È probabile che le parole “cancel culture” e “politicamente corretto” evochino immagini afferenti al mondo della sinistra progressista e giovanile. E se vi dicessero invece che a propugnare un modo di vivere univocamente ortodosso e a voler cancellare i prodotti culturali che non vi si omologano sono più spesso politici di sponda opposta?
Di recente ha fatto discutere anche da noi la revisione delle opere di Roald Dahl e di Agatha Christie, ma sono solo alcune battaglie della destra italiana contro la supposta censura di parte progressista: basti pensare al “pensiero unico” leitmotiv dei comizi di Meloni, o a 1984 di George Orwell citato fin quasi allo sfinimento (Salvini nel 2017 e nel 2020, Meloni nel 2021, ma è ben riassuntivo il titolo di questo recente video di Fusaro).
Certo, la voluta ambivalenza del Grande Fratello ha consentito altrettanto spesso alla sinistra di usare a sua volta 1984 contro i propri avversari, ma nei casi sopracitati il richiamo al lessico orwelliano aveva una precisa valenza.
L’obiettivo di questo articolo non è certo quello di abbracciare le eventuali idee radicali della cancel culture di sinistra, in sé esecrabile, ma capire se e quanto essa esista, comparativamente a quella di segno opposto: alla base di questi discorsi c’è infatti un problema di esagerazione.
Quasi sempre si addita a colpevole del politicamente corretto progressista un generico “loro”, a celare la gonfiata amplificazione delle istanze di due o tre persone.
La stessa professoressa A. Borgna, nel suo ultimo libro, mette in dubbio la semplificazione con cui queste notizie vengono riportate in Italia: d’altronde, gli esempi che fa di ridiscussioni nostrane del curriculum antichistico (da Cingolani alla Fondazione Agnelli) sono difficilmente riconducibili a raptus progressisti.
L’ultima pubblicazione dello storico G. Maifreda a sua volta contesta la presunta novità della cancel culture di sinistra. Quest’ultima è spesso presentata quale importazione dalla cultura universitaria liberal americana, mentre la destra difenderebbe dall’indottrinamento gender le scuole, specie elementari. Ciò tuttavia si è tradotto, in stati repubblicani come la Florida, in una cancel culture conservatrice ben più sistematica e suffragata istituzionalmente, fino alla proibizione di libri.
Un mese fa, la notizia delle dimissioni coatte di una preside americana per aver mostrato il David di Michelangelo nella sua nudità è stata accolta come ennesimo esempio di politicamente corretto – ma di sinistra o di destra?
L’istituto in questione, la Classical School di Tallahassee in Florida, è una scuola in parte privata e appartenente al circuito del cristiano Hillsdale College, almeno fino alla famigerata lezione di prima media sul Rinascimento italiano. Non solo la questione è stata come al solito esagerata (a lamentarsi sono stati tre genitori di numero e la preside soltanto ipotizza che il David abbia avuto un ruolo nelle dimissioni, peraltro come mero catalizzatore), ma se censura c’è stata si è trattato di censura conservatrice cristiana.
Non è un caso che la scuola si trovasse in Florida: lo stato subtropicale, guidato da quattro anni dal repubblicano Ron DeSantis (oggi antagonista di Trump nel partito), non è nuovo a questo tipo di incursioni politiche nel sistema scolastico pubblico.
Un anno fa, DeSantis e il Parlamento statale hanno approvato il disegno di legge noto come Don’t Say Gay, che proibisce qualsivoglia tipo di informazione sull’orientamento sessuale e l’identità di genere fino alla terza elementare (ma il governatore spinge per espanderlo a qualsiasi classe).
Il ragionamento del “se non ne parli non esistono” deve aver solleticato particolarmente DeSantis, perché è attualmente in corso l’iter del disegno di legge 1069 alla Camera della Florida, che vieterebbe l’informazione su mestruazioni e malattie veneree alle scuole elementari e, nelle medie e superiori, imporrebbe di insegnare l’esclusività del sesso biologico binario, oltre che di predicare l’astinenza dai rapporti extramatrimoniali.
Se può sembrare esotico radicalismo, basta ricordare che in Italia Salvini si è più volte opposto all’educazione sessuale alle elementari: nel 2017 e poi l’anno scorso, riconducendola al «parlare di sesso, di coito e penetrazione».
E, benché le lezioni più esplicite possano pure ritenersi evitabili nelle scuole primarie, il ddl 1069 in Florida impedirebbe persino di spiegare a un’undicenne, se avesse per la prima volta le mestruazioni a scuola, che cosa stia accadendo. Nemmeno le lezioni standard sono rimaste intoccate: un anno fa è stata approvata la legge Individual Freedom, che proibisce gli insegnamenti che potrebbero provocare negli alunni senso di colpa per l’etnia o il sesso. Insomma, non si insegni la segregazione e il sessismo, se no bianchi e maschi si imbarazzano. Solo i college sono stati esonerati, a seguito dell’intervento di un giudice federale.
Lo scorso gennaio il governatore ha annunciato di voler difendere la «libertà accademica» dal «conformismo», motivo per cui ha proposto di istituire corsi obbligatori sulla civiltà occidentale e di abolire quelli sull’uguaglianza e l’inclusività.
Negli stessi giorni, il suo Dipartimento dell’Educazione ha bloccato i corsi avanzati di storia afroamericana nei licei perché a suo dire illegali, diseducativi e inattendibili, finché non hanno eliminato i riferimenti al femminismo, alla comunità LGBT e alla critical race theory, lettura del sottotesto razziale della politica.
E infine i libri: l’anno scorso la Camera statale ha approvato la legge 1467, che bandisce dalle biblioteche scolastiche (ma anche dalle letture consigliate) i testi «pornografici […] o inappropriati», la cui definizione è arrivata solo quest’anno con una guida su YouTube, che indica come criterio alcune liste distrettuali o la discrezione di uno specialista.
Nel mirino però non finiscono solo i libri erotici: alcuni licei in Florida hanno bandito The 57 Bus (vera storia di uno studente LGBT+ vittima di bullismo) e The hate you give (romanzo sull’uccisione di un ragazzo nero da parte della polizia), mentre l’intera contea di Palm Beach ha proibito dei libri su ragazzi transgender.
Nella contea di Brevard le biblioteche scolastiche sono persino state temporaneamente chiuse e quest’anno sono stati sbarrati tutti gli scaffali di una scuola elementare a Jacksonville e di un liceo della contea di Manatee (inclusi i libri precedentemente approvati).
Questi fenomeni non vanno né apocalitticamente esagerati, né tuttavia sminuiti:
proprio nella contea di Manatee un gruppo noto come Community Patriots dall’anno scorso recluta cosiddetti Woke-busters (traducibile con “acchiappa-buonisti”) per «rimuovere libri, rivedere i curricula», salvare i bambini da «abusi mentali e fisici […] e guidarli alla Verità».
E la Florida non è nemmeno l’unico stato con un index librorum prohibitorum: secondo un report della non-profit PEN America, solo tra 2021 e 2022 sono stati vietati oltre 1.600 titoli in 32 stati, per un bacino totale di 4 milioni di studenti.Nulla di questo risolve benaltristicamente la cancel culture di sinistra, ma mette in un’altra prospettiva la narrazione di un mondo in cui non si può più dire niente.