Noi di Vulcano crediamo che la lotta contro ogni forma di discriminazione sia un lavoro quotidiano da portare avanti collettivamente, un lavoro che richiede determinazione e la capacità di trasformare il senso di ingiustizia da cui spesso veniamo colti – con la rabbia e il senso di impotenza che ne possono derivare – in qualcosa di propositivo, in una spinta al cambiamento. Alla luce di queste considerazioni, pur essendo un giorno di lotta come tanti altri, l’otto marzo rappresenta per noi l’occasione per raccogliere le nostre voci e farle arrivare ancor più lontano, per metterci gli uni di fronte agli altri e chiederci: a che punto siamo arrivati?
Di seguito, dunque, ecco alcune delle riflessioni e dei temi che sono emersi in questa importante occasione di confronto.
“Il diritto di contare”
Ancora oggi, nel 2023, dopo anni di lotte e di proteste, che hanno portato a piccoli miglioramenti nella società, noi donne non abbiamo ancora ottenuto pienamente il diritto più importante che ci spetta: il diritto di contare.
Voglio avere il diritto di contare come persona, non come pezzo di carne, girare per strada con serenità, senza fischi e clacson che suonano, di parlare di ciò che mi è successo senza che la prima domanda che mi viene rivolta sia «ma com’eri vestita?».
Voglio avere il diritto di contare per le mie capacità, sia nello studio che nel lavoro, di essere valorizzata per gli obiettivi che ho raggiunto, senza dare per scontato che «massì, per esserci riuscita l’avrà data via a qualcuno» e di essere premiata per ciò che so fare senza sentirmi chiedere «mi scusi ma lei è mamma?». Voglio avere il diritto di contare per le mie idee, politiche e sociali, senza sentirmi dire che «tanto sei una donna, cosa vuoi capirne».
Voglio che anche il mio corpo abbia il diritto di contare, che venga rispettato, tutelato e difeso per il modo in cui scelgo di usarlo. Di non essere definita una «troia» o una «figa di legno» per il modo in cui vivo la mia sessualità. Voglio che la mia voce e le mie parole abbiano il diritto di contare quando dico «no»; quando denuncio una violenza, a prescindere da quanto tempo ci metterò a farlo. Voglio che la mia emotività possa contare, perché non ho sempre il ciclo, e a volte ho solo bisogno di piangere, di felicità o di tristezza.
Ma sempre oggi, 8 marzo 2023, l’unica cosa che vorrei poter smettere di contare sono i numeri: alla fine del 2022 sono state 120 le donne uccise; da inizio 2023 sono già 8. In Italia i dati Istat testimoniano che il 31,5% delle donne ha subìto nel corso della sua vita violenza fisica o sessuale, psicologica o economica, da parte di familiari, partner ed ex partner. Nel 2021 si è registrato un accesso di 7 milioni di donne al Pronto Soccorso, di cui 6300 con diagnosi di violenza.
In ambito lavorativo, circa il 5% delle donne hanno subìto incidenti e infortuni sul posto di lavoro. Tra le maggiori vittime, circa il 60%, le lavoratrici di ambiti sanitari e sociali. Altre invece sono state vittime di contatti indesiderati, titoli o battute non richiesti e mancanza di rispetto per il proprio ruolo. Nel mese di maggio 2020, dopo l’emergenza sanitaria, delle 307.000 persone che cercavano lavoro ben 227.000 erano donne. E, secondo i dati Istat, le donne lavoratrici guadagnano il 15% in meno dei loro colleghi uomini.
Il traguardo più grande, in occasione della Giornata Internazionale della Donna, giunti al 2023, sarebbe poter smettere di contare i numeri e rendere invece tutte le donne persone che contano.
Di Matilde Elisa Sala
Il valore di pensare-contro
Deculturalizzarsi. Disacculturarsi a partire dalla maternità, non dare figli a nessuno. Sbarazzarsi della dialettica servo-padrone. Strapparsi dal cervello l’inferiorità. Restituirsi a se stesse. Non avere antitesi. Muoversi su un altro piano in nome della propria differenza. […] La donna è l’altra faccia della terra. La donna è il Soggetto Imprevisto. Liberarsi dalla sottomissione, qui, ora, in questo presente.
