritto del lavoro.

La riforma, voluta fortemente dalla Ministra del Lavoro Yolanda Díaz, si è infatti incentrata principalmente su una corposa spinta di contrasto al lavoro precario tramite la ricerca di una svolta che potesse incentrarsi sul ripristino di una maggiore rigidità del mercato del lavoro al fine di ampliare le tutele di cui godono direttamente i lavoratori.

La Ministra del Lavoro e delle Politiche sociali per l’economia Yolanda Díaz nel 2020

Il completamento di questo obiettivo è passato e passerà attraverso un’importante incentivazione dei contratti a tempo indeterminato, e un parallelo grande freno nell’utilizzo di contratti a tempo determinato, anche talvolta con penali malus indirettamente proporzionali alla durata del contratto in caso di non rinnovo da parte dell’azienda.

Una serie di tipologie contrattuali strutturalmente precarie sono state inoltre abolite e il governo si è promesso di portare avanti un monitoraggio costante dei risultati che terminerà con delle conclusioni parziali nel gennaio del 2025.

Sullo stesso versante inoltre sono stati approvati importanti provvedimenti riguardanti l’adozione, in via sperimentale, della settimana lavorativa di 4 giorni (32 ore) per alcuni settori aziendali interessati, un progetto che, com’è stato ampiamente dimostrato, non incide negativamente sulla produttività dei lavoratori, e del congedo mestruale, strumento tramite il quale la Spagna si dimostra precursore fra gli Stati europei e che permette tre giorni di astensione tutelata e giustificata dall’attività lavorativa per tutte quelle lavoratrici con ciclo mestruale particolarmente doloroso e invalidante.

Tutto ciò è stato inoltre seguito dal miglioramento di un ulteriore importante accordo portato a termine nel febbraio dell’anno scorso, con cui il governo spagnolo ha fissato una soglia di salario minimo per tutti i lavoratori a 1.000 euro netti con 14 mensilità dopo aver concluso un accordo con i sindacati e incassato il parere contrario delle due principali associazioni imprenditoriali spagnole (la CEOE e la CEPYME). Pochi giorni fa infatti la soglia minima è stata ulteriormente alzata a 1.080 euro in modo da garantire ai consumatori un maggiore potere d’acquisto in questo periodo di elevata inflazione.

Ma il fulcro dell’azione del governo trainato da Sánchez è emerso in maniera preponderante nella legge di bilancio per l’anno 2023,

quella che in Spagna viene chiamata ley presupuestos, varata nel pieno della guerra in Ucraina che, com’è noto, ha alterato molti equilibri economici, prodotto fenomeni inflazionistici e posto le basi di una crisi energetica.

Le intenzioni dell’esecutivo sono state chiare sin da subito: cercare di impedire speculazioni di mercato dovute alle oscillazioni dei prezzi delle materie prime e porre un argine alle disparità con cui i vari gruppi sociali avrebbero affrontato questa crisi storica, in grado di compromettere fortemente la tenuta sociale del paese. Il risultato finale contenuto nel provvedimento è un insieme di norme che pongono al centro un incremento significativo della spesa sociale complessiva e un aumento di tasse per quei gruppi economici che hanno beneficiato di guadagni straordinari derivati dalle molteplici crisi degli ultimi mesi.

Per quanto concerne il primo punto sono stati portati avanti degli aumenti riguardanti l’ingreso minimo vital (politica equivalente al nostro reddito di cittadinanza, che in Spagna coinvolge una platea di 1,2 milioni di persone), che viene incrementato nel suo importo di una quota pari all’8,5%, e nel cosiddetto iprem, un indice su cui viene calcolato il livello delle prestazioni sociali di sostegno economico come sussidi e altri aiuti pubblici, che cresce invece del 3,6%.

In un periodo storico come quello attuale provvedimenti simili riducono notevolmente l’impatto che l’inflazione ha sul potere d’acquisto di individui e gruppi sociali.

Parallelamente è stata poi portato avanti l’azzeramento dell’IVA sugli alimenti di base, una misura importante di “protezione delle classi medie e lavoratrici”, come dichiarato dal capo del governo.

Nel complesso poi, oltre a confermare un provvedimento ottimo in grado di coniugare benefici ambientali e sostegno economico come la gratuità dei mezzi pubblici urbani e di tratte di media percorrenza, sono aumentati anche i fondi di spesa per la fascia giovanile della popolazione, a cui sono destinati in totale quasi 13 miliardi, molti dei quali diretti a sostenere il bono alquiler finalizzato alle spese d’affitto, per il contrasto alla violenza di genere, il sistema di accoglienza dei migranti e per la sanità (a cui va rispettivamente un aumento di fondi percentuale pari al 15%, 31% e 7%).

Sul piano fiscale invece, l’indirizzo politico del governo Sánchez si era dimostrato già fortemente volto verso una progressività del sistema in ottica redistributiva, e questa tendenza è stata dimostrata anche nell’ultima legge di pianificazione economica per il prossimo anno. Il governo prevede di recuperare circa 10 miliardi tramite un provvedimento temporaneo (in vigore per il 2023 e il 2024, ma con la possibilità di essere confermato permanente) che va a generare un aumento del livello di prelievo fiscale di banche e compagnie energetiche, che hanno tratto indirettamente enormi vantaggi dalla crisi in atto, e in una patrimoniale applicata in senso progressivo per i redditi superiori a 3 milioni di euro.

Risulta difficile non constatare come l’azione politica del governo Sánchez abbia interpretato, seppur con vari limiti, una richiesta di giustizia sociale fortemente presente in Spagna da diversi anni traducendola in provvedimenti pratici proprio nel momento di maggiore bisogno.

Nell’autunno del 2023 i cittadini spagnoli saranno chiamati alle urne, e sarà interessante notare se la direzione intrapresa dalla coalizione di centrosinistra saprà premiare la stessa riconfermandola al governo o se si assisterà ad una svolta a destra anche nel paese iberico dove i primi sondaggi segnano un leggero vantaggio del Partido Popular (PP) sul PSOE.

Thomas Brambilla
Sono studente in scienze politiche e filosofiche alla Statale di Milano. Mi piace riflettere e poi scrivere, e fortunatamente anche riflettere dopo aver scritto. Di politica principalmente, ma senza porsi nessun limite.

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