Lo scorso lunedì, 20 marzo, è stato pubblicato il nuovo rapporto di valutazione (AR6) delle condizioni climatiche mondiali da parte dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) dell’ONU.
Se da tempo, purtroppo, ci stiamo abituando ad ascoltare esperti del settore che richiamano l’attenzione sulle condizioni estremamente rischiose a cui stiamo andando in contro, questa pubblicazione suona come un monito, un grave sollecito. Un punto fermo che la comunità scientifica, nella molta documentazione presa in esame, pone sulla necessità di misure immediate, forti e drastiche.
Ciò che colpisce di più nel rapporto dell’IPCC sono le speranze che gli esperti ripongono nel riuscire ad attestare il riscaldamento climatico medio a +1,5°.
Se nel precedente rapporto (2014, che poi ha portato alla conferenza di Parigi del 2015) l’obiettivo da raggiungere entro il 2030 sembrava molto difficile ma più che possibile, ora c’è chi lo definisce “piuttosto improbabile”.
Ma perché è così importante rimanere sotto, o poco al di sopra, del +1,5°? Anzitutto l’aumento della temperatura media viene calcolata dal periodo preindustriale, momento nel quale la nostra produzione di gas serra non era importante. Ad oggi ci troviamo già a +1° medio rispetto a quel momento e le conseguenze si possono già avvertire.
La figura 1 vuole mostrare il quadro di sintesi della condizione climatica nella quale ci troviamo oggi. È evidente che le conseguenze di questo mutamento sono generalizzate e colpiscono, in una serie di eventi concatenati tra loro, vari aspetti del nostro ambiente e vita.
La cosa ancora più grave che emerge dagli studi è che alcuni cambiamenti sono irreversibili.
Questo vale, in particolare, per lo scioglimento dei ghiacciai ed il conseguente innalzamento del livello del mare e riduzione delle riserve di acqua dolce.
L’aumento di un ulteriore mezzo grado renderebbe tutti questi meccanismi più acuti; con il suo superamento c’è il rischio che il 14% della popolazione mondiale sia più esposto ad ondate di calore estremo almeno una volta ogni 5 anni; con un aumento ai +2° questa percentuale salirebbe al 37%. L’innalzamento delle temperature medie porta ad eventi estremi più frequenti e più persistenti, come mostra la figura 2.
Il grafico successivo mostra le conseguenze possibili per diverse prospettive di cambiamenti futuri applicate per diversi campi: specie animali estinte, peggioramento delle condizioni di salute, produzione del cibo.
Ricordandoci che una di queste sarà la nostra condizione futura di riscaldamento globale, è evidente che, se ci si assestasse intorno ai +1,5°, le condizioni generali sarebbero ancora sopportabili e permetterebbero di agire per carcare un nostro nuovo equilibrio.
A questo punto è necessario soffermarci proprio sul fatto che ciò che è più a rischio è il “nostro equilibrio”.
L’impoverimento della biodiversità è un dato estremamente preoccupante: la biodiversità, dai grandi mammiferi, pesci ed anfibi ai batteri, rappresenta la possibilità alla vita. La biodiversità è “l’asso nella manica” che la vita “che conosciamo” può giocare in risposta a “selezione naturale-lotta per la sopravvivenza”.
Un impoverimento, così repentino, della biodiversità rischia seriamente di mettere in discussione il futuro della vita sulla Terra. Chi sicuramente rischia di più siamo proprio noi. Noi che ci siamo abituati a considerarci al di sopra dei meccanismi naturali e che ci siamo convinti di poter regnare le complesse dinamiche della vita, proprio noi stiamo autodistruggendo il nostro ecosistema.
Ciò che stiamo minando è il Pianeta in cui noi ci siamo diffusi e adattati andando in contro ad un mondo ostile; soprattutto a noi. La vita sulla Terra, nonostante la grave condizione in cui si potrebbe trovare, ha già superato sfide altrettanto gravi. Noi, no. Dobbiamo ricordare che ad ogni grave cambiamento nell’ambiente e clima è corrisposto un altrettanto netto cambiamento delle forme di vita esistenti. Noi siamo adatti a queste condizioni. Nessuno ci assicura, anzi gli scienziati dubitano fortemente, che lo saremo anche per altre.