Sono parole che l’autrice Elena Ferrante mette in bocca al personaggio di Lenù (L’amica geniale. Storia di chi fugge e di chi resta) quando, nel pieno dell’ondata femminista degli anni ‘70, si scopre e riscopre, si libera dall’inerzia della vita domestica in cui era invischiata e si consacra ad una dolce effervescenza intellettuale che finalmente la restituisce a se stessa, la equipara a quel marito-accademico di cui si era fatta serva. E aggiunge: «Ho faticato tanto sui libri, ma li ho subìti, non li ho mai veramente usati, non li ho mai rovesciati contro se stessi. Ecco come si pensa. Ecco come si pensa contro».
Questa dev’essere la missione, l’impegno, di tutti i giorni e di ognuno: coltivare il pensiero critico, andare oltre le credenze consolidate, non temere di usare la propria testa, rovesciare i “testi sacri” e le gerarchie sociali che abbiamo ereditato come eterni ed immutabili. Perché non è una singola giornata che fa la differenza né una singola minoranza discriminata a dover rivendicare diritti e riconoscimento.
Riconoscere il valore di pensare-contro. Abbattere tutti i preconcetti, tutto il “dato per scontato” che non intralcia solo le donne ma ogni membro del genere umano; che limita il potenziale, taglia le gambe al futuro. Priva il mondo di voci e contributi unici; delle differenze che non vanno negate ma rivendicate. Dunque, questo 8 marzo e ogni giorno, continuare a lottare perché, con le parole di Simone de Beauvoir, «Nulla era risolto, tutto restava possibile».
Di Giulia Riva
La dignità che meritiamo
L’8 marzo ricorre la Giornata internazionale della donna. No, non deve essere considerata una festa, ma un’occasione per fermarsi e riflettere. Lo scopo di questa ricorrenza altro non è che un monito: tutti i sacrifici, i traguardi faticosamente raggiunti dalla popolazione femminile da un secolo a questa parte non sono ancora abbastanza. Si obietterà superficialmente che le donne non dovrebbero lamentarsi: possono votare, ottenere il divorzio, ricoprire le stesse posizioni lavorative degli uomini. E allora, perché è tanto necessario istituire una giornata dedicata alle donne?
Perché in Iran le donne muoiono per aver messo male il velo sul capo. Perché in Ucraina, e non solo, viene ancora perpetrata la pratica tanto antica quanto oscena degli stupri di guerra. Perché le madri afghane per salvare se stesse e le loro figlie dall’oppressivo regime dei talebani perdono la vita nel mar Mediterraneo. Per non dimenticarsi di tutte le spose bambine in Bangladesh e delle giovanissime somale nei campi profughi che faticano a trovare un sorso d’acqua per i loro bambini. Perché si pensi alle donne violentate e brutalmente uccise in America Latina e si condanni il turismo sessuale, che spesso coinvolge minorenni, nel Sud-est asiatico.
E anche se le comunità occidentali possono considerarsi all’avanguardia per quel che riguarda i diritti delle donne e le pari opportunità, questa giornata deve servirci per tenere ben presente che non si deve per nessuna ragione abbassare la guardia. Le estenuanti e faticose lotte compiute da chi ci ha preceduto per inserire nell’articolo 3 della Costituzione italiana che tutti i cittadini sono uguali «senza distinzioni di sesso» non possono essere sprecate. E non è sufficiente un femminismo meramente performativo. Non serve avere donne che ricoprono cariche prestigiose se poi si dimostrano sleali nei confronti del proprio stesso genere.
La vera uguaglianza non sarà ottenuta fino a quando non riusciremo nel concreto a sradicare gli stereotipi di genere dalle nostre società. Un uomo violento non è folle d’amore. Una donna non è per forza una madre. Chi denuncia uno stupro non cerca attenzioni. L’abbigliamento non giustifica la violenza. Tutti concetti fortemente diffusi nella cultura popolare, spesso amplificati dai mezzi di comunicazione e che dovrebbero, invece, indignare.
