
Era il 1984 quando usciva nelle sale giapponesi Nausicaa della valle del vento, primo grande capolavoro di Hayao Miyazaki. Sono passati quarant’anni e tutt’ora, nonostante le ripetute dichiarazioni di pensionamento, Miyazaki ritorna nelle sale con un altro lungometraggio animato in uscita in Giappone a luglio di quest’anno intitolato How do you live?
Per l’occasione quello che si vuole fare in questo articolo, consci del fatto sia un’impresa impossibile abbracciare tutto quello che il maestro Hayao ha regalato al mondo, è una passeggiata all’interno dei suoi universi animati prestando attenzione a tre di quelli che, secondo noi, possono essere riconosciuti come punti cardine del suo lavoro.
Bellezza e stupore – Aprire gli occhi alla meraviglia
Quello che Miyazaki non ha mai fatto mancare in qualsiasi suo lungometraggio è quel senso di meraviglia associabile solo a quello che si provava da bambini; quel senso di meraviglia che ogni singola tavola animata ci fa intuire, ma che solo guardando con gli occhi di un bambino si riesce veramente a cogliere.
Questa sensazione è fugace, passa e va, non si ferma, e non si può fermare. È come il vento, costante nei film di Miyazaki. La bellezza, a cui il maestro ci permette l’accesso, si dà e si sottrae e può essere colta solo tramite un determinato tipo di sensibilità. Quest’ultima è riassumibile in un concetto estetico proprio della poetica giapponese: mono no aware.
Il concetto è assimilabile al latino lacrimae rerum, che indica il pathos delle cose (ci perdonino i latinisti). Lo spettatore viene mosso al cospetto della bellezza della natura o al suo prendere forma nell’arte, non solo perché ne subisce l’impeto, ma perché prende coscienza della natura effimera di ogni cosa vivente.
La scena con cui possiamo maggiormente rappresentare questa sensazione è, forse, ritrovabile ne Il castello errante di Howl (2004). Siamo in un campo dopo che le ultime luci del giorno hanno superato l’orizzonte. Howl, uno dei protagonisti, in versione bambinesca, sta passeggiando nel prato quando all’improvviso decine e decine di stelle cadenti iniziano a precipitare dal cielo. I suoi occhi pieni di stupore guardano lo spettacolo di queste luci intense che si spengono in un battito di ciglia. Le luci si spengono, ma quello che non passa è la sensazione con cui viene lasciato lo spettatore che ha saputo aprire gli occhi alla bellezza che, per quanto sia doloroso dover lasciar andare consci del fatto che non durerà per sempre, ha lasciato una traccia in noi.
Chi, d’altronde, non ha mai provato questa sensazione, sia che si trovasse davanti alla più grande opera d’arte mai creata, sia che si trovasse di fronte ad un meraviglioso fenomeno naturale, sia che semplicemente stesse guardando una stella cadente spegnersi nel cielo?
In tutto questo, l’animazione è il mezzo più efficace per poter trasmettere questa sensazione. Ogni fotogramma, ogni tavola, ogni riga a matita sono animati interamente a mano e con un’attenzione ai particolari estremamente dettagliata, eppure rimangono solo per un attimo di fronte agli occhi dello spettatore; spettatore che viene colpito dalla potenza evocativa dei disegni, disegni che svaniscono subito allo sguardo.
Disegni, poi, accompagnati dalle musiche di Joe Hisaishi che da sempre con le sue note allo stesso tempo dolci e decise ha saputo rappresentare musicalmente la sensazione di fugace bellezza espresso da mono no aware. Basti ascoltare le lievi note di Reprise (2001) composta per La città incantata (2001) che accompagnano tanto i protagonisti del film quanto gli spettatori in quel viaggio stupendo che è il cinema di animazione.
Immaginazione e creazione – Perdersi nella meraviglia
Cercare di descrivere a parole i mondi creati da Miyazaki e dalle sue squadre di animazione, nonché le canzoni composte da Hisaishi è un compito tanto gravoso quanto impossibile. Il caloroso invito di chi sta scrivendo è quello di guardare le opere animate dei maestri dello studio Ghibli, senza, si spera, pregiudizio alcuno nei confronti dei lungometraggi d’animazione, per poter comprendere di cosa si sta parlando.
In ogni caso, si cercherà di passare almeno una goccia del profondo amore che le opere di Miyazaki possono trasmettere ai suoi spettatori. Per farlo, immaginiamo di essere in una camera con un piccolo letto. Usciamo dall’uscio della nostra casa e ci troviamo di fronte a una fitta coltre di nebbia. Ci guardiamo intorno e vediamo distese di campi verdi e altre rare case. Nel frattempo, la nebbia si dirada rivelandoci che ci troviamo a strapiombo su un dirupo. Facendoci coraggio e guardando nel dirupo notiamo dei complessi di case che si sviluppano sui lati dell’abisso che sembra non avere fine. I complessi, che sembrano essere delle vere e proprie città, sono composti da numerose abitazioni collegate da intricati sistemi di rotaie che percorrono tanto lo strapiombo quanto le gallerie scavate appositamente nella roccia. Di fianco a noi passano degli uccelli che sembrano essere dei gabbiani o degli albatros che a tutta velocità si fiondano nel burrone volando tra i tetti delle case.

Non soddisfatti di questa escursione nel mondo di Laputa – Castello nel cielo (1986), immaginiamoci ora di ritrovarci ad abitare in cima a una collina. Guardando in basso notiamo le strade che portano alla nostra casa e le tante case che le costeggiano. Intorno alla collina c’è un grande mare che tutt’un tratto inizia a sollevarsi e farsi grosso. L’acqua inizia a salire fino a sommergere tutta la città, tutte le strade, tutte le case tranne la nostra. Dopo una grande confusione il tutto si assesta. Una profonda calma cala intorno a noi e d’improvviso si accendono mille luci e il mare assume innumerevoli colori diversi con altrettanti pesci che ci passano sotto gli occhi, nuotando come se fosse una coreografia.

