“Qualcuno era comunista perché Berlinguer era una brava persona – cantava Giorgio Gaber – Qualcuno era comunista perché la rivoluzione oggi no, domani forse ma dopodomani sicuramente”. Ed il salto rivoluzionario che il PCI scelse di rimandare sin dall’aprile del ’44, mese della “svolta di Salerno” suggerita da Stalin a Togliatti, non arrivò nemmeno nell’epoca del segretariato di Enrico Berlinguer, di cui oggi ricordiamo la nascita, e che sicuramente fu capace di avviare un altro tipo di rivoluzione all’interno del “cuore dell’opposizione” della nostra democrazia.
Troppo a destra per l’ortodossia sovietica, troppo a sinistra per gli States, quella figura tanto esile da sembrare evanescente fu capace di inaugurare una “via italiana al socialismo” non gradita a Mosca, che, spaventata dall’innovazione rappresentata da Berlinguer, ordinò al kgb di organizzare un attentato contro il neoeletto segretario di quello che era il più grande partito comunista d’Europa.
Fu così che nel ’73, in Bulgaria, un camion carico di pietre si schiantò a tutta velocità contro la berlina su cui Berlinguer viaggiava assieme alla sua scorta, che perì tragicamente, rendendo il segretario l’unico superstite di quel tragico evento.
Ma se l’eterodossa visione del socialismo dei compagni italiani spaventava Bréžnev e i suoi adepti, la possibilità di una cooptazione del PCI nei banchi di governo era capace di provocare un’angoscia assai più gravosa a Washington.
Per questo, quando il presidente della DC Aldo Moro si recò in America per discutere la strategia del compromesso storico proposta dal successore di Luigi Longo, il ministro degli esteri Kissinger gli riservò una strigliata carica di minacce che fu capace di pietrificare il politico salentino. Quando Moro fu poi rapito dalle Brigate Rosse e ucciso dopo 55 giorni di prigionia, il sogno del “compromesso storico” si infranse, ed ebbe fine l’unica strategia realistica che potesse portare i comunisti al governo.
Osannato anche dagli oppositori, che vedono in lui un marxista “saggio” e “pacifico”, Enrico Berlinguer continua a fare breccia nei cuori della gente in quanto simbolo di un’integrità morale e di una passione d’altri tempi, che evidentemente vengono percepite come qualità mancanti nella classe politica attuale.
A tal proposito non si può non citare la sua reazione alle insistenti domande dei compagni di partito, che al ritorno da uno dei suoi viaggi in Unione Sovietica, non smettevano di chiedergli come fossero le donne russe. La risposta fu glaciale: «In Russia non ci sono donne, ma compagne sovietiche».
O ancora, ai tempi in cui Berlinguer era leader della Federazione Giovanile Comunista Italiana, Piero Pieralli racconta d’esser stato vittima di una sua sfuriata, dovuta al fatto che i compagni avessero prenotato il tavolo di un ristorante per una cena dopo la riunione. «A me basta una tazza di brodo e un pezzo di formaggio» tuonò Enrico.
Il segretario comunista era dunque un uomo a cui va riconosciuta una strenua renitenza alle rigide ideologie del mondo bipolare ed un’assoluta assenza del bisogno di aggrapparsi a delle icone.
Un dato particolare è che il leader sassarese non abbia mai fatto il saluto a pugno chiuso, particolarmente in voga tutt’ora fra i “compagni”. Ad un collaboratore che gli chiese il perché di tale riluttanza nei confronti di un gesto simbolo dell’unità rispose: «No, è il simbolo dell’ostilità, e nessuno potrà mai convincermi a farlo».
Il volto austero dell’uomo politico viene tuttavia ammorbidito dalla sua tendenza a passare ore intere a giocare con i piccoli di casa, dalla sua mal celata fede calcistica per la Juventus, la squadra della famiglia Agnelli contro cui tifavano gli operai della FIAT di Torino, e dal fatto che nel suo cuore colmo di passione politica rimanesse spazio per il desiderio amoroso, che se è vero che dal momento del loro incontro si rivolse in maniera devota ed esclusiva alla moglie Letizia, in gioventù, e soprattutto durante le feste della FGCI, rendeva il cupo Berlinguer più vulnerabile di quanto volesse apparire.
Si narra che colto dal desiderio per una giovane ragazza della Federazione, durante una festa del movimento le avesse fatto recapitare tramite un suo amico un biglietto con scritto: «Posso sperare?». Fu la sua prima delusione da uomo politico.
In Organismi dirigenti del PCI dal ’43 all’83, a cura di Ivano Sabatini, si dice di Berlinguer che fosse “sempre immerso nei libri e nei giornali, passava le nottate a leggere, a prepararsi. Si tagliava i capelli solo quando se lo ricordava, mangiava pochissimo, fumava come un turco. Era come drogato dalla politica. Negli ultimi anni della sua vita mi sembrava un giovanotto rispetto a quei tempi.”
Ed è proprio in quell’epoca in cui Berlinguer è capo della sezione giovanile del PCI che egli accentua il suo moralismo e mette da parte i vezzi giovanili degli anni precedenti, tra cui il suo amore per la motocicletta, a cui dovrà rinunciare sin da subito poiché ritenuta dal partito fin troppo pericolosa.
La sua complessa traiettoria politica fu influenzata fortemente dal colpo di stato organizzato dalla CIA e da Pinochet in Cile contro il governo socialista e democraticamente eletto di Salvador Allende, ed alla stessa politica estera si interessò con ardore arrivando ad assumere punti di vista spesso di rottura ed intransigenti.
Sconfessò il mito di Stalin, condannò i carri armati sovietici a Budapest, passò notti intere al telefono con Yasser Arafat durante gli attacchi israeliani in Libano, ed arrivò a proclamare “partigiani” gli afghani che combattevano contro l’invasione sovietica del ’79. Lui che da segretario comunista disse di preferire l’ombrello protettivo della NATO.
C’è chi accusa lui di ipocrisia ed i suoi sostenitori di revisionismo, chi lo osanna per aver portato il PCI ad ottenere un vistoso successo elettorale del 34,37% di voti, e chi invece si barcamena fra posizioni più relativiste. Ma oggi, ricordando nel giorno della sua nascita Enrico Berlinguer, ricordiamo tutti dei tempi diversi, in cui fare politica era una missione per cui valeva la pena rischiare la vita.
Articolo di Riccardo Tornesello