Ecco cosa ha spinto a stabilire una data intitolata alle donne: pregiudizi, odio e violenza. Saremmo quindi ben contente di non doverla segnare ogni anno sul calendario. Ma continuerà ad essere fatto, fino a quando tutte le donne del mondo non avranno riconosciuta la dignità che meritano.
Di Nina Fresia
Quei dettagli che tali non sono
In Italia l’8 marzo del 2023 verrà probabilmente ricordato come la prima Giornata Internazionale della donna in cui la carica di presidente del consiglio è rivestita da una leader di sesso femminile. Quante volte, dalla fine di settembre ad oggi, le donne italiane sono state invitate a rallegrarsi per questa presunta conquista, nonostante le evidenti contraddizioni di una premier che è talmente consapevole del significato simbolico che il suo traguardo rappresenta per il paese da chiedere espressamente che a lei ci si rivolga con l’appellativo «il Signor Presidente del Consiglio».
Sono dettagli, hanno sostenuto coloro che sono notoriamente attenti solamente alla sostanza delle cose, vale a dire, per esempio, alle reali competenze delle persone. Le quote rosa, per esempio, sarebbero non solo inutili ma anche dannose, poiché il vero criterio di selezione dovrebbe basarsi sulle competenze e non sul sesso del candidato. Dicono sempre quelli che «Giorgia Meloni presidente è un traguardo perché è donna», e tanti saluti a chi fa notare che essere una donna non è garanzia di difendere i diritti delle donne.
Lasciamola lavorare, hanno detto quelli che si sono guardati bene dal criticare la ministra Eugenia Roccella per la nota risposta data alla domanda «l’aborto fa parte di una libertà delle donne?». «Purtroppo sì», ha asserito la ministra per la famiglia, la Natalità e le Pari opportunità. Scelta dal Signor Presidente del Consiglio, si intende. Ma sono dettagli, non ci si può indignare per un avverbio di troppo, e mica si vorrà criticare la scelta di menzionare soltanto per nome le donne che, secondo Meloni, «hanno costruito la scala che oggi permette a me di rompere il tetto di cristallo». Dettagli anche quelli, dopotutto perché accusare la premier di infantilizzare le donne che cita solo per averne omesso il cognome durante il suo discorso di insediamento.
Lei sì che difende le donne, hanno detto coloro secondo i quali, usando le parole pronunciate da Meloni in un’intervista a Grazia, il fatto che oggi ci siano persone che rivendicano «il diritto unilaterale di proclamarsi donna oppure uomo al di là di qualsiasi percorso, chirurgico, farmacologico e anche amministrativo» andrebbe a discapito delle donne. Meloni non specifica in che modo coloro per cui sesso e genere non coincidono minaccerebbero le donne, ma sono dettagli, per carità.
Non è un dettaglio, invece, che l’8 marzo 2023 in Italia ci sia chi, a una «donna, madre e cristiana», contrappone il suo essere una donna che ama un’altra donna, e aggiunge di non essere una madre sottolineando che ciò non significhi essere meno donna. Se ci fosse bisogno di qualcuno che ce lo ricorda, per fortuna quel qualcuno c’è. E chiamiamola Schlein, non Elly.
Di Erica Ravarelli
L’assoluzione di Berlusconi è stata uno schiaffo a tutte le donne
Assolto perché il fatto non sussiste. La sentenza relativa al processo Ruby ter, a favore di Silvio Berlusconi, è stata uno schiaffo alla nazione. E a tutte le donne.