Stanchi del mare di Ponyo sulla scogliera (2008), immaginiamoci di essere in una fitta foresta. Il buio ci circonda e non sappiamo dove ci troviamo. Qualche rumore in lontananza rivela che qualcosa di vivo esiste nella foresta. Ad un certo punto si accendono decine di luci e l’ambiente intorno a noi inizia a prendere vita: animaletti corrono nel sottobosco, le piante svelano i loro fiori, la foresta si riempie di polline che cade dalle cime degli alberi e noi rimaniamo stupiti e fermi a guardare.

Paghi anche della foresta di Nausicaa della valle del vento (1984), possiamo prendere un attimo di respiro. Insomma, questi sono solo alcuni degli esempi dei mondi immaginati e creati da Miyazaki in cui potersi perdere a fantasticare.
Impegno – La meraviglia come impegno sociale
Come abbiamo detto finora, quello su cui si concentra il lavoro di Miyazaki è innanzitutto il ricordarci della bellezza insita nel mondo che ci circonda ridandoci gli occhi che avevamo da bambini. Ciò che agli occhi di un bambino potrebbe sfuggire è, invece, l’impegno sociale e politico raccontato, a volte in maniera più esplicita come in Porco rosso (1992), a volte in maniera meno diretta come in La città incantata (2001), ma comunque sempre presente nei lungometraggi di Miyazaki.
Molti conosciamo la famosa frase pronunciata da Porco nell’omonimo film in cui esprimeva chiaramente la sua posizione contro il regime fascista che in quegli anni diffondeva la sua influenza in Italia; quello che forse in non molti sanno è che Miyazaki, durante la sua giovinezza, partecipò ai moti studenteschi del Sessantotto in cui chiare direttive ideologiche volevano essere proposte, dall’affermazione del ruolo paritario delle donne al rispetto ecologico fino all’antimilitarismo. Tutti aspetti, questi, ritrovabili nelle opere di Miyazaki.
Fin dalla serie animata Conan il ragazzo del futuro (1978), l’antimilitarismo miyazakiano trova rappresentazione: Conan, un ragazzino, si ritrova a vivere la sua vita su una piccola isoletta abitando accanto al relitto di un aereo precipitato; nuotando nel mare che circonda la sua casa si ritrovano i resti di antiche città ormai sommerse dopo una catastrofe nucleare che ha condannato il mondo e, sembrerebbe, l’umanità. Ne Il castello errante di Howl (2004) il mondo è correntemente impegnato in una grande guerra che ci viene mostrata poche volte ma viene rappresentata come un inferno di fiamme e fumo da cui nessuno esce vincitore.
Non è poi un caso che la maggior parte dei personaggi dei mondi di Miyazaki siano donne. Siano esse schierate dalla parte del bene o dalla parte del male, rimane costante la rappresentazione della loro parità rispetto alle controparti maschili. Gli esempi più lampanti vengono presentati in Principessa Mononoke (1997) in cui sia la protagonista, da cui il film prende il nome, sia l’antagonista sono entrambe personaggi capaci di presentare tutti i tratti propri dell’umanità e non solo quelli stereotipicamente associati all’“essere donna”.
L’altro grande tema miyazakiano, costante nei suoi film, è l’attaccamento al messaggio ecologico. L’invito che sempre viene presentato in ogni lungometraggio di Miyazaki è quello di rispettare la Natura, di considerarla come componente attiva e degna di essere considerata tale, e non solo di concepirla come mezzo lasciato agli esseri umani per essere sfruttato.
Il contesto in cui si svolgono le vicende di Nausicaa della valle del vento (1984) è quello generatosi in seguito a una catastrofe generata dall’umanità: la Natura è stata completamente scossa e modificata a seguito di una guerra termonucleare. I paesaggi sono adesso irrimediabilmente, anche se forse non è così, rovinati. Le lande, deserte con qualche sprazzo di vegetazione molto fitta e ostile all’umanità, sono abitate da grandi insetti nati in seguito alla catastrofe nucleare. Per quanto sia un film di animazione ambientato in un futuro distopico, quello che ci fa comprendere è il potenziale che, ormai, l’azione umana ha raggiunto: la possibilità di cambiare totalmente le condizioni del pianeta senza la certezza, però, di poter tornare indietro.
Questo ci porta all’ultimo grande tema rintracciabile nelle opere di Miyazaki: il rapporto dell’uomo con la tecnica. In Si alza il vento (2013) il protagonista delle vicende è l’ingegnere aeronautico, veramente esistito e di cui rimane una biografia, Jiro Horikoshi. Per chi non lo sapesse, egli è stato il progettista del famoso Mitsubishi A6M Zero tristemente noto per essere diventato lo strumento di quelli che conosciamo come kamikaze. Il dubbio che accompagna Jiro, assieme al suo sogno di costruire un bellissimo aereo, è il fatto che i suoi aerei saranno usati per distribuire morte.
È forse giusto, quindi, continuare nella costruzione di strumenti di morte rinunciando al sogno, insito nell’umanità, di creazione e scoperta? La domanda, forse, è destinata a rimanere senza risposta. L’unica cosa che possiamo ricordare sono le parole di Paul Verlaine tratte da Le cimetière marin (1920) e citate nel lungometraggio: «Le vent se lève, il faut tenter de vivre».