Del: 16 Marzo 2023 Di: Elisa Basilico Commenti: 0

Candidato alle elezioni, nel 2020 Joe Biden promette: «Basta trivellamenti su terre federali». Oggi, annuncia il contrario. È stato approvato questo lunedì il progetto da 8 miliardi di dollari che vedrà parte dell’Alaska puntellata da trivelle.

Il presidente americano e l’azienda ConocoPhillips sono giunti a un accordo che stima una produzione di circa 600 milioni di barili nel corso di tre decadi, con un picco di 180mila barili al giorno e il rilascio di 280 milioni di tonnellate di CO2 in aggiunta ai 5.6 miliardi d’emissioni annue.

Il cosiddetto Willow Project prevede infatti la trivellazione di petrolio e gas in tre siti.

Questo rispetto ai cinque richiesti inizialmente, nella finora intoccata National Petroleum Reserve, che si estende per 9.3 milioni di ettari e costituisce il più grande tratto di terreni pubblici degli Stati Uniti, considerato anche l’ultima frontiera del clima.

Fino a questo momento è stato il Congresso a spingere Biden verso l’approvazione di contratti petroliferi. Willow si prospetta come uno dei pochi che il presidente ha approvato di sua sponte, senza un mandato giuridico o incentivi congressuali, dopo un processo iniziato nel gennaio 2017 con l’amministrazione Trump.

C’è però chi sostiene che la decisione non sia stata così semplice.

In effetti, è più di due decenni che la società texana ha mantenuto attivi dei contratti di locazione. Accordi, cioè, che permettono il godimento d’un bene, in questo caso i siti di perforazione, in cambio di un corrispettivo in denaro. Il rifiuto totale d’un permesso di trivellazione, secondo alcuni avvocati, avrebbe innescato una causa da 5 miliardi di dollari.

«Il contratto di locazione non dà alla Conoco il diritto di fare quello che vuole, ma comprende alcuni diritti [di cui] l’amministrazione deve tenere conto – ha detto John Leshy, che ha servito come avvocato del Dipartimento degli Interni sotto Bill Clinton – Non direi che avevano le mani legate, ma le loro opzioni erano limitate».

Una vittoria non solo per molti legislatori federali, ma anche per quei gruppi indigeni iñupiaq che vedono il progetto come una delle poche opportunità occupazionali ormai disponibili.

«Vorrei ringraziare il presidente per aver ascoltato la voce degli abitanti quando ce n’era più bisogno» comunica a CNN Mary Peltola, prima nativa alaskana eletta al Congresso.

Una dichiarazione ricca di (ingenuo?) ottimismo e simile alle parole della senatrice repubblicana Lisa Murkowski, la quale già vede il futuro dello Stato «illuminarsi […] grazie alla creazione di migliaia di nuovi posti di lavoro, che genereranno miliardi di dollari in profitti» e «miglioreranno la qualità di vita in una zona così isolata».

Eppure è proprio la popolazione nativa che ha storicamente dovuto subire l’impatto della politica inquinante statunitense.

Così sostiene anche Rosemary Ahtuangaruak, sindaco della città di Nuiqsut la cui comunità di 525 persone è la più vicina allo sviluppo proposto. Preoccupata per l’impatto sullo stile di vita dei residenti, esterna questo alla testata AP News: «I miei elettori e la comunità sopporteranno il peso di questo progetto con la nostra salute e i nostri mezzi di sostentamento».

Anticipando scontenti, la Casa Bianca ha annunciato una riforma che dovrebbe impedire scavi in 16 milioni di acri in Alaska e nel Mare di Beaufort nell’Oceano Atlantico, chiudendo le acque da possibili esplorazioni petrolifere.

L’assenza d’una zona offshore assicura che l’habitat per balene, orsi polari e caribù «sarà protetto in perpetuo dallo sviluppo estrattivo». Questo, almeno, contiene il comunicato ufficiale.

L’annuncio della proposta ha fatto poco per ridurre lo sdegno, fra gli altri, degli attivisti, che la considerano una semplice azione performativa facilmente annullabile da un governo successivo. Il gruppo Earthjustice ha addirittura avviato pratiche per la denuncia, sostenendo che il governo avesse in realtà l’autorità necessaria per negare le richieste di ConocoPhillips.

Che Biden sia motivato dalla crisi energetica dovuta alla guerra in Ucraina o prosegua una politica di autosufficienza, ha compiuto una scelta controversa: ormai lontano dalla sua posizione iniziale, preferisce un’identità sempre più centrista, in attesa forse della candidatura al secondo mandato.

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