Perché il processo Ruby, iniziato nel 2010, prende persino il nome dalla ragazza protetta dall’allora presidente. I media ne hanno parlato per lungo tempo come la storia delle donne che si vendono agli uomini potenti, e non come quella di un presidente che veniva indagato per corruzione e si faceva conoscere al mondo come l’uomo del bunga bunga. Perché, dal momento che Berlusconi gridava allo scandalo della persecuzione politica, condotta ficcando il naso nella sua vita privata, i giornali hanno tanto scritto delle serate nella villa di Arcore, arrivando persino a coniare dei neologismi. Arcorine e olgettine, dal nome della via in cui si trova casa Berlusconi. Nell’Italia delle veline, creata dalle sue televisioni, si è lavorato su quello che era un terreno fertile, il machismo, per svalutare la parola delle donne.
Sarà un caso, ma nessuna delle olgettine ha più parlato. Qualcuna ha scritto un libro in suo onore, rilasciato dichiarazioni a favore. Nel 2021 i loro verbali sono stati considerati inutilizzabili. Lo scorso 15 febbraio si è giunti all’assoluzione per falsa testimonianza. Mentre a carico di Berlusconi pendeva un’accusa di corruzione per cui la procura aveva chiesto sei anni di reclusione.
Abbiamo dunque diversi motivi per essere amareggiate. Ma un libro voleva scriverlo anche Imane Fadil, testimone chiave dell’accusa, allora aspirante conduttrice tv e poi morta a 34 anni in circostanze a dir poco inquietanti, quando nel 2019 è stata ricoverata all’Humanitas e nel suo corpo sono state rinvenute sostanze radioattive non disponibili in commercio. Prima di morire, Fadil aveva detto che avrebbe parlato. A lei va il nostro pensiero oggi.
Di Laura Colombi
Abbandonare falsi paradigmi
Le donne, sebbene generalmente superiori agli uomini in qualità morali, sono intellettualmente inferiori.
Charles Darwin
A chi ancora sostiene questa frase, ricordiamo la storia di:
Ipazia (355-410), astronoma, matematica e filosofa alessandrina, anticipatrice della teoria eliocentrica.
Trotula di Ruggiero (XI-XII secolo), insegnante della Scuola Medica Salernitana e autrice di saggi su ostetricia, dermatologia e ginecologia.
Dorotea Bucca (1360-1436), docente di medicina e filosofia all’Università di Bologna. Prima docente universitaria donna del mondo occidentale.
Sophia Brahe (1559-1643), astronoma danese, co-scopritrice insieme al fratello Tycho della supernova SN 1572, importante passo verso la confutazione definitiva del geocentrismo.
Maria Sibylla Merian (1647-1717), botanica ed entomologa tedesca, grazie ai suoi studi introdusse agli europei la straordinaria biodiversità della foresta tropicale.
Mary Wortley Montagu (1689-1762), nobildonna inglese, introdusse la pratica vaccinale in Europa.
Émile du Châtelet (1706-1749), matematica e filosofa naturale francese, amica personale di Voltaire e prima scienziata a sottolineare l’importanza dell’energia cinetica.
Mary Anning (1799-1847), inglese, madre della paleontologia. Le sue scoperte furono fondamentali per l’abbandono del creazionismo.
Marie Sklodowska-Curie (1867-1934), scienziata franco-polacca, scopritrice della radioattività. Doppio premio Nobel per la fisica nel 1903 e nel 1911.
Maud Menten (1879-1960), dottoressa canadese attiva in chimica e fisica. Co-formulatrice dell’equazione di Michaelis-Menten, che definisce la cinetica degli enzimi e scopritrice di diverse tossine batteriche.
Gerty Cori (1896-1957), scienziata ceco-americana attiva in biochimica, co-scopritrice del meccanismo di metabolismo dei carboidrati noto come Ciclo di Cori. Premio Nobel in medicina nel 1947.
Rosalind Franklin (1920-1958), cristallografa britannica, le sue osservazioni permisero a Watson e Crick di definire la struttura a doppia elica del DNA.
Margherita Hack (1922-2013), astronoma e divulgatrice scientifica italiana, prima direttrice dell’Osservatorio Astronomico di Trieste e Cavaliere di Gran Croce della Repubblica Italiana per la propria opera educativa.
E tante altre ancora…
Di Simone Santini