Un altro aspetto che è da tenere in considerazione è quello della inequivocabile responsabilità umana di questo cambiamento.
Nella figura 4 è possibile osservare come sia netto il rapporto tra CO2 in atmosfera e quella da noi prodotta. Il nostro inquinamento sta rendendo la variazione climatica ancora più veloce e repentina, e quindi non in armonia con i lunghi tempi geologici che permettono alla vita di adattarsi. Tutto sta avvenendo in poche decine di anni, un attimo se confrontato alle Ere Geologiche.
Quanto tempo ci vorrà per bloccare questo terribile treno in corsa? È ancora possibile farlo? Per renderci conto delle tempistiche di cui stiamo parlando può venirci in aiuto un dato relativo all’anidride carbonica (CO2): Stefano Mancuso, botanico docente dell’Università di Firenze, sottolinea che anche se da oggi si azzerassero le emissioni di CO2 (immaginando un evento fantastico nel quale in un istante si raggiungesse lo “0”), per “inerzia” il livello del gas nell’atmosfera non muterebbe, o addirittura aumenterebbe leggermente, per almeno i prossimi 30 anni.
È quindi estremamente difficile, ma, come dice M. Howden (vice-chair ICPP), «[…]è piuttosto improbabile riuscire a rispettare la soglia dei +1,5°, ma dobbiamo rivoltare il disco da non possiamo farlo a non possiamo permetterci di non farlo». È ancora presente un margine di tempo che può permetterci di agire (figura 5).
Presentando il resoconto degli esperti, il segretario generale dell’ONU Guterres dice: «La bomba ad orologeria climatica continua il suo conto alla rovescia, ma questo rapporto rappresenta una guida pratica per disinnescarla, un manuale per la sopravvivenza dell’umanità».
Ciò che è necessario è un’azione generalizzata, immediata e decisa.
Le proposte finora adottate sono sempre state troppo frammentarie e troppo poco incisive. Solo se le emissioni di anidride carbonica verranno drasticamente ridotte sarà possibile salvare l’obbiettivo di rimanere vicini alla soglia del +1,5°.
Come riportato dall’Internazionale in un articolo di Audrey Garric, per salvare il +1,5° sarà necessario falciare le emissioni del 48% rispetto al 2019 entro il 2030, per poi azzerarle antro il 2050. Per assestarsi su un +2° sarà comunque necessario ridurle del 22% entro il 2030 ed azzerarle entro il 2070. Per rendere tutto ciò possibile bisognerà arrivare al picco negativo di inquinamento non oltre il 2025 (figura 6).
Una soluzione è possibile, ma ci costringe ad una scelta difficile: modificare anche il nostro stile di vita.
Dobbiamo aiutare il nostro Pianeta, dobbiamo aiutarci. È importante che, in ogni scelta quotidiana, si sia capaci di sacrificare un po’ di comodità: non usare la macchina per spostamenti sotto i 3/4km, cerchiamo di non accedere luci inutilmente, cerchiamo di variare la nostra alimentazione riducendo il consumo di carne.
Già queste piccole scelte quotidiane, fatte da tutti, possono indicare una tendenza. Il grande lavoro, poi, deve essere fatto dagli Stati: è arrivato il momento in cui sono necessarie scelte coraggiose, visione realista e lungimirante ma pronta a non mettere in secondo piano l’ambiente.
Il prossimo passo sarà Cop28 l’anno prossimo a Dubai quando si farà un resoconto dei risultati ottenuti dopo Parigi 2015 e si formuleranno nuove valutazioni e decisioni. Nel frattempo, però, non abbiamo più tempo per attendere queste scelte: è necessario lavorare sulla nostra consapevolezza per impedire che ancora, come troppo spesso accede, le scelte prese in questi momenti vengano bollate come irrealistiche e sognatrici e lasciate decadere. L’uomo è stato capace di rivoluzioni incredibili “solo” grazie alla sua intelligenza, è arrivato il momento di compierne un’altra.
Articolo di Giuseppe Coda