Del: 13 Aprile 2023 Di: Giulia Maineri Commenti: 0
Maria Edgarda Marcucci e l'importanza della rabbia

Nelle fiabe, chi lotta contro il male sono gli eroi e le eroine, acclamati per il loro valore e coraggio e ricompensati per il loro operato; nel mondo vero, invece, gli eroi e le eroine devono scontrarsi con l’ingiusta realtà. È questa la storia di Maria Edgarda Marcucci, unitasi nel 2017 alle Ypj e alle Ypg, unità di protezione delle donne e del popolo fondate nel 2011 in Rojava, Kurdistan, per combattere il jihadismo. Ypj e Ypg sono di fatto gruppi di autodifesa dell’amministrazione autonoma della Siria del nord-est.

Per il suo contributo alla lotta contro l’Isis, che anche grazie a Ypj e Ypg, è stato sconfitto militarmente e territorialmente, Marcucci non si aspettava nessun premio, assolutamente nessuna ricompensa. Ma neanche una punizione.

E invece, tornata a Torino nel 2020, ad accoglierla è stato un decreto di sorveglianza speciale. Lei e i suoi compagni sono stati accusati di aver appreso nozioni sulle armi da fuoco, per essersi recati in un altro Paese a combattere in un’organizzazione assimilabile al Pkk, considerato un gruppo terroristico, e quindi per essere “socialmente pericolosi”. L’accusa di terrorismo è sbagliata e facilmente smentita dal Pkk, che vince il ricorso quando l’UE lo inserisce nella lista dei gruppi con finalità terroristiche. Sono un gruppo coinvolto nella lotta armata, ma con scopo di difesa del popolo curdo.

Il testo del decreto è confuso, “alla rovescia” nel senso letterale del termine: il Pkk, Partito dei lavoratori del Kurdistan, diventa Kpp, su cui non si può far altro che ironizzare, identificando l’acronimo con un inventato “Krazy People Party”.  Complessivamente, sembra si voglia punire l’atteggiamento da dissidente, contestatore politico, ignorando completamente il nobile scopo della militanza.

Ci sono storie che gridano per la voglia di essere raccontate, ma non sempre è facile rispondere a quella chiamata. Quando la mamma, l’amica, la spingono a scrivere, lei ha una sola paura: e se non dovesse servire a nulla?

Marcucci dà ascolto alla sua storia, dandole voce nel libro Rabbia proteggimi.

Afferra i concetti con le mani e fruga tra le parole, come le ha insegnato la sua amica Helin. Compaiono alcune frasi fatte, ma appoggiate in un contesto potente che le spoglia della loro banalità: «L’Europa è bella perché non c’è la guerra», «Ho imparato tanto ma potrei fare di meglio», «L’amore che opera nel mondo come forza generatrice». Le parole più difficili da usare sono sempre le più semplici, citando Saba, «La rima fiore amore è la più antica e difficile del mondo». Marcucci ci riesce e lo fa destreggiandosi con abilità in un panorama polimorfo, sotto tanti punti di vista.

L’intero racconto si configura come una danza dai mille ritmi diversi, che spazia tra diversi generi narrativi e diversi linguaggi. Nel testo in italiano compaiono parole in curdo (hevalen heja, cari amici, shehid namirin, i martiri non muoiono mai) e in arabo (hammam), ma c’è posto anche per il dialetto romano (daje), per l’inglese (some of us) e per lo spagnolo (juntos somos mas fuertes). Il mix culturale è incredibile ed è la forza della narrazione; attribuisce al racconto un valore universale che abbatte i confini e lega i popoli all’insegna di un unico obiettivo: migliorare il mondo in cui viviamo.

Anche all’interno della sola lingua italiana, i registri sono tanti: c’è il “burocratichese” delle sentenze, il lessico formale delle lettere e dei discorsi in pubblico, le espressioni volgari nei momenti di rabbia. Ci sono parole grandi e ingombranti, come la Storia, citata con l’iniziale maiuscola, che però per contrappasso Marcucci definisce piccola. La Storia sta in una cena insieme, è compressa nel canto di una canzone, entra in stanze di pochi metri quadri, si può depositare in un piccolo piatto di plastica rigida. Ci sono parole pesanti e violente, kalašnikov, l’esercito della morte, il nemico inarrestabile, che trasmettono la paura dei protagonisti. 

Questa armoniosa danza multiforme non si limita al linguaggio, ma si concretizza in uno stile dinamico.

La storia si traduce in fumetti, le fotografie mostrano la realtà del racconto, i simboli si caricano di significato a comporre un diario dei ricordi che però non è disordinato come quello di un adolescente, ma estremamente poetico. Non solo perché c’è poesia tra le pagine, ma per la delicatezza, l’eleganza con cui la Storia scorre, potente come l’acqua, che in Turchia porta fortuna ai viaggiatori perchè l’acqua trova sempre la strada.

Maria Edgarda Marcucci la sua strada l’ha trovata in Kurdistan. La domanda più banale del mondo è ancora una volta la più difficile a cui rispondere: perché è partita?

Per Zerocalcare, si parte per dare sostanza a termini come resistenza e liberazione, che ripetiamo spesso ma non abbiamo idea di cosa vogliano dire. Tekosher, un altro attivista impegnato sul territorio insieme a lei, dà una risposta potente: «Volevo fare qualcosa di utile. Dare la vita ai giorni, piuttosto che i giorni alla vita».

In questa frase c’è tutto il calore che trasmette il suo personaggio: occhi buoni, ironico, caustico e con tanta voglia di parlare. Lo zio di Valeria Solesin, uccisa dall’Isis al Bataclan di Parigi nel 2015, definisce la loro “una scelta terribile”; quell’aggettivo riassume la grandezza, la nobiltà e la drammaticità dell’atto di partire. Invia una lettera di solidarietà a Marcucci, da cui traspare una tenerezza genuina e un senso di protezione affettivo, uno “state attenti” e un piatto di minestra sempre pronto per loro.

Non possiamo sapere se a Maria Edgarda Marcucci sia servito scrivere la sua storia. Magari è stato più doloroso che liberatorio. Ma a noi lettori sicuramente è servito leggerla e, per questo, la ringraziamo. Raccontare le ingiustizie e le contraddizioni è quanto di più socialmente valoroso – non pericoloso – si possa fare.

È alla fine che si capisce il significato profondo del titolo del libro. La rabbia è fondamentale perché ci protegge dall’indifferenza e dall’ignavia. Quando smetteremo di arrabbiarci per le ingiustizie che vediamo nel mondo, non ci sarà più modo di cercare il cambiamento, di spingere al miglioramento la società. La rabbia accende gli animi, fa muovere le cose, sprona all’intervento.

Il vero messaggio del racconto non è un invito ad andare in Siria a combattere, nè un appello ad armarsi contro l’Isis, è molto più semplice: arrabbiatevi. È la cosa meno “socialmente pericolosa” del mondo.

Giulia Maineri
Instancabile curiosona, ho sempre una domanda sulla punta della lingua. Leggo di tutto e di tutti per capire chi sono. Coltivo la passione per la storia dell'arte per capire chi siamo. Studio fisica per rispondere ai come. Esploro il mondo in un’esasperata, ma entusiasmante, ricerca dei perché